Gadamer
Con Gadamer (1900-2002) giungiamo alla fase contemporanea dell'ermeneutica e all'autore più significativo nello sviluppo di questa disciplina. Verità e metodo (1960, 1965) rappresenta la sua opera fondamentale; un testo diversamente criticato, ma che ha avuto grande influenza in più direzioni. Il suo pensiero vuole fornire una teoria complessiva del significato, della portata, dello statuto dell'ermeneutica: si tratta si completare il percorso intrapreso da Schleiermacher e Dilthey e radicalizzato in senso ontologico da Heidegger, concependola come ricerca di carattere filosofico e non solo metodologico (secondo un intento trascendentale, comunque diverso da quello kantiano).Gadamer si chiede anzitutto come sia possibile il comprendere, inteso in tutta l'ampiezza del suo significato: l'ermeneutica riguarda infatti l'esistenza nella sua totalità e dunque si tratta non soltanto di rivendicare il suo valore universale, ma più radicalmente il suo investire il nucleo dell'esistenza umana. Il punto centrale dell'esperienza umana risiede nel comprendere e in ciò Gadamer assume quindi in pieno l'eredità heideggeriana.
Il titolo Verità e metodo indica una contrapposizione tra i due concetti, sottendendo in particolare una critica nei confronti dell'ideale del metodo. Se Dilthey o (il neokantismo) Windelband cercavano di rivendicare l'originalità delle scienze dello spirito rispetto alle scienze della natura, per Gadamer ciò ha comunque spesso comportato la trasposizione sul piano umano dei metodi delle scienze esatte. Ma vi sono esperienze umane che non sono accessibili al metodo, pur essendo esperienze di verità.Il metodo scientifico rivela qui i suoi limiti, proprio perché, applicato ad ambiti importanti dell'esperienza umana, mostra di lasciarsi sfuggire aspetti essenziali di essa: l'esperienza artistica, morale, politica, religiosa non sono accessibili a un'analisi metodica. Verità e metodo si articola in tre parti: la prima è dedicata alla coscienza estetica, all'esperienza dell'arte, la seconda alle scienze storiche e dello spirito in generale e la terza al linguaggio e alla sua rilevanza ontologica.
Nell'introduzione, Vattimo mette in luce come il confronto con Hegel si articoli in Gadamer in due direzioni: da una parte, di Hegel resta fondamentale la nozione di spirito oggettivo come l'insieme dei rapporti intersoggettivi che si cristallizza in istituzioni a partire dall'intreccio della vita umana nella sua storicità e finitezza, ma, dall'altra, Hegel mantiene l'eredità della filosofia del soggetto e quindi il modello di una coscienza che porta questa esperienza a una condizione di trasparenza, lo spirito assoluto.La coscienza incontra invece, per Gadamer, un'opacità che non può essere superata: la finitezza coinvolge anche le possibilità conoscitive dell'uomo. E tuttavia Gadamer vuole fornire un'indicazione che riempia il vuoto lasciato dalla negazione dello spirito assoluto hegeliano: il tema del linguaggio assume in ciò una funzione essenziale perché ogni forma di comprensione si sviluppa nell'ambito del linguaggio, che è infinito nelle sue articolazioni, ma è insieme finito perché non raggiunge mai la trasparenza.Uno degli aspetti della ricerca di Gadamer sarà proprio vedere come si rapporta la coscienza individuale con la dimensione collettiva dello spirito oggettivo, con una tradizione, passo che Heidegger non avrebbe del tutto condiviso.
La prima parte di Verità e metodo è insieme una critica della coscienza estetica e un'analisi ontologica dell'opera d'arte. Si tratta di una critica nei confronti delle tendenze prevalenti dell'estetica moderna e contemporanea, solidale con l'esperienza che la società moderna fa dell'arte, ossia con l'idea che l'opera d'arte appartenga, in contrapposizione alla verità scientifica, all'apparenza, sia cioè un'esperienza del soggetto che non incide sulla conoscenza scientifica della realtà, sulla verità dell'esperienza. L'arte in questa prospettiva è solo bella apparenza, regno ideale di cui il museo rappresenta la forma pubblica di espressione. La coscienza moderna dà un posto all'arte, collocandola in una posizione irreale. Tutto ciò si accompagna per Gadamer alla retorica dell'artista sradicato dal mondo, del "genio", dell'eccezione secondo la visione romantica.
L'arte va pensata invece nella sua relazione con la realtà, come una forma di esperienza, di conoscenza, come un modo di auto-comprensione: in ciò Gadamer riprende Hegel, sebbene lo critichi per non aver determinato in modo adeguato la specificità dell'arte, il cui contenuto appare essere lo stesso di religione e filosofia.L'arte è dunque un'esperienza di verità. Per analizzare la sua specificità Gadamer usa, tra l'altro la nozione di "gioco" (Spiel): non siamo tanto noi a giocare, quanto è il gioco che ci gioca, noi partecipiamo alla logica del gioco, stiamo al gioco, altrimenti questo non funziona. L'intero ha qui una certa precedenza sul nostro contributo.Come nel gioco, anche nell'esperienza artistica si ha un coinvolgimento, un accadere che sfugge all'intenzionalità cosciente dei partecipanti, implicante il primato di ciò che accade o si rappresenta rispetto alla coscienza del giocatore o dello spettatore.
