Pareyson
Pareyson (1918-1991), laureato nel 1939 a Torino sotto la guida di Guzzo con un lavoro su Jaspers, si è formato in un ambiente dominato dal neoidealismo di Croce e di Gentile e dal neotomismo cattolico.Vi erano poi figure singole che si tenevano a distanza dalle linee dominanti, tra cui la più rilevante è quella di Piero Martinetti. In questo contesto irrompe l'esistenzialismo, percepito da Pareyson come un movimento di rottura rispetto alla filosofia italiana a lui contemporanea; ma egli è influenzato anche dalla teologia dialettica di Barth che recepisce e rielabora temi kierkegaardiani.L'interesse di Pareyson è rivolto innanzitutto alla questione della singolarità che non può essere ricondotta al sistema: l'esistenzialismo è infatti per lui un momento del processo di dissoluzione dell'hegelismo, della sintesi hegeliana.Il pensiero moderno per Pareyson è un cammino dominato da una corrente principale che tende all'immanenza, perché la modernità è esperienza della libertà del soggetto che, da Cartesio in poi, giunge a compimento in Hegel.
Quest'ultimo rappresenta il culmine di questo cammino che vuole superare (aufheben) il cristianesimo stesso in un processo di progressiva secolarizzazione. Hegel nel suo sistema ha portato a compimento tutte le linee del percorso della cultura occidentale: per Pareyson nella filosofia hegeliana si mostra l'autonomia dell'uomo moderno che vuole inglobare l'eredità cristiana, ma che finisce col trasformarla in modo da non lasciarla più tale. Il cristianesimo ha infatti come tema un eterno che incontra il tempo nell'istante, un Dio che è totalmente altro, una fede che non si può riportare al movimento del concetto (cfr. Kierkegaard, Barth). Ma più in generale Pareyson individua un'ambiguità nel pensiero hegeliano relativa al rapporto tra finito e infinito: Hegel pone estrema attenzione al finito, ma nello stesso tempo quando viene costantemente superato nella sua negatività, viene riportato all'infinito, alla totalità.
Anche la relazione tra storia della filosofia e filosofia assoluta è per Pareyson ambigua: a suo avviso Hegel coglie infatti il carattere radicalmente storico di ogni filosofia, di ogni verità filosofica, ma l'ultima filosofia, la sua, esprime l'intero, è vera in modo compiuto e dunque si sottrae alla condizionatezza storica. In realtà, ogni pensiero in quanto legato alla finitezza è per Pareyson una prospettiva sulla verità, che è unica ma mai coglibile nella sua totalità. Questa è una visione sviluppata negli anni Cinquanta, parallela a quella di Gadamer e Ricoeur, che pone quindi Pareyson tra i maestri dell'ermeneutica contemporanea.
Dalla dissoluzione dell'hegelismo, escono, a suo modo di vedere, due linee: Feuerbach e Kierkegaard. Il primo rovescia il sistema nel senso che non è lo spirito, l'infinito ad essere la fonte della concretezza dell'umano, ma il contrario; il secondo invece disarticola il sistema per cui il singolo non è riducibile alla totalità, ma rimane di fronte a Dio come all'essere eterno che tocca il tempo nell'istante. Queste due posizioni si sviluppano nelle due correnti che dominano la scena della filosofia continentale post-hegeliana: da un lato si afferma il marxismo, dall'altro l'esistenzialismo di Heidegger e Jaspers.Ma, secondo Pareyson, anche l'esistenzialismo resta imprigionato nelle categorie di Hegel usate già da Kierkegaard, ossia pensa l'uomo, il finito come negativo. Si tratta di una concezione antropologica inadeguata che porta a una visione sempre negativa dell'umano.Per superare questa impostazione Pareyson sviluppa un personalismo che non privilegia l'aspetto teorico dell'uomo, ma tenta di coglierne ogni aspetto positivo e negativo: l'esistenza è caratterizzata nel suo rapportarsi a se stessa in quanto si rapporta ad altro, è coincidenza di autorelazione ed eterorelazione, in cui l'altro primariamente è l'essere: si tratta di un "personalismo ontologico", fondato su una concezione della persona, intesa - nel suo essere "positiva e insufficiente"- come rapporto con l'essere (Esistenza e persona, 1950).
