Che fare delle proprie malattie? Le patologie gravi
Ovviamente, una malattia che interviene quando l'opera è compiuta non conta, almeno per lo storico della filosofia. I reumatismi deformanti di Bergson, che lo colpiscono nel 1925, a carriera praticamente chiusa, in certo modo non esistono.
Le patologie gravi
Certi filosofi sono stati ammalati per tutta la loro vita (filosofia). La storia antica ricorda l'idropisia di Eraclito. Forse, Aristotele ha avuto una malattia di stomaco, poiché ci mette sopra "una borsa di olio caldo". La nefrite è una dolorosa malattia renale. Ne soffre Epicuro, l'uomo del piacere. Sopporta coraggiosamente la malattia. "In questo giorno beato, che è insieme l'ultimo della mia vita, vi scrivo queste righe. I dolori derivanti dalla stranguria e dalla dissenteria non mi hanno lasciato mai né hanno mai diminuito la loro intensa violenza. Ma a tutti questi mali resiste la mia anima, lieta nella memoria dei nostri colloqui del passato." Epicuro formula osservazioni sul dolore e su un rimedio contro il male che certo devono molto alla sua esperienza. "Un incessante dolore non dura a lungo nella carne, ché anzi quanto più è acuto tanto minor tempo dura, e anche se per la sua tensione vince il piacere, nella carne non dura molti giorni. Le malattie di lunga durata hanno il piacere nella carne che eccede il dolore".
Plotino soffrì di una malattia celiaca, quindi della cavità addominale, poi "fu assalito a poco a poco da una forma di angina assai grave. (...) La malattia si aggravò a tal segno (...) che (...) la sua voce perdette la sua chiarezza e sonorità, e divenne rauca, la vista gli si indebolì e le mani e i piedi si coprirono di ulcere".
Procedendo, citeremo i calcoli renali (la renella!) di Erasmo, di Vives, di Montaigne, di Leibniz, di Schelling. La malattia provoca la colica renale, che strappa grida di dolore. Montaigne, colpito a quarantaquattro anni, si scandalizza che la filosofia disprezzi le urla: "Io sono alle prese con la peggiore di tutte le malattie (...). Ho sempre trovato formalistico quel precetto che ordina con tanto rigore e precisione di conservare una buona cera e un contegno sdegnoso e calmo nel sopportare i mali. Perché la filosofia, che guarda alla sostanza e alla realtà, va dilettandosi di queste apparenza convenzionali? Lasci questa cura ai commedianti e ai maestri di retorica, che fanno tanto conto dei nostri gesti".
Hobbes soffre di artrite alle mani abbastanza presto, prima di pubblicare il Leviatano. Trema, al punto che la sua scrittura diventa illeggibile già dal 1665 o 1666. Oggi i medici sospettano un morbo di Parkinson.
Altre patologie colpiscono i filosofi: la malattia di petto di Locke, la scogliosi di Malebranche, l'asma e l'ortopnea (impossibilità di respirare stando sdraiati) di Shaftesbury, l'annerite di Voltaire. L'uretrite di Rousseau ( "un vizio di conformazione alla vescica") spiega in parte la sua misantropia. Dedica metà del testamento alla sua "ritenzione urinaria".