L'arte tende poi ad "autorappresentarsi", è rivolta a uno spettatore ed è una "trasmutazione in forma", in una struttura. L'arte è cioè mimesis, non nel senso di riproduzione o copia, ma del rapporto che intrattiene con il vero: lo imita trasmutandolo in forma, dandogli una configurazione che lo offre come articolato in struttura. Quei caratteri alla luce dei quali l'opera si distingue dal mondo quotidiano e appare come irreale, cioè la perfezione della forma, la sua conchiusività e definitezza, lungi dal rappresentare un elemento di irrealtà sono il segno che, nell'opera, la realtà si presenta con una verità che non possiede nell'esperienza comune."Trasmutazione in forma è trasferimento del reale sul piano della verità": l'opera è più vera della realtà proprio in quanto è Gebilde, una forma-immagine, struttura compiuta e conchiusa, liberata dalla causalità e dall'indefinitezza che caratterizza l'esperienza quotidiana.
L'opera d'arte è quindi un'esperienza nella forma dell'evento (Ereignis: cfr. Heidegger), un'esperienza (Erfahrung) nel senso hegeliano di "cammino fenomenologico" (cfr. "Introduzione" alla Fenomenologia dello spirito). L'esperienza dell'arte in Gadamer è tale quando è vissuta in profondità suscita un cambiamento nelle prospettive di chi la vive, sia esso spettatore sia esso artista: si tratta di un evento, di un'esperienza di verità nel senso hegeliano di esperienza che modifica il soggetto.In sintesi, potremmo dire a questo proposito che, se l'incontro con l'opera d'arte è capace di segnare così profondamente la vita di una persona, rappresentando per esempio l'inizio di un rinnovamento nel suo modo di vedere il mondo e di atteggiarsi in esso, non possiamo liquidare l'opera mediante il concetto di incanto, sogno, apparenza.
L'incontro con l'opera d'arte è ben altro che il perdersi provvisoriamente in un mondo di sogno, ma è piuttosto un effettivo riaggiustamento di tutto il nostro modo di stare al mondo: "l'esperienza estetica è un modo dell'autocomprensione". Ma la fruizione artistica diventa problema della mediazione tra due mondi, il mondo dell'opera e il mondo del lettore, e cioè un problema ermeneutico concernente proprio il problema dell'integrazione tra questi due mondi.I paragrafi conclusivi della prima parte introducono così alla trattazione seguente, collocando il problema del comprendere in generale (anche quello riferito alle opere d'arte) all'interno della problematica ermeneutica del rapporto con il passato ("L'estetica deve risolversi nell'ermeneutica, VM, 202).Diversamente da Schleiermacher, Hegel - a cui, come sappiamo, Gadamer fa riferimento a questo proposito - ha il merito di intendere il rapporto con il passato non come meramente ricostruttivo ma come integrativo, ovvero come necessariamente mediato dalla storia.
Gadamer si chiede dunque come ci si rapporta alle opere d'arte. Se l'arte trasmette un'eredità spirituale, le opere comunque appartengono a un cammino storico rispetto a cui noi abbiamo una certa distanza. Così si conclude la prima parte di Verità e metodo e si apre la seconda parte riguardante la coscienza storica: non soltanto per l'arte, ma per tutta l'esperienza umana vale il fatto che noi siamo figli di un'eredità che ci viene consegnata nell'esperienza storica.Questa seconda parte si apre con un excursus sul problema dello statuto delle scienze dello spirito del romanticismo a Heidegger. In rapporto alla "coscienza estetica", la "coscienza storica" pretende di poter oggettivare il passato astraendo dal continuum della storia.
Ma, contro i tentativi di fornire alle scienze dello spirito un'assicurazione metodologica sull'esempio delle scienze della natura, Gadamer ritiene, con Heidegger, che solo concependo la comprensione come un modo d'essere dell'Esserci, ovvero come un carattere ontologico della vita umana, è possibile pervenire a una riabilitazione della sua portata veritativa. Ciò richiede una teoria dell'esperienza ermeneutica che è in realtà una teoria del carattere ermeneutica dell'esperienza in generale. In base a questa teoria, "la comprensione non va intesa tanto come un'azione del soggetto, quanto come l'inserirsi nel vivo di un processo di trasmissione storica, nel quale passato e presente continuamente si sintetizzano" (VM, 340).Ciò comporta: la riabilitazione del pregiudizio e della tradizione (a); le nozioni connesse di storia degli effetti (b) e di fusione degli orizzonti (c).
A. Il problema ermeneutico si pone dunque in rapporto alla tradizione. A questo proposito si pone l'alternativa, già citata, tra Schleiermacher e Hegel, tra la "ricostruzione", impossibile e improduttiva perché noi siamo comunque in un altro mondo, e l'"integrazione", come mediazione tra il nostro presente e l'eredità del passato. Gadamer sceglie quest'ultima contro la prima, anche se non può accettare l'idea della piena trasparenza nello spirito assoluto propria dell'integrazione hegeliana.Egli riprende - sulla scia di Hegel - la coscienza della frattura della modernità, della distanza storica rispetto al mondo antico, ma non la estremizza: la separazione si staglia sullo sfondo di una medesima tradizione.