A questa prima fase (esistenzialistico-personalistica) della riflessione pareysoniana, ne segue una seconda più specificatamente ermeneutica, in cui si inserisce il testo Verità e interpretazione che si sviluppa negli anni Sessanta.Per sviluppare la propria ermeneutica, Pareyson parte da una critica alla prospettiva heideggeriana: Heidegger ha legato il pensiero all'essere, ma ha concepito quest'ultimo come qualcosa che si sottrae a tal punto da divenire inafferrabile e ineffabile.A questo "misticismo dell'ineffabile" Pareyson sostituisce invece "l'ontologia dell'inesauribile", una prospettiva per cui la filosofia si radica nella verità, intesa nel senso dell'essere dell'esistenzialismo e non della totalità hegeliana; l'essere però non rappresenta heideggerianamente ciò che sempre si ritrae, ma indica una radice, una fonte d'essere (la verità) che non viene mai esaurita (in quanto inesauribile) e che è colta nell'interpretazione, anche se sempre solo nella sua ulteriorità rispetto ad essa.Pareyson introduce anche una riflessione sull'atteggiamento del pensiero adeguato, autentico: esso è espressivo e rivelato insieme, cioè si esprime sempre la relazione storica, esistenziale con la verità e insieme rivela quest'ultima. Ma vi è anche un pensiero che si limita solo a esprimere il tempo e rimane espressione dei propri interessi, pur presentandoli sotto la forma della verità: si tratta dell'ideologia come falsa coscienza.Ciò si qualifica comunque solo all'interno di una scelta libera per la filosofia o per un pensiero strumentale. Il tema della libertà come alternativa fra fedeltà o tradimento della verità verrà poi sviluppato nella terza fase del pensiero pareysoniano, nella cosiddetta "ontologia della libertà".
Nella terza fase della sua riflessione Pareyson sviluppa infatti il tema della libertà, intesa come scelta tra un'alternativa sempre duale, cui è legato un ulteriore approfondimento della nozione di essere. Se noi facciamo l'esperienza della libertà, non ci può essere alla radice dell'esistenza qualcosa di necessario, perché solo la libertà precede se stessa e ciò vale tanto più per la concezione di Dio e dell'assoluto: dunque l'essere stesso è libertà. La filosofia diventa in questa fase "ermeneutica dell'esperienza religiosa" e quindi in tal modo anche il pensiero filosofico può parlare del Dio colto nell'esperienza religiosa. Questo passaggio è dovuto al fatto che i temi radicali dell'esperienza umana- la libertà, il male, il senso - sono affrontati in modo particolare proprio solo nell'esperienza religiosa e nell'arte.
Pareyson elabora a questo proposito una concezione del mito inteso come pensiero originario, che affronta i grandi enigmi dell'esperienza umana. A suo modo di vedere, la filosofia segue il mito, lo interpreta e, nel caso in particolare del mito cristiano, ne mostra la rilevanza anche per chi non è credente, universalizzandolo. Nell'Ontologia della libertà (uscita postuma, 1995) alla radice della realtà viene posto un essere non necessario, per cui occorre pensare a una libertà di Dio, presente fin dall'inizio: Dio già nel momento originario è insieme scelta tra essere e non-essere e scelta inequivocabile per l'essere (per il bene).Si tratta di un "pensiero tragico" che pone il male in Dio, ma solo come possibilità che Dio stesso ha incontrato e ha scartato per sempre, pur rimanendo come ombra in Lui, che l'uomo attualizza nel momento in cui compie il male.
Il testo Verità e interpretazione è del 1970 e fornisce i punti salienti della teoria dell'interpretazione pareysoniana. Pareyson esordisce affermando come ogni relazione umana abbia un carattere interpretativo: l'interpretazione però è universale in quanto originaria e cioè nel suo essere apertura all'essere - verità. Interpretare significa trascendere l'ente verso l'essere. L'ermeneutica è dunque radicata nell'ontologia e l'ontologia è tale perché è ermeneutica: la verità si dà nell'interpretazione e l'interpretazione è solo della verità.L'interpretazione ha un aspetto storico, espressivo e ha insieme un carattere rivelativo.Proprio per questo motivo le interpretazioni sono molteplici, ogni esistenza è infatti rapporto con l'essere e quindi può essere interpretazione della verità: la pluralità è segno della ricchezza dell'essere.Non si deve però pensare che l'interpretazione sia radicalmente soggettiva perché essa è comunque un modo in cui si coglie la verità, si esprime il proprio radicamento nell'essere.
L'unicità della verità e la molteplicità delle sue interpretazioni sono inseparabili, perché secondo un modello esistenzialistico non vi è un accesso separato alla verità, ma ad essa si giunge attraverso la propria storicità.Errata sarebbe però l'idea che l'interpretazione possa porsi al posto della verità, altrimenti o un'unica interpretazione avrebbe il monopolio della verità o tutte le interpretazioni sarebbero suoi travestimenti. Il dogmatismo e il relativismo stanno così sullo stesso piano perché presuppongono una concezione oggettivata della verità, confondendo e separando unicità della verità e molteplicità delle sue interpretazioni, mentre la verità è sempre solo in un'interpretazione.L'interpretazione non è dunque un rapporto tra soggetto e oggetto: al soggettivismo va sostituita la nozione di persona come apertura all'alterità e d'altra parte l'essere, la verità non può essere colta come oggetto, proprio perché non è a disposizione. La verità è fonte inesauribile e non è né un contenuto ne virtualità. Il rapporto alla verità non è una relazione parte-tutto, non è un tutto che si ottiene mettendo insieme le parti (di verità), perché essa non è un ente; e a questo riguardo non vale neppure il modello dell'esplicitazione, perché la verità è inesauribile e dunque l'interpretazione ha sempre qualcosa di non-detto. Questo implicito può stimolare sempre di nuovo, senza che possa essere comunque portato a esplicitazione completa.
