Critici della filosofia kantiana
Schulze
"Se la cosa in sé deve esistere perchè noi la pensiamo, si ricade nell'argomento ontologico che dal pensiero si esclude l'esistenza. Il discorso sull'esistenza della cosa in sé implica una qualche conoscenza di essa, altrimenti non potremmo parlarne".
Chi era?
Un pastore protestante che aveva la passione per la filosofia.
Che cosa ha scritto?
Un'opera intitolata "Aenesidemus " nel 1792. Aenesidemus era uno scettico dell'antichità.
Perché le sue critiche furono dirompenti e dopo di lui per un bel po' di tempo non si è più parlato delle cose in sé?
1) Perchè crea una sorta di argomento ad hominem dimostrando che Kant è caduto in contraddizione in quanto le cose in sé sono pensabili in quanto siamo costretti a pensare alle cose le quali esistono anche se noi non le conosciamo. Schulze asserisce che anche Kant è caduto nell'argomento ontologico che aveva criticato (argomento ontologico di Sant'Anselmo secondo il quale l'essere del quale non si può pensare nulla di maggiore esiste. Praticamente dal pensare all'essere supremo si passa alla sua esistenza) dicendo che non era valido e aveva fatto l'esempio dei talleri (pensare dei talleri non significa averli, quindi l'esistenza era diversa dal pensare all'esistenza!).
Ora Kant è caduto nello stesso circolo vizioso perché ha posto le cose come quelle di cui non si può fare a meno di pensarle e siccome non si può fare a meno di pensarle esistono. Dal pensiero è passato all'esistenza.
2) Kant non avrebbe accettato del tutto questa critica: il discorso sulla cosa in sé implica una qualche conoscenza della cosa altrimenti non potremmo neanche parlarne. Se ne parliamo è perché in qualche modo ne abbiamo una certa conoscenza. Kant avrebbe detto che parlare di esistenza non significa nulla della sua essenza ma Schulze avrebbe potuto sempre replicare che se non possiamo dire nulla della sua essenza come possiamo asserire che esiste perchè è un x, ovvero un'incognita. Naturalmente per Kant l'incognita (x) è matematicamente possibile per cui secondo lui è possibile anche a livello di affermazione di esistenza. L'argomento principale è quello ontologico.
Jacobi
"L'esistenza non è colta dalla ragione, ma da una relazione personale, dalla fede. La cosa in sé è paradossale: si presuppone la percezione degli oggetti fuori di noi, ma gli oggetti che percepiamo sono soggettivi. Come veniamo impressionati? Qual è la personalità del nostro essere?"
Chi era?
Una figura molto interessante della filosofia dell'epoca.
Che cosa ha scritto?
"Lettere sulla dottrina di Spinoza" nel 1785
"Idealismo e realismo" nel 1787
In cosa dissentiva dalle posizioni di Kant?
Era d'accordo con lui sul fatto che l'esistenza non facesse parte del concetto di una cosa. Ad esempio fra un cavallo pensato e uno esistente non c'è differenza come cavalli, solamente che uno esiste e l'altro no. Jacobi era d'accordo su tale concetto e aveva accolto con favore questa distinzione che è vero che l'esistenza non faceva parte del concetto; ma proprio perchè non faceva parte del concetto, l'esistenza si dà in modo diverso dalle forme razionali ovvero in modo immediato.
Asseriva che è vero che molte cose ci si danno nella sensibilità perchè questa è il veicolo di una certezza; cioè posso vedere uno spirito se ho un'allucinazione e poi rendermi conto che non era vero e invece guardare una persona e rendermi conto che è vero; cioè in un certo senso diciamo che questa persona esistente si trasmette a me in modo immediato, uno ad esempio può dire che la sta toccando ma non è di per sé il toccare. Il toccare è il veicolo attraverso il quale mi si dà l'immediatezza dell'altro.
Che cosa distingue?
Egli distingue tra la sfera delle essenze che è quella della ragione e la sfera dell'esistenza che è quella dell'immediatezza cioè del contatto personale. In questo senso secondo Jacobi, Kant non si è reso conto che doveva aprire un varco alla fede nei rapporti interpersonali. Nell'affermazione dell'esistenza ha invece parlato di una cosa in sé che alla ragione è incomprensibile. Solo la fede la coglie; quindi la certezza dell'esistenza delle cose ci è data attraverso la fede, dove per fede non si intende quella in senso strettamente religioso, ma quella certezza immediata che ci dà l'esistere e secondo lui anche la libertà non ci è data dalla ragione ma da questa sfera esistenziale là dove la concatenazione logica della causa e dell'effetto non ha più valore.
Quale corrente si apre con Jacobi?
Si apre la corrente del romanticismo che esalta l'immediatezza della relazione interpersonale, il sentimento.