Al passato si accede perché, da una parte, vi è distanza e, dall'altra, qualcosa di comune: siamo in un rapporto di estraneità e familiarità, ossia viviamo in uno stato di medietà tra le due.Se tutto fosse familiare non ci sarebbe bisogno di ermeneutica, se vi fosse una totale estraneità ricadremmo invece nel modello soggetto-oggetto. Qui si inserisce il problema del circolo ermeneutico, che Gadamer ripensa riportandolo nella dimensione della tradizione storica: noi apparteniamo a una tradizione e cerchiamo di comprendere un altro momento di una medesima tradizione, di cui anche noi facciamo parte.Vi è qui una sintesi tra le eredità di Dilthey e di Heidegger: il circolo ermeneutico si basa sul comprendere, conservando la portata ontologica heideggeriana, ma, mentre in Heidegger si parlava di storicità come carattere del singolo, qui essa corrisponde alla tradizione.In questo modo si ripresenta il tema riguardante il modo in cui è possibile ereditare il problema hegeliano dello spirito oggettivo, perché proprio rispetto alle sue manifestazioni storiche e attuali noi abbiamo un'appropriazione di carattere ermeneutico.In questa prospettiva così la precomprensione di Heidegger diventa analisi del pregiudizio e in particolare questo discorso diviene programmaticamente una riabilitazione dei pregiudizi contro l'ottica illuministica.
Una nozione centrale nell'ermeneutica gadameriana è quella di "storia degli effetti" (Wirkungsgeschichte): ogni fenomeno giunge a noi attraverso catene di interpretazioni che ci determinano anche se non ne siamo coscienti. Il tema è dunque quello della storia universale, dell'orizzonte storico complessivo. Se Gadamer riprende su questo punto la prospettiva hegeliana della storia dello spirito, rifiuta però, come già si è visto, la possibilità di uscire dalla finitezza per accedere alla dimensione dello spirito assoluto.La coscienza è storica sia perché è determinata dalla storia degli effetti, sia perché è consapevole di essere in un orizzonte storico proprio e differente rispetto al passato.Mai avulso dalla storia, il procedere ermeneutico fa a sua volta storia poiché, collocandosi nel vivo di un processo di trasmissione storica, può ripensare fecondamente la distanza temporale come "storia degli effetti", che nutre e origina quella precomprensione da cui la comprensione muove, e contemporaneamente inserirvisi in modo tale che il suo stesso operare si renda produttivo di nuova storia.Ogni rapporto con il passato è quindi mediato dagli effetti della trasmissione storica, che agiscono positivamente e limitativamente sulla sua comprensione, come un elemento "sostanziale" che la coscienza stessa non domina.La coscienza determinata storicamente è "più essere che coscienza": essere storico "significa non poter mai risolversi totalmente in autotrasparenza" (VM, 352).
La comprensione si rivela perciò come un accadere storico, nel quale assume un'importanza fondamentale il momento dell'applicatio, cioè della "riattualizzazione" del senso: di qui il carattere esemplare dell'etica aristotelica (come sapere non tecnico fondato sulla nozione di phronesis, saggezza pratica) e dell'ermeneutica giuridica (giudice) e teologica (predicatore). L'applicatio non è un momento accidentale che possa eventualmente aggiungersi quando qualcosa è già stato compreso, cioè non è una mera concretizzazione del senso universale già inteso. Essa è una integrazione tra passato e presente (cfr. VM, 376, 395).
C. Il fine dell'interpretazione è per Gadamer è la "fusione degli orizzonti" (Horizontverschmelung) tra testo e interprete: solo l'unificazione tra i due permette la comprensione. Ciò è possibile perché i due orizzonti appartengono alla stessa storia. Proprio perché il soggetto del sapere è sempre storico, il suo rapporto con il passato non può che assumere la forma di un'integrazione, di una fusione di orizzonti. Il carattere aperto dell'interpretazione risiede proprio nel fatto che l'integrazione a cui essa mira non è messa a disposizione dell'oggetto, ma una fusione di orizzonti, da intendersi come circolo ermeneutico e dialogo tra l'interprete e il suo oggetto, proprio perché la comprensione opera una fusione in forme "sempre nuove e vitali", in una dialettica continua di domanda e risposta. La fusione è "quel cerchio che abbraccia e comprende tutto ciò che è visibile da un certo punto" e quindi non è mai completa identità senza alterità.
Conclude la seconda parte una definizione del concetto di esperienza, non come rapporto tra un soggetto e un oggetto in sé statici e indifferenti, ma come confronto trasformante con l'altro da sé, sul modello della corrispondente - e già richiamata - nozione hegeliana. Diversamente da Hegel, però, Gadamer intende tale rapporto non come assimilazione dell'altro da parte della coscienza ma come dialogo continuo. L'esperienza storica è dialogo con la tradizione, la quale ci parla come un linguaggio: la dialettica platonica, più che quella hegeliana, assurge quindi a modello del rapporto ermeneutico con la tradizione, la quale chiede di essere compresa.Di qui il primato della domanda, come orizzonte di senso, in quanto essa indica la direzione (senso) che orienta ogni comprensione.
