Darwin e la disputa sulla creazione
A cura di Antonella Iovine
La rivoluzione darwiniana segnò il passaggio dai miti sulle origini della vita a un'ipotesi razionale: un sovvertimento simile a quello che aveva segnato tra Seicento e Settecento l'avvento e le prime conferme fenomeniche della fisica gravitazionale. Come si era dissolto il geocentrismo, allo stesso modo entrarono in crisi la supposta brevità dei tempi geologici, la stabilità illusoria della scala naturae e la fissità delle specie viventi che risultarono errori del senso comune, consolidati in certezze grazie all'uso dogmatico dei testi sacri.
Nella storia delle idee Darwin figura come una sorta di eroe prometeico, un'icona del libero pensiero. Il suo metodo era rigorosamente sperimentale, lontano dalla mentalità religiosa e dalla speculazione metafisica. La sua originalità consisteva nella complessa tessitura induttivo-deduttiva dei propri criteri di osservazione, argomentazione, prova, che davano alla sua ipotesi una coerenza tale da unificare e spiegare razionalmente l'insieme dei fenomeni della vita.
Darwin sapeva bene di aver avuto predecessori antichi e moderni: già i presocratici avevano sottratto la generazione dei viventi alla teleologia organica, attribuendone i fenomeni all'interazione tra leggi deterministiche ed eventi aleatori; Aristotele aveva accennato per primo all'afinalismo e al principio della selezione naturale; nel Settecento molti naturalisti avevano applicato la massima aristotelica natura non facit saltus alla possibile degenerazione o trasformazione delle specie: Buffon, Goethe, Geoffrey Saint-Hilarie, Erasmus, Darwin; a Lamarck risalivano non soltanto il principio dell'adattamento degli organismi all'ambiente, ma almeno tre altri meriti che proprio Darwin elenca: «la teoria che tutte le specie, uomo compreso, discendessero da altre specie; la possibilità che qualunque cambiamento nel mondo organico fosse il risultato di una legge e non di un intervento miracoloso; l'impossibilita di stabilire una distinzione netta fra le specie e le varietà».
Nei due secoli prima di Darwin il declino della rivelazione e della cronologia biblica, iniziato con la rivoluzione galileiana, fu reso irreversibile dalla ricerca geologica volta a ricostruire la storia più remota del pianeta, le stratificazioni dei fossili, le epoche delle natura in cui lo scenario delle origini retrocedette fino a molte migliaia, poi milioni di secoli.
E’ evidente perciò che la teoria dell'evoluzione non uscì dalla mente di Darwin all'improvviso né fu qualcosa di totalmente estraneo alla storia delle idee precedente.
- Il bernoccolo del chierico
La vicenda del progressivo distacco di Darwin dalle credenze religiose, iniziò fin dagli studi biblici e teologici compiuti a Cambridge negli anni 1828-1831 e culminò nell'«agnosticismo» degli anni Sessanta. La sua famiglia era di tradizioni laiche e liberali. La figura patriarcale del nonno Erasmus, naturalista e scrittore proto-evoluzionista, era molto ammirata dal nipote, lettore attento della sua Zoonomia.
Nella sua Autobiography (1876), Darwin rievoca con leggera ironia il progetto di una carriera ecclesiastica, scelta forse come ripiego, alla quale dovette rinunciare. Interruppe presto gli studi di medicina intrapresi a Edimburgo, attratto dalla prospettiva di dedicarsi alla cura d'anime. All'epoca «non dubitavo affatto dell'assoluta verità di ogni parola della Bibbia». Nel 1824 l'aspirante ecclesiastico si trasferì all'Università di Cambridge, dove l'ammissione agli ordini anglicani prescriveva agli studenti un curriculum di studi classici.