Con Pascal incontriamo chi è ammalato per tutta la vita e conduce un'esistenza dimidiata. Lo attesta la sorella Gilberte. La sua salute "cominciò a risentirne (della fatica degli studi) da quando compì il diciottesimo anno di età"; "dall'età di diciotto anni non gli fu dato trascorrere un solo giorno senza pena"; "alla fine dell'anno, vale a dire nel trentacinquesimo anno di vita, e il quinto del suo ritiro dal mondo (a Port Royal des Champs) , fu nuovamente aggredito dai suoi mali in modo così violento da non poter fare più nulla nei quattro anni che gli restavano da vivere, se si può chiamare vita il pietoso stato di debolezza nel quale li trascorse"; "durante tutto quel tempo non poté lavorare un istante alla grande opera che aveva intrapreso sulla religione ( i Pensieri)"; "le sue infermità che continuavano incessanti, senza dargli un solo momento di tregua, lo ridussero, come ho detto, a non poter più lavorare e a non vedere quasi nessuno". Ha "un dolore di testa quasi insopportabile, un'usura nelle viscere e moti altri mali". Non poteva "inghiottire più nulla di liquido se non fosse caldo; e poteva farlo goccia a goccia". "Poiché non poteva leggere né scrivere, era costretto a stare senza far nulla o a passeggiare, evitando ogni attività della mente. E temeva con ragione che l'assenza di occupazioni (...) lo allontanasse dal suo credo". "Non oserò dire che egli non tollerasse neppure le carezze che mi facevano i miei figli; ma riteneva che a lungo andare fossero nocive"; "non nutriva alcun attaccamento per gli altri". Si riscontrano emicranie oftalmiche, ma anche, sotto il profilo psichiatrico, disturbi somatoformi, un'isteria da angoscia, con conversione ( fa ricadere tutto sul proprio corpo, paralizzato) e inibizione (rifugge il cibo, le carezze, la frequentazione delle persone), una nevrosi da abbandono (orfano, si aggrappa alla sorella Jacqueline), una depressione.
Di fronte a queste malattie, Pascal pensa. La sua teoria della distrazione si applica proprio a lui, ma al contrario. L'uomo, dice Pascal, cerca di dimenticare la propria miseria, di distogliersi dal pensare, con mille distrazioni, va a caccia, si trova da fare delle cose.... Quanto a lui, Pascal si distoglie da queste miserie grazie al pensiero, meditando, nei loro estremi e da tutte le prospettive, sul caso, sul peccato, sul dolore, sull'ignoranza, sull'ingiustizia...
Nietzsche, benché robusto, conduce una vita da ammalato, di cui enumera le sventure: "Vomito incessante, insonnia, pensieri melanconici sulle cose di un temo, malessere diffuso alla testa, dolori lancinanti agli occhi". Contro tutto ciò lotta in modo sovrumano, e costruisce la sua teoria del superuomo, che ha gioiosamente "il coraggio di vedere le cose come sono: tragiche".
Anche Karl Jaspers è un malato a tempo pieno. Jeanne Hersch fornisce le seguenti informazioni, alquanto vaghe sotto il profilo medico: "Morì all'età di ottantasei anni. Era ancora un bambino (1901: diciotto anni!) quando gli viene diagnosticata una malattia che, secondo le previsioni dei medici, lo avrebbe condannato a morire all'età di venti o, al massimo, trent'anni (...) A intervalli regolari di un'ora e mezza, interrompeva il lavoro, si stendeva su un divano, si riposava un momento, tossiva a lungo e beveva un po' di latte, e questo con assoluta regolarità". I medici sono più espliciti: dilatazione dei bronchi, bronchiectasia, una malattia che si manifesta con abbondante espettorazione e difficoltà respiratoria. Vive in stato di proroga. Appare comprensibile il suo interesse per le situazioni limite: morte, sofferenza, combattimento, errore.
Altra ammalata a tempo pieno: Simone Weil. Per tutta la sua vita di filosofo lamenta "continui e talvolta violenti mal di testa", al punto da meditare il suicidio. Come filosofo donna, più che creare concetti negativi, pensa condizioni infelici, quelle degli oppressi, degli sfruttati, dei vinti.
William James e Unamuno soffrono di mal di cuore, come pure, ma in modo meno grave, Heidegger. I filosofi sono affetti soprattutto da tubercolosi: Vico, Locke, Spinoza, Emerson, Thoreau, Ladislav Klìma, Simone Weil, Camus, Deleuze. Alain, che sembrerebbe un uomo vigoroso, soffre già a venticinque anni (1893) di una malattia all'orecchio interno sinistro, che più volte gli fa temere di morire, e di reumatismi alle ginocchia che lo inchioderanno su una sedia a rotelle per dodici anni, dal 1939 alla morte. "Non so se sarebbe meglio la salute; non ho alcun ricordo di che cosa sia".