In questo contesto si inserisce la polemica di Gadamer contro il procedimento dimostrativo, cui egli oppone il dialogo e la dialettica in senso platonico, come esercizio di domanda e risposta. L'interpretazione nasce proprio come intreccio di domande e risposte: l'interrogazione del testo da parte dell'interprete scaturisce già da una domanda che il testo muove all'interprete, ma d'altra parte il testo stesso è in ultima istanza anch'esso risposta a una domanda che lo precede e che deriva dal contesto in cui nasce.La critica mossa da Habermas a questa prospettiva riguarda l'esclusiva sottolineatura gadameriana della finezza e della storicità dell'esistenza, che a suo avviso impedirebbero l'esercizio critico del pensiero (critica dell'ideologia), il quale può nascere solo dalla distanza.
D'altra parte, si può osservare come una piena e pura trasparenza critica sia impossibile senza ricadere nell'idea hegeliana dello spirito assoluto. Per Habermas l'ermeneutica manca di riflessione critica; per Gadamer l'ermeneutica (della finitezza) emancipa nella misura in cui mostra l'astrattezza dei metodi scientifici, dello storicismo, della coscienza estetica.Dal punto di vista gadameriano, effettivamente, la critica dell'ideologia di impianto francofortese può funzionare solo assumendo come criterio un Grund in qualche modo assoluto, dichiarato esente da ogni limitazione ideologica, mentre per l'ermeneutica ogni critica può esercitarsi solo a partire da un orizzonte storico-culturale determinato.
Nella terza parte di Verità e metodo viene esplicitato il carattere linguistico della comprensione, poiché "il linguaggio è il medium in cui gli interlocutori si comprendono e in cui si verifica l'intesa della cosa". Qui Gadamer applica al linguaggio le nozioni esaminate nelle parti precedenti: il linguaggio è gioco (perché trascende le singole soggettività); è trasmutazione in forma (perché ha un potere "creativo" e non meramente strumentale, nel senso che la denominazione non è un momento successivo e accidentale per la cosa, ma è ad essa coessenziale; la parola cioè concresce con la cosa e le appartiene, in quanto appartiene alla cosa l'esperienza che l'uomo ne fa); è storico (perché è nel linguaggio che la mediazione storica si deposita e si tramanda).
Gadamer intende quindi il linguaggio, sulla scia del secondo Heidegger, nella sua funzione ontologica. Per lui non vi è possibilità di un'esperienza al di fuori del linguaggio: quest'ultimo precede l'esperienza in quanto complesso di relazioni che già sempre ci precede e ci determina. La dimensione linguistica ha un carattere universale che precede il parlante. L'uomo è sempre inserito in un orizzonte del mondo che è linguistico e che rappresenta una totalità di senso mai riducibile a oggetto. In questa prospettiva non è mai possibile un'esperienza prelinguistica, che fuoriesca dall'orizzonte del linguaggio.Il linguaggio presenta dunque un duplice carattere: da un lato è assoluto, universale, spirituale, ma dall'altro è finito, opaco, storico.Gadamer sinteticamente afferma: "L'essere che può venir compreso è linguaggio" (VM, 542).
L'essere può essere compreso solo in quanto si dà nel linguaggio. Nel linguaggio è l'essere che si rende comprensibile. L'essere si manifesta a noi nel linguaggio.Ancora due rilievi. Il primo riguarda il fatto che l'interesse che guida e orienta l'interpretazione è per Gadamer fondamentalmente l'interesse per la verità: nello sforzo di comprensione dei testi non è soltanto il loro senso come tale che ci interessa, ma la supposta verità di quel senso, la "cosa stessa" cui il testo si riferisce.Tuttavia questa verità non si dà al di fuori della tradizione storica e del linguaggio che la esprime ed anzi si può dire che alla tradizione e al linguaggio e affidata senza residui.In secondo luogo, Gadamer parla di speculatività del linguaggio e cioè di un rispecchiamento in cui l'immagine rispecchiante (la parola) partecipa del manifestato e lo manifesta, al punto da risolversi in ciò, quasi scomparendo di fronte a ciò che manifesta (la cosa detta). D'altra parte, ciò che viene rispecchiato non ha un'esistenza propria indipendente dal rispecchiamento - che in questo caso sarebbe come una seconda esistenza - ma esiste soltanto nella parola rispecchiante.