- La teologia naturale di PaIey
Nella Natural TheoIogy di Paley (1802) l'edificazione religiosa si fonde strettamente con un sapiente approccio al metodo sperimentale. Fin dagli anni Trenta la vulgata di Paley attrasse Darwin n
on soltanto per le dimostrazioni della teodicea, ma anche come guida nell'interpretazione della natura, per l'ampia descrittiva anatomica, fisiologica, zoologica, botanica. Egli resterà il teologo naturale per antonomasia agli occhi di Darwin; quest'ultimo studiò la Natural Theology come la dimostrazione più aggiornata ed esauriente, in stile "euclideo", di un unico postulato, il quale ricapitolava le idee tradizionali di finalità, causalità, ordine, armonia, creazione, provvidenza in un'antica metafora: come un orologio postula l'esistenza di un orologiaio, così la creazione rinvia a un creatore e suggerisce i suoi attributi. Paley negò il caso degli atei e il determinismo dei materialisti invocando le prove fisiologiche, anatomiche, psicologiche della prescienza divina: la gradualità della scala naturae, l'interazione reciproca fra gli organi interni, il coordinamento tra muscoli e apparato scheletrico, la finalità della riproduzione sessuale e così via. La provvida economia che si mostra nelle più delicate e complesse strutture anatomiche delle creature viventi e nelle rispettive funzioni fisiologiche rinvia al piano lungimirante del loro autore Dio, il quale ha predisposto fin da subito gli adattamenti più utili alle funzioni vitali, secondo fini complessi che trascendono la capacità dell'intelligenza umana.
Paley respinse sia gli spunti trasformistici di Buffon che l'ipotesi di Lamarck; convinto come Linneo dell'immutabilità delle forme viventi, egli si attiene al postulato di un unico atto creativo iniziale. Paley condivideva con numerose altre metafisiche "ottimiste" di origine platonizzante la massima «tutto è bene», dove nel disegno provvidenziale rientra anche il nesso esistente tra la popolazione e le risorse di vita. In questo modo Paley accettava la nota legge enunciata da Malthus, ossia che il rapporto di proporzionalità è coerente con i fini reconditi della provvidenza.
Come aveva insegnato il neoplatonismo di ogni epoca, anche per Paley il male si riduceva a una specie di zona d'ombra, dovuta alla nostra ignoranza circa la complessità dei fini che operano nell'universo tramite la mano nascosta della provvidenza.
Nel 1838 la legge malthusiana sarebbe stata ripresa da Darwin in un'altra prospettiva, come un fecondo principio euristico, chiave di accesso al concetto di selezione naturale. L’ordine della generazione procede per una sorta di progressione geometrica. L'incremento delle risorse, anche nelle circostanze favorevoli, può assumere soltanto la forma di una serie aritmetica. La conseguenza sarà che la popolazione supererà sempre le risorse, crescerà oltre la linea dell'abbondanza e continuerà a crescere finché non sarà fermata dalla difficoltà di procurarsi il cibo. [Paley, Natural Theology].
A sua volta, la selezione naturale avrebbe vanificato design argument che un tempo gli pareva tanto decisivo. Rinnegando gradualmente le premesse della Natural Theology, Darwin avrebbe abbandonato sia la sua concezione statica della natura vivente, sia lo sfondo platonizzante della sua teodicea. L'idea della selezione naturale avrebbe giustificato la concezione evolutiva della specie, e quindi rovesciato l'intera prospettiva apologetica di Paley, ritraducendo in termini parzialmente deterministici e in parte aleatori le sequenze dei fenomeni adattativi che Paley aveva descritto in chiave provvidenziale (ad esempio, la diversa forma che assumono i becchi di varie specie di uccelli diversamente adattati al cibo disponibile nell'ambiente). Un'inversione di prospettiva così completa maturerà nel corso di oltre un decennio, ma non senza sfumature intermedie.
Herschel: «il mistero dei misteri»
Due furono le guide che Darwin incontrò e scelse a Cambridge nell'iniziazione al metodo sperimentale: il fisico e astronomo John Herschel e il reverendo mineralogista epistemologo neokantiano William Whewell.