L'AIDS sembra coevo dello strutturalismo, di cui ha ucciso due esponenti, i filosofi francesi Michel Foucault (1984) e Jean Paul Aron (1989), Mentre non esiste alcun rapporto logico fra strutturalismo e AIDS, c'è un rapporto tra filosofia e AIDS, che valorizza il ruolo della filosofia. Michel Foucault nega l'AIDS, in cui vede una macchinazione borghese contro gli omosessuali. Jean-Paul Aron, invece, è il primo intellettuale francese ad assumersi pubblicamente la propria malattia, nel 1987.
Fonti:
Diogene Laerzio, op. cit., IX, 3, p.353; Eraclito frammento A1, §3, in I presocratici, cit., vol. I, p.180.
Epicuro, Lettera a Idomeneo, vedi Diogene Laerzio, X, 22, op. cit., p.407.
Epicuro, Massime capitali, IV; Diogene Laerzio, op. cit., X, 140, p.446.
Porfirio, Vita di Plotino, §3, in Plotino, Enneadi, tr.it Bompiani, Milano 2000, p.3
Erasmo, lettera n. 1735 del 27 agosto 1526 a Guglielmo Cop, medico, in Eloge de la folie
M. de Montaigne, Saggi, cit., II, 37, vol II, pp.1007-1008
J. J. Rousseau, Confessioni, cit., VIII, vol.II, p. 393
J.J Rousseau, Testament
F. Nietzsche, lettera del 25 dicembre 1883 (C.P Janz, op. cit., vol II, p.232)
K. Jaspers, Filosofia, tr,it. Mursia, Milano 1977
A. Sernin, op. cit., pp. 58, 59, 99, 313, 315, 321. Lettera a Marie Morre- Lambelin del 19 agosto 1903 (p.104).
J. P. Aron, "Mon sida", in Le Nouvel Observateur, 30 ottobre 1987.
I filosofi: Vita intima di Pierre Riffard, Raffaello Cortina Editore
Le patologie gravi
Certi filosofi sono stati ammalati per tutta la loro vita (filosofia). La storia antica ricorda l'idropisia di Eraclito. Forse, Aristotele ha avuto una malattia di stomaco, poiché ci mette sopra "una borsa di olio caldo". La nefrite è una dolorosa malattia renale. Ne soffre Epicuro, l'uomo del piacere. Sopporta coraggiosamente la malattia. "In questo giorno beato, che è insieme l'ultimo della mia vita, vi scrivo queste righe. I dolori derivanti dalla stranguria e dalla dissenteria non mi hanno lasciato mai né hanno mai diminuito la loro intensa violenza. Ma a tutti questi mali resiste la mia anima, lieta nella memoria dei nostri colloqui del passato." Epicuro formula osservazioni sul dolore e su un rimedio contro il male che certo devono molto alla sua esperienza. "Un incessante dolore non dura a lungo nella carne, ché anzi quanto più è acuto tanto minor tempo dura, e anche se per la sua tensione vince il piacere, nella carne non dura molti giorni. Le malattie di lunga durata hanno il piacere nella carne che eccede il dolore".
Plotino soffrì di una malattia celiaca, quindi della cavità addominale, poi "fu assalito a poco a poco da una forma di angina assai grave. (...) La malattia si aggravò a tal segno (...) che (...) la sua voce perdette la sua chiarezza e sonorità, e divenne rauca, la vista gli si indebolì e le mani e i piedi si coprirono di ulcere".