Il linguaggio è dunque per un verso una totalità assoluta, che non può essere trascesa, ma per altro verso non è assoluto perché non è produzione, ma soltanto autorappresentazione dell'essere. Il linguaggio dunque è speculativo: non produce l'essere, ma lo rappresenta e d'altra parte non si limita a riflettere l'essere, ma è l'unico modo in cui l'essere si dà (cfr. VM, 542).In conclusione si può evidenziare come l'ermeneutica gadameriana abbia un carattere universale perché riguarda heideggerianamente il comprendere come apertura al mondo nel suo rapporto con il passato. L'ermeneutica riguarda poi l'ontologia e un'ontologia linguistica, perché l'essere è linguaggio come apertura del e al mondo, come orizzonte della nostra comprensione del mondo.Contribuendo a urbanizzare la provincia heideggeriana (Habermas), con questo testo Gadamer ha universalizzato, sulla scia di un'ontologia del linguaggio, la problematica ermeneutica, dando impulso a un vasto movimento in cui si sono riconosciuti o con cui hanno dialogato autori come Pareyson, Vattimo, Ricoeur, Derrida, Rorty, Apel, Habermas.
Il titolo Verità e metodo indica una contrapposizione tra i due concetti, sottendendo in particolare una critica nei confronti dell'ideale del metodo. Se Dilthey o (il neokantismo) Windelband cercavano di rivendicare l'originalità delle scienze dello spirito rispetto alle scienze della natura, per Gadamer ciò ha comunque spesso comportato la trasposizione sul piano umano dei metodi delle scienze esatte. Ma vi sono esperienze umane che non sono accessibili al metodo, pur essendo esperienze di verità.Il metodo scientifico rivela qui i suoi limiti, proprio perché, applicato ad ambiti importanti dell'esperienza umana, mostra di lasciarsi sfuggire aspetti essenziali di essa: l'esperienza artistica, morale, politica, religiosa non sono accessibili a un'analisi metodica. Verità e metodo si articola in tre parti: la prima è dedicata alla coscienza estetica, all'esperienza dell'arte, la seconda alle scienze storiche e dello spirito in generale e la terza al linguaggio e alla sua rilevanza ontologica.
Nell'introduzione, Vattimo mette in luce come il confronto con Hegel si articoli in Gadamer in due direzioni: da una parte, di Hegel resta fondamentale la nozione di spirito oggettivo come l'insieme dei rapporti intersoggettivi che si cristallizza in istituzioni a partire dall'intreccio della vita umana nella sua storicità e finitezza, ma, dall'altra, Hegel mantiene l'eredità della filosofia del soggetto e quindi il modello di una coscienza che porta questa esperienza a una condizione di trasparenza, lo spirito assoluto.La coscienza incontra invece, per Gadamer, un'opacità che non può essere superata: la finitezza coinvolge anche le possibilità conoscitive dell'uomo. E tuttavia Gadamer vuole fornire un'indicazione che riempia il vuoto lasciato dalla negazione dello spirito assoluto hegeliano: il tema del linguaggio assume in ciò una funzione essenziale perché ogni forma di comprensione si sviluppa nell'ambito del linguaggio, che è infinito nelle sue articolazioni, ma è insieme finito perché non raggiunge mai la trasparenza.Uno degli aspetti della ricerca di Gadamer sarà proprio vedere come si rapporta la coscienza individuale con la dimensione collettiva dello spirito oggettivo, con una tradizione, passo che Heidegger non avrebbe del tutto condiviso.
La prima parte di Verità e metodo è insieme una critica della coscienza estetica e un'analisi ontologica dell'opera d'arte. Si tratta di una critica nei confronti delle tendenze prevalenti dell'estetica moderna e contemporanea, solidale con l'esperienza che la società moderna fa dell'arte, ossia con l'idea che l'opera d'arte appartenga, in contrapposizione alla verità scientifica, all'apparenza, sia cioè un'esperienza del soggetto che non incide sulla conoscenza scientifica della realtà, sulla verità dell'esperienza. L'arte in questa prospettiva è solo bella apparenza, regno ideale di cui il museo rappresenta la forma pubblica di espressione. La coscienza moderna dà un posto all'arte, collocandola in una posizione irreale. Tutto ciò si accompagna per Gadamer alla retorica dell'artista sradicato dal mondo, del "genio", dell'eccezione secondo la visione romantica.
L'arte va pensata invece nella sua relazione con la realtà, come una forma di esperienza, di conoscenza, come un modo di auto-comprensione: in ciò Gadamer riprende Hegel, sebbene lo critichi per non aver determinato in modo adeguato la specificità dell'arte, il cui contenuto appare essere lo stesso di religione e filosofia.L'arte è dunque un'esperienza di verità. Per analizzare la sua specificità Gadamer usa, tra l'altro la nozione di "gioco" (Spiel): non siamo tanto noi a giocare, quanto è il gioco che ci gioca, noi partecipiamo alla logica del gioco, stiamo al gioco, altrimenti questo non funziona. L'intero ha qui una certa precedenza sul nostro contributo.Come nel gioco, anche nell'esperienza artistica si ha un coinvolgimento, un accadere che sfugge all'intenzionalità cosciente dei partecipanti, implicante il primato di ciò che accade o si rappresenta rispetto alla coscienza del giocatore o dello spettatore.