Quest'ultimo rappresenta il culmine di questo cammino che vuole superare (aufheben) il cristianesimo stesso in un processo di progressiva secolarizzazione. Hegel nel suo sistema ha portato a compimento tutte le linee del percorso della cultura occidentale: per Pareyson nella filosofia hegeliana si mostra l'autonomia dell'uomo moderno che vuole inglobare l'eredità cristiana, ma che finisce col trasformarla in modo da non lasciarla più tale. Il cristianesimo ha infatti come tema un eterno che incontra il tempo nell'istante, un Dio che è totalmente altro, una fede che non si può riportare al movimento del concetto (cfr. Kierkegaard, Barth). Ma più in generale Pareyson individua un'ambiguità nel pensiero hegeliano relativa al rapporto tra finito e infinito: Hegel pone estrema attenzione al finito, ma nello stesso tempo quando viene costantemente superato nella sua negatività, viene riportato all'infinito, alla totalità.
Anche la relazione tra storia della filosofia e filosofia assoluta è per Pareyson ambigua: a suo avviso Hegel coglie infatti il carattere radicalmente storico di ogni filosofia, di ogni verità filosofica, ma l'ultima filosofia, la sua, esprime l'intero, è vera in modo compiuto e dunque si sottrae alla condizionatezza storica. In realtà, ogni pensiero in quanto legato alla finitezza è per Pareyson una prospettiva sulla verità, che è unica ma mai coglibile nella sua totalità. Questa è una visione sviluppata negli anni Cinquanta, parallela a quella di Gadamer e Ricoeur, che pone quindi Pareyson tra i maestri dell'ermeneutica contemporanea.
Dalla dissoluzione dell'hegelismo, escono, a suo modo di vedere, due linee: Feuerbach e Kierkegaard. Il primo rovescia il sistema nel senso che non è lo spirito, l'infinito ad essere la fonte della concretezza dell'umano, ma il contrario; il secondo invece disarticola il sistema per cui il singolo non è riducibile alla totalità, ma rimane di fronte a Dio come all'essere eterno che tocca il tempo nell'istante. Queste due posizioni si sviluppano nelle due correnti che dominano la scena della filosofia continentale post-hegeliana: da un lato si afferma il marxismo, dall'altro l'esistenzialismo di Heidegger e Jaspers.Ma, secondo Pareyson, anche l'esistenzialismo resta imprigionato nelle categorie di Hegel usate già da Kierkegaard, ossia pensa l'uomo, il finito come negativo. Si tratta di una concezione antropologica inadeguata che porta a una visione sempre negativa dell'umano.Per superare questa impostazione Pareyson sviluppa un personalismo che non privilegia l'aspetto teorico dell'uomo, ma tenta di coglierne ogni aspetto positivo e negativo: l'esistenza è caratterizzata nel suo rapportarsi a se stessa in quanto si rapporta ad altro, è coincidenza di autorelazione ed eterorelazione, in cui l'altro primariamente è l'essere: si tratta di un "personalismo ontologico", fondato su una concezione della persona, intesa - nel suo essere "positiva e insufficiente"- come rapporto con l'essere (Esistenza e persona, 1950).
A questa prima fase (esistenzialistico-personalistica) della riflessione pareysoniana, ne segue una seconda più specificatamente ermeneutica, in cui si inserisce il testo Verità e interpretazione che si sviluppa negli anni Sessanta.Per sviluppare la propria ermeneutica, Pareyson parte da una critica alla prospettiva heideggeriana: Heidegger ha legato il pensiero all'essere, ma ha concepito quest'ultimo come qualcosa che si sottrae a tal punto da divenire inafferrabile e ineffabile.A questo "misticismo dell'ineffabile" Pareyson sostituisce invece "l'ontologia dell'inesauribile", una prospettiva per cui la filosofia si radica nella verità, intesa nel senso dell'essere dell'esistenzialismo e non della totalità hegeliana; l'essere però non rappresenta heideggerianamente ciò che sempre si ritrae, ma indica una radice, una fonte d'essere (la verità) che non viene mai esaurita (in quanto inesauribile) e che è colta nell'interpretazione, anche se sempre solo nella sua ulteriorità rispetto ad essa.Pareyson introduce anche una riflessione sull'atteggiamento del pensiero adeguato, autentico: esso è espressivo e rivelato insieme, cioè si esprime sempre la relazione storica, esistenziale con la verità e insieme rivela quest'ultima. Ma vi è anche un pensiero che si limita solo a esprimere il tempo e rimane espressione dei propri interessi, pur presentandoli sotto la forma della verità: si tratta dell'ideologia come falsa coscienza.Ciò si qualifica comunque solo all'interno di una scelta libera per la filosofia o per un pensiero strumentale. Il tema della libertà come alternativa fra fedeltà o tradimento della verità verrà poi sviluppato nella terza fase del pensiero pareysoniano, nella cosiddetta "ontologia della libertà".