Procedendo, citeremo i calcoli renali (la renella!) di Erasmo, di Vives, di Montaigne, di Leibniz, di Schelling. La malattia provoca la colica renale, che strappa grida di dolore. Montaigne, colpito a quarantaquattro anni, si scandalizza che la filosofia disprezzi le urla: "Io sono alle prese con la peggiore di tutte le malattie (...). Ho sempre trovato formalistico quel precetto che ordina con tanto rigore e precisione di conservare una buona cera e un contegno sdegnoso e calmo nel sopportare i mali. Perché la filosofia, che guarda alla sostanza e alla realtà, va dilettandosi di queste apparenza convenzionali? Lasci questa cura ai commedianti e ai maestri di retorica, che fanno tanto conto dei nostri gesti".
Hobbes soffre di artrite alle mani abbastanza presto, prima di pubblicare il Leviatano. Trema, al punto che la sua scrittura diventa illeggibile già dal 1665 o 1666. Oggi i medici sospettano un morbo di Parkinson.
Altre patologie colpiscono i filosofi: la malattia di petto di Locke, la scogliosi di Malebranche, l'asma e l'ortopnea (impossibilità di respirare stando sdraiati) di Shaftesbury, l'annerite di Voltaire. L'uretrite di Rousseau ( "un vizio di conformazione alla vescica") spiega in parte la sua misantropia. Dedica metà del testamento alla sua "ritenzione urinaria".
Con Pascal incontriamo chi è ammalato per tutta la vita e conduce un'esistenza dimidiata. Lo attesta la sorella Gilberte. La sua salute "cominciò a risentirne (della fatica degli studi) da quando compì il diciottesimo anno di età"; "dall'età di diciotto anni non gli fu dato trascorrere un solo giorno senza pena"; "alla fine dell'anno, vale a dire nel trentacinquesimo anno di vita, e il quinto del suo ritiro dal mondo (a Port Royal des Champs) , fu nuovamente aggredito dai suoi mali in modo così violento da non poter fare più nulla nei quattro anni che gli restavano da vivere, se si può chiamare vita il pietoso stato di debolezza nel quale li trascorse"; "durante tutto quel tempo non poté lavorare un istante alla grande opera che aveva intrapreso sulla religione ( i Pensieri)"; "le sue infermità che continuavano incessanti, senza dargli un solo momento di tregua, lo ridussero, come ho detto, a non poter più lavorare e a non vedere quasi nessuno". Ha "un dolore di testa quasi insopportabile, un'usura nelle viscere e moti altri mali". Non poteva "inghiottire più nulla di liquido se non fosse caldo; e poteva farlo goccia a goccia". "Poiché non poteva leggere né scrivere, era costretto a stare senza far nulla o a passeggiare, evitando ogni attività della mente. E temeva con ragione che l'assenza di occupazioni (...) lo allontanasse dal suo credo". "Non oserò dire che egli non tollerasse neppure le carezze che mi facevano i miei figli; ma riteneva che a lungo andare fossero nocive"; "non nutriva alcun attaccamento per gli altri". Si riscontrano emicranie oftalmiche, ma anche, sotto il profilo psichiatrico, disturbi somatoformi, un'isteria da angoscia, con conversione ( fa ricadere tutto sul proprio corpo, paralizzato) e inibizione (rifugge il cibo, le carezze, la frequentazione delle persone), una nevrosi da abbandono (orfano, si aggrappa alla sorella Jacqueline), una depressione.
Di fronte a queste malattie, Pascal pensa. La sua teoria della distrazione si applica proprio a lui, ma al contrario. L'uomo, dice Pascal, cerca di dimenticare la propria miseria, di distogliersi dal pensare, con mille distrazioni, va a caccia, si trova da fare delle cose.... Quanto a lui, Pascal si distoglie da queste miserie grazie al pensiero, meditando, nei loro estremi e da tutte le prospettive, sul caso, sul peccato, sul dolore, sull'ignoranza, sull'ingiustizia...
Nietzsche, benché robusto, conduce una vita da ammalato, di cui enumera le sventure: "Vomito incessante, insonnia, pensieri melanconici sulle cose di un temo, malessere diffuso alla testa, dolori lancinanti agli occhi". Contro tutto ciò lotta in modo sovrumano, e costruisce la sua teoria del superuomo, che ha gioiosamente "il coraggio di vedere le cose come sono: tragiche".