L'arte tende poi ad "autorappresentarsi", è rivolta a uno spettatore ed è una "trasmutazione in forma", in una struttura. L'arte è cioè mimesis, non nel senso di riproduzione o copia, ma del rapporto che intrattiene con il vero: lo imita trasmutandolo in forma, dandogli una configurazione che lo offre come articolato in struttura. Quei caratteri alla luce dei quali l'opera si distingue dal mondo quotidiano e appare come irreale, cioè la perfezione della forma, la sua conchiusività e definitezza, lungi dal rappresentare un elemento di irrealtà sono il segno che, nell'opera, la realtà si presenta con una verità che non possiede nell'esperienza comune."Trasmutazione in forma è trasferimento del reale sul piano della verità": l'opera è più vera della realtà proprio in quanto è Gebilde, una forma-immagine, struttura compiuta e conchiusa, liberata dalla causalità e dall'indefinitezza che caratterizza l'esperienza quotidiana.
L'opera d'arte è quindi un'esperienza nella forma dell'evento (Ereignis: cfr. Heidegger), un'esperienza (Erfahrung) nel senso hegeliano di "cammino fenomenologico" (cfr. "Introduzione" alla Fenomenologia dello spirito). L'esperienza dell'arte in Gadamer è tale quando è vissuta in profondità suscita un cambiamento nelle prospettive di chi la vive, sia esso spettatore sia esso artista: si tratta di un evento, di un'esperienza di verità nel senso hegeliano di esperienza che modifica il soggetto.In sintesi, potremmo dire a questo proposito che, se l'incontro con l'opera d'arte è capace di segnare così profondamente la vita di una persona, rappresentando per esempio l'inizio di un rinnovamento nel suo modo di vedere il mondo e di atteggiarsi in esso, non possiamo liquidare l'opera mediante il concetto di incanto, sogno, apparenza.
L'incontro con l'opera d'arte è ben altro che il perdersi provvisoriamente in un mondo di sogno, ma è piuttosto un effettivo riaggiustamento di tutto il nostro modo di stare al mondo: "l'esperienza estetica è un modo dell'autocomprensione". Ma la fruizione artistica diventa problema della mediazione tra due mondi, il mondo dell'opera e il mondo del lettore, e cioè un problema ermeneutico concernente proprio il problema dell'integrazione tra questi due mondi.I paragrafi conclusivi della prima parte introducono così alla trattazione seguente, collocando il problema del comprendere in generale (anche quello riferito alle opere d'arte) all'interno della problematica ermeneutica del rapporto con il passato ("L'estetica deve risolversi nell'ermeneutica, VM, 202).Diversamente da Schleiermacher, Hegel - a cui, come sappiamo, Gadamer fa riferimento a questo proposito - ha il merito di intendere il rapporto con il passato non come meramente ricostruttivo ma come integrativo, ovvero come necessariamente mediato dalla storia.
Gadamer si chiede dunque come ci si rapporta alle opere d'arte. Se l'arte trasmette un'eredità spirituale, le opere comunque appartengono a un cammino storico rispetto a cui noi abbiamo una certa distanza. Così si conclude la prima parte di Verità e metodo e si apre la seconda parte riguardante la coscienza storica: non soltanto per l'arte, ma per tutta l'esperienza umana vale il fatto che noi siamo figli di un'eredità che ci viene consegnata nell'esperienza storica.Questa seconda parte si apre con un excursus sul problema dello statuto delle scienze dello spirito del romanticismo a Heidegger. In rapporto alla "coscienza estetica", la "coscienza storica" pretende di poter oggettivare il passato astraendo dal continuum della storia.
Ma, contro i tentativi di fornire alle scienze dello spirito un'assicurazione metodologica sull'esempio delle scienze della natura, Gadamer ritiene, con Heidegger, che solo concependo la comprensione come un modo d'essere dell'Esserci, ovvero come un carattere ontologico della vita umana, è possibile pervenire a una riabilitazione della sua portata veritativa. Ciò richiede una teoria dell'esperienza ermeneutica che è in realtà una teoria del carattere ermeneutica dell'esperienza in generale. In base a questa teoria, "la comprensione non va intesa tanto come un'azione del soggetto, quanto come l'inserirsi nel vivo di un processo di trasmissione storica, nel quale passato e presente continuamente si sintetizzano" (VM, 340).Ciò comporta: la riabilitazione del pregiudizio e della tradizione (a); le nozioni connesse di storia degli effetti (b) e di fusione degli orizzonti (c).
A. Il problema ermeneutico si pone dunque in rapporto alla tradizione. A questo proposito si pone l'alternativa, già citata, tra Schleiermacher e Hegel, tra la "ricostruzione", impossibile e improduttiva perché noi siamo comunque in un altro mondo, e l'"integrazione", come mediazione tra il nostro presente e l'eredità del passato. Gadamer sceglie quest'ultima contro la prima, anche se non può accettare l'idea della piena trasparenza nello spirito assoluto propria dell'integrazione hegeliana.Egli riprende - sulla scia di Hegel - la coscienza della frattura della modernità, della distanza storica rispetto al mondo antico, ma non la estremizza: la separazione si staglia sullo sfondo di una medesima tradizione.