Nella terza fase della sua riflessione Pareyson sviluppa infatti il tema della libertà, intesa come scelta tra un'alternativa sempre duale, cui è legato un ulteriore approfondimento della nozione di essere. Se noi facciamo l'esperienza della libertà, non ci può essere alla radice dell'esistenza qualcosa di necessario, perché solo la libertà precede se stessa e ciò vale tanto più per la concezione di Dio e dell'assoluto: dunque l'essere stesso è libertà. La filosofia diventa in questa fase "ermeneutica dell'esperienza religiosa" e quindi in tal modo anche il pensiero filosofico può parlare del Dio colto nell'esperienza religiosa. Questo passaggio è dovuto al fatto che i temi radicali dell'esperienza umana- la libertà, il male, il senso - sono affrontati in modo particolare proprio solo nell'esperienza religiosa e nell'arte.
Pareyson elabora a questo proposito una concezione del mito inteso come pensiero originario, che affronta i grandi enigmi dell'esperienza umana. A suo modo di vedere, la filosofia segue il mito, lo interpreta e, nel caso in particolare del mito cristiano, ne mostra la rilevanza anche per chi non è credente, universalizzandolo. Nell'Ontologia della libertà (uscita postuma, 1995) alla radice della realtà viene posto un essere non necessario, per cui occorre pensare a una libertà di Dio, presente fin dall'inizio: Dio già nel momento originario è insieme scelta tra essere e non-essere e scelta inequivocabile per l'essere (per il bene).Si tratta di un "pensiero tragico" che pone il male in Dio, ma solo come possibilità che Dio stesso ha incontrato e ha scartato per sempre, pur rimanendo come ombra in Lui, che l'uomo attualizza nel momento in cui compie il male.
Il testo Verità e interpretazione è del 1970 e fornisce i punti salienti della teoria dell'interpretazione pareysoniana. Pareyson esordisce affermando come ogni relazione umana abbia un carattere interpretativo: l'interpretazione però è universale in quanto originaria e cioè nel suo essere apertura all'essere - verità. Interpretare significa trascendere l'ente verso l'essere. L'ermeneutica è dunque radicata nell'ontologia e l'ontologia è tale perché è ermeneutica: la verità si dà nell'interpretazione e l'interpretazione è solo della verità.L'interpretazione ha un aspetto storico, espressivo e ha insieme un carattere rivelativo.Proprio per questo motivo le interpretazioni sono molteplici, ogni esistenza è infatti rapporto con l'essere e quindi può essere interpretazione della verità: la pluralità è segno della ricchezza dell'essere.Non si deve però pensare che l'interpretazione sia radicalmente soggettiva perché essa è comunque un modo in cui si coglie la verità, si esprime il proprio radicamento nell'essere.
L'unicità della verità e la molteplicità delle sue interpretazioni sono inseparabili, perché secondo un modello esistenzialistico non vi è un accesso separato alla verità, ma ad essa si giunge attraverso la propria storicità.Errata sarebbe però l'idea che l'interpretazione possa porsi al posto della verità, altrimenti o un'unica interpretazione avrebbe il monopolio della verità o tutte le interpretazioni sarebbero suoi travestimenti. Il dogmatismo e il relativismo stanno così sullo stesso piano perché presuppongono una concezione oggettivata della verità, confondendo e separando unicità della verità e molteplicità delle sue interpretazioni, mentre la verità è sempre solo in un'interpretazione.L'interpretazione non è dunque un rapporto tra soggetto e oggetto: al soggettivismo va sostituita la nozione di persona come apertura all'alterità e d'altra parte l'essere, la verità non può essere colta come oggetto, proprio perché non è a disposizione. La verità è fonte inesauribile e non è né un contenuto ne virtualità. Il rapporto alla verità non è una relazione parte-tutto, non è un tutto che si ottiene mettendo insieme le parti (di verità), perché essa non è un ente; e a questo riguardo non vale neppure il modello dell'esplicitazione, perché la verità è inesauribile e dunque l'interpretazione ha sempre qualcosa di non-detto. Questo implicito può stimolare sempre di nuovo, senza che possa essere comunque portato a esplicitazione completa.