Anche Karl Jaspers è un malato a tempo pieno. Jeanne Hersch fornisce le seguenti informazioni, alquanto vaghe sotto il profilo medico: "Morì all'età di ottantasei anni. Era ancora un bambino (1901: diciotto anni!) quando gli viene diagnosticata una malattia che, secondo le previsioni dei medici, lo avrebbe condannato a morire all'età di venti o, al massimo, trent'anni (...) A intervalli regolari di un'ora e mezza, interrompeva il lavoro, si stendeva su un divano, si riposava un momento, tossiva a lungo e beveva un po' di latte, e questo con assoluta regolarità". I medici sono più espliciti: dilatazione dei bronchi, bronchiectasia, una malattia che si manifesta con abbondante espettorazione e difficoltà respiratoria. Vive in stato di proroga. Appare comprensibile il suo interesse per le situazioni limite: morte, sofferenza, combattimento, errore.
Altra ammalata a tempo pieno: Simone Weil. Per tutta la sua vita di filosofo lamenta "continui e talvolta violenti mal di testa", al punto da meditare il suicidio. Come filosofo donna, più che creare concetti negativi, pensa condizioni infelici, quelle degli oppressi, degli sfruttati, dei vinti.
William James e Unamuno soffrono di mal di cuore, come pure, ma in modo meno grave, Heidegger. I filosofi sono affetti soprattutto da tubercolosi: Vico, Locke, Spinoza, Emerson, Thoreau, Ladislav Klìma, Simone Weil, Camus, Deleuze. Alain, che sembrerebbe un uomo vigoroso, soffre già a venticinque anni (1893) di una malattia all'orecchio interno sinistro, che più volte gli fa temere di morire, e di reumatismi alle ginocchia che lo inchioderanno su una sedia a rotelle per dodici anni, dal 1939 alla morte. "Non so se sarebbe meglio la salute; non ho alcun ricordo di che cosa sia".
L'AIDS sembra coevo dello strutturalismo, di cui ha ucciso due esponenti, i filosofi francesi Michel Foucault (1984) e Jean Paul Aron (1989), Mentre non esiste alcun rapporto logico fra strutturalismo e AIDS, c'è un rapporto tra filosofia e AIDS, che valorizza il ruolo della filosofia. Michel Foucault nega l'AIDS, in cui vede una macchinazione borghese contro gli omosessuali. Jean-Paul Aron, invece, è il primo intellettuale francese ad assumersi pubblicamente la propria malattia, nel 1987.
Fonti:
Diogene Laerzio, op. cit., IX, 3, p.353; Eraclito frammento A1, §3, in I presocratici, cit., vol. I, p.180.
Epicuro, Lettera a Idomeneo, vedi Diogene Laerzio, X, 22, op. cit., p.407.
Epicuro, Massime capitali, IV; Diogene Laerzio, op. cit., X, 140, p.446.
Porfirio, Vita di Plotino, §3, in Plotino, Enneadi, tr.it Bompiani, Milano 2000, p.3
Erasmo, lettera n. 1735 del 27 agosto 1526 a Guglielmo Cop, medico, in Eloge de la folie
M. de Montaigne, Saggi, cit., II, 37, vol II, pp.1007-1008
J. J. Rousseau, Confessioni, cit., VIII, vol.II, p. 393
J.J Rousseau, Testament
F. Nietzsche, lettera del 25 dicembre 1883 (C.P Janz, op. cit., vol II, p.232)
K. Jaspers, Filosofia, tr,it. Mursia, Milano 1977
A. Sernin, op. cit., pp. 58, 59, 99, 313, 315, 321. Lettera a Marie Morre- Lambelin del 19 agosto 1903 (p.104).
J. P. Aron, "Mon sida", in Le Nouvel Observateur, 30 ottobre 1987.
I filosofi: Vita intima di Pierre Riffard, Raffaello Cortina Editore