Al passato si accede perché, da una parte, vi è distanza e, dall'altra, qualcosa di comune: siamo in un rapporto di estraneità e familiarità, ossia viviamo in uno stato di medietà tra le due.Se tutto fosse familiare non ci sarebbe bisogno di ermeneutica, se vi fosse una totale estraneità ricadremmo invece nel modello soggetto-oggetto. Qui si inserisce il problema del circolo ermeneutico, che Gadamer ripensa riportandolo nella dimensione della tradizione storica: noi apparteniamo a una tradizione e cerchiamo di comprendere un altro momento di una medesima tradizione, di cui anche noi facciamo parte.Vi è qui una sintesi tra le eredità di Dilthey e di Heidegger: il circolo ermeneutico si basa sul comprendere, conservando la portata ontologica heideggeriana, ma, mentre in Heidegger si parlava di storicità come carattere del singolo, qui essa corrisponde alla tradizione.In questo modo si ripresenta il tema riguardante il modo in cui è possibile ereditare il problema hegeliano dello spirito oggettivo, perché proprio rispetto alle sue manifestazioni storiche e attuali noi abbiamo un'appropriazione di carattere ermeneutico.In questa prospettiva così la precomprensione di Heidegger diventa analisi del pregiudizio e in particolare questo discorso diviene programmaticamente una riabilitazione dei pregiudizi contro l'ottica illuministica.
Una nozione centrale nell'ermeneutica gadameriana è quella di "storia degli effetti" (Wirkungsgeschichte): ogni fenomeno giunge a noi attraverso catene di interpretazioni che ci determinano anche se non ne siamo coscienti. Il tema è dunque quello della storia universale, dell'orizzonte storico complessivo. Se Gadamer riprende su questo punto la prospettiva hegeliana della storia dello spirito, rifiuta però, come già si è visto, la possibilità di uscire dalla finitezza per accedere alla dimensione dello spirito assoluto.La coscienza è storica sia perché è determinata dalla storia degli effetti, sia perché è consapevole di essere in un orizzonte storico proprio e differente rispetto al passato.Mai avulso dalla storia, il procedere ermeneutico fa a sua volta storia poiché, collocandosi nel vivo di un processo di trasmissione storica, può ripensare fecondamente la distanza temporale come "storia degli effetti", che nutre e origina quella precomprensione da cui la comprensione muove, e contemporaneamente inserirvisi in modo tale che il suo stesso operare si renda produttivo di nuova storia.Ogni rapporto con il passato è quindi mediato dagli effetti della trasmissione storica, che agiscono positivamente e limitativamente sulla sua comprensione, come un elemento "sostanziale" che la coscienza stessa non domina.La coscienza determinata storicamente è "più essere che coscienza": essere storico "significa non poter mai risolversi totalmente in autotrasparenza" (VM, 352).
La comprensione si rivela perciò come un accadere storico, nel quale assume un'importanza fondamentale il momento dell'applicatio, cioè della "riattualizzazione" del senso: di qui il carattere esemplare dell'etica aristotelica (come sapere non tecnico fondato sulla nozione di phronesis, saggezza pratica) e dell'ermeneutica giuridica (giudice) e teologica (predicatore). L'applicatio non è un momento accidentale che possa eventualmente aggiungersi quando qualcosa è già stato compreso, cioè non è una mera concretizzazione del senso universale già inteso. Essa è una integrazione tra passato e presente (cfr. VM, 376, 395).
C. Il fine dell'interpretazione è per Gadamer è la "fusione degli orizzonti" (Horizontverschmelung) tra testo e interprete: solo l'unificazione tra i due permette la comprensione. Ciò è possibile perché i due orizzonti appartengono alla stessa storia. Proprio perché il soggetto del sapere è sempre storico, il suo rapporto con il passato non può che assumere la forma di un'integrazione, di una fusione di orizzonti. Il carattere aperto dell'interpretazione risiede proprio nel fatto che l'integrazione a cui essa mira non è messa a disposizione dell'oggetto, ma una fusione di orizzonti, da intendersi come circolo ermeneutico e dialogo tra l'interprete e il suo oggetto, proprio perché la comprensione opera una fusione in forme "sempre nuove e vitali", in una dialettica continua di domanda e risposta. La fusione è "quel cerchio che abbraccia e comprende tutto ciò che è visibile da un certo punto" e quindi non è mai completa identità senza alterità.
Conclude la seconda parte una definizione del concetto di esperienza, non come rapporto tra un soggetto e un oggetto in sé statici e indifferenti, ma come confronto trasformante con l'altro da sé, sul modello della corrispondente - e già richiamata - nozione hegeliana. Diversamente da Hegel, però, Gadamer intende tale rapporto non come assimilazione dell'altro da parte della coscienza ma come dialogo continuo. L'esperienza storica è dialogo con la tradizione, la quale ci parla come un linguaggio: la dialettica platonica, più che quella hegeliana, assurge quindi a modello del rapporto ermeneutico con la tradizione, la quale chiede di essere compresa.Di qui il primato della domanda, come orizzonte di senso, in quanto essa indica la direzione (senso) che orienta ogni comprensione.
In questo contesto si inserisce la polemica di Gadamer contro il procedimento dimostrativo, cui egli oppone il dialogo e la dialettica in senso platonico, come esercizio di domanda e risposta. L'interpretazione nasce proprio come intreccio di domande e risposte: l'interrogazione del testo da parte dell'interprete scaturisce già da una domanda che il testo muove all'interprete, ma d'altra parte il testo stesso è in ultima istanza anch'esso risposta a una domanda che lo precede e che deriva dal contesto in cui nasce.La critica mossa da Habermas a questa prospettiva riguarda l'esclusiva sottolineatura gadameriana della finezza e della storicità dell'esistenza, che a suo avviso impedirebbero l'esercizio critico del pensiero (critica dell'ideologia), il quale può nascere solo dalla distanza.
D'altra parte, si può osservare come una piena e pura trasparenza critica sia impossibile senza ricadere nell'idea hegeliana dello spirito assoluto. Per Habermas l'ermeneutica manca di riflessione critica; per Gadamer l'ermeneutica (della finitezza) emancipa nella misura in cui mostra l'astrattezza dei metodi scientifici, dello storicismo, della coscienza estetica.Dal punto di vista gadameriano, effettivamente, la critica dell'ideologia di impianto francofortese può funzionare solo assumendo come criterio un Grund in qualche modo assoluto, dichiarato esente da ogni limitazione ideologica, mentre per l'ermeneutica ogni critica può esercitarsi solo a partire da un orizzonte storico-culturale determinato.
Nella terza parte di Verità e metodo viene esplicitato il carattere linguistico della comprensione, poiché "il linguaggio è il medium in cui gli interlocutori si comprendono e in cui si verifica l'intesa della cosa". Qui Gadamer applica al linguaggio le nozioni esaminate nelle parti precedenti: il linguaggio è gioco (perché trascende le singole soggettività); è trasmutazione in forma (perché ha un potere "creativo" e non meramente strumentale, nel senso che la denominazione non è un momento successivo e accidentale per la cosa, ma è ad essa coessenziale; la parola cioè concresce con la cosa e le appartiene, in quanto appartiene alla cosa l'esperienza che l'uomo ne fa); è storico (perché è nel linguaggio che la mediazione storica si deposita e si tramanda).
Gadamer intende quindi il linguaggio, sulla scia del secondo Heidegger, nella sua funzione ontologica. Per lui non vi è possibilità di un'esperienza al di fuori del linguaggio: quest'ultimo precede l'esperienza in quanto complesso di relazioni che già sempre ci precede e ci determina. La dimensione linguistica ha un carattere universale che precede il parlante. L'uomo è sempre inserito in un orizzonte del mondo che è linguistico e che rappresenta una totalità di senso mai riducibile a oggetto. In questa prospettiva non è mai possibile un'esperienza prelinguistica, che fuoriesca dall'orizzonte del linguaggio.Il linguaggio presenta dunque un duplice carattere: da un lato è assoluto, universale, spirituale, ma dall'altro è finito, opaco, storico.Gadamer sinteticamente afferma: "L'essere che può venir compreso è linguaggio" (VM, 542).
L'essere può essere compreso solo in quanto si dà nel linguaggio. Nel linguaggio è l'essere che si rende comprensibile. L'essere si manifesta a noi nel linguaggio.Ancora due rilievi. Il primo riguarda il fatto che l'interesse che guida e orienta l'interpretazione è per Gadamer fondamentalmente l'interesse per la verità: nello sforzo di comprensione dei testi non è soltanto il loro senso come tale che ci interessa, ma la supposta verità di quel senso, la "cosa stessa" cui il testo si riferisce.Tuttavia questa verità non si dà al di fuori della tradizione storica e del linguaggio che la esprime ed anzi si può dire che alla tradizione e al linguaggio e affidata senza residui.In secondo luogo, Gadamer parla di speculatività del linguaggio e cioè di un rispecchiamento in cui l'immagine rispecchiante (la parola) partecipa del manifestato e lo manifesta, al punto da risolversi in ciò, quasi scomparendo di fronte a ciò che manifesta (la cosa detta). D'altra parte, ciò che viene rispecchiato non ha un'esistenza propria indipendente dal rispecchiamento - che in questo caso sarebbe come una seconda esistenza - ma esiste soltanto nella parola rispecchiante.
Il linguaggio è dunque per un verso una totalità assoluta, che non può essere trascesa, ma per altro verso non è assoluto perché non è produzione, ma soltanto autorappresentazione dell'essere. Il linguaggio dunque è speculativo: non produce l'essere, ma lo rappresenta e d'altra parte non si limita a riflettere l'essere, ma è l'unico modo in cui l'essere si dà (cfr. VM, 542).In conclusione si può evidenziare come l'ermeneutica gadameriana abbia un carattere universale perché riguarda heideggerianamente il comprendere come apertura al mondo nel suo rapporto con il passato. L'ermeneutica riguarda poi l'ontologia e un'ontologia linguistica, perché l'essere è linguaggio come apertura del e al mondo, come orizzonte della nostra comprensione del mondo.Contribuendo a urbanizzare la provincia heideggeriana (Habermas), con questo testo Gadamer ha universalizzato, sulla scia di un'ontologia del linguaggio, la problematica ermeneutica, dando impulso a un vasto movimento in cui si sono riconosciuti o con cui hanno dialogato autori come Pareyson, Vattimo, Ricoeur, Derrida, Rorty, Apel, Habermas.