Herschel attribuisce al programma baconiano del metodo induttivo il merito delle scoperte recenti in matematica, fisica, astronomia, chimica, storia naturale: «La grande e senza dubbio l'unica fonte della nostra conoscenza della natura e delle sue leggi è l'esperienza». Tanto nella fase passiva dell'osservazione, come nella fase attiva dell'esperimento, le domande che la mente umana pone alla natura forniscono risposte attendibili solo se rispettano rigorosamente i criteri dell'inferenza induttiva, procedendo dal particolare al generale, dal semplice al complesso, dai casi singoli a quelli più universali, fino all'enunciazione di una legge.
E’ senz'altro certo che l'epistemologia di Herschel orientò, durante gli anni del viaggio di circumnavigazione sul Beagle, il metodo teorico-pratico che il naturalista applicava nel collezionare i reperti geologici e zoologici, nel vagliare i suggerimenti attinti dalla letteratura corrente, nel formulare ipotesi di lavoro e stabilire sequenze di prove. Lo dimostrano le pagine dei Notebooks, dove Darwin registrò giorno per giorno, fra il 1835 e il 1842, letture, fenomeni, osservazioni, intuizioni proprie e altrui, abbozzò congetture e dimostrazioni.
L'impronta del Discourse di Herschel era destinata a riemergere nell'ordine metodico in cui è articolata la lunga argomentazione che, in All'origine della specie, dimostra e difende i diversi aspetti dell'ipotesi evoluzionistica.
Significativo è un appunto di Darwin del 2 dicembre 1839: «Herschel definisce la comparsa di nuove specie il mistero dei misteri e ha scritto un passo splendido sull'argomento! Hurrah! "cause intermedie"». I due si erano incontrati a Città del Capo nel 1836. L'appunto si riferisce a un passo che Darwin aveva trovato in una lettera del 1836 di Herschel al geologo Charles Lyell: con l'espressione "mistero dei misteri" egli si riferiva alla sostituzione delle specie estinte da parte di altre, dimostrando così il suo interesse nei confronti del dilemma riguardante l'atto creativo iniziale e l'intervento di cause "naturali" nel processo evolutivo delle specie viventi. Il problema di poter o meno immaginare un solo atto creativo iniziale o più atti successivi era allora al centro delle dispute tra la schiera esile dei sostenitori dell'ipotesi di Lamarck e i suoi numerosi oppositori.
Un accanito oppositore di Herschel era proprio Charles Lyell. Quello che qui conta è tuttavia sottolineare come, nel 1839, il commento di Herschel confermava una scelta già consolidata in Darwin: un'unica creazione iniziale, seguita da un processo evolutivo «naturale e non miracoloso».
- Henslow e la geologia di Lyell
A quell'epoca le ipotesi pro e contro la trasformazione delle specie viventi si svolgevano ai margini delle controversie riguardanti l'antichità del pianeta, i ritrovamenti di fossili, diluvio universale, lo stato passato e presente della superficie terrestre: tutti temi ancora fortemente condizionati dalla cronologia biblica.
A Cambridge Darwin non aveva frequentato assiduamente le lezioni del famoso geologo Adam Sedgwick, fedele alle teorie diluviane. Suo mentore fu piuttosto il botanico John Stevens Henslow, naturalista lungimirante che lo incoraggiò a studiare geologia, lo designò come accompagnatore di Sedgwick per una spedizione di ricerca nel Galles, lo segnalò come naturalista per la spedizione del Beagle e gli fece conoscere Principles of Geology (1830-33) di Charles Lyell, che fu molto utile a Darwin durante il viaggio sul Beagle.
Il libro di Lyell segna in un certo senso l'inizio della geologia come scienza positiva. Egli chiarisce fin da subito il suo principio metodico semplice e rigoroso: «Tutti i mutamenti della creazione organica e inorganica debbono essere attribuiti ad una successione ininterrotta di eventi fisici, governata da leggi tuttora operanti» per spiegare lo stato odierno della superficie terrestre il geologo, invece di escogitare miracoli ed eventi catastrofici ad hoc, deve valutare attentamente le leggi fisiche attualmente all'opera sulla crosta terrestre e proiettarle verso il passato, cercando di ricostruire il lento svolgimento di fenomeni analoghi nel corso di molti milioni di anni. Le implicazioni di questo postulato metodico sono due: a) la relativa uniformità delle leggi operanti nella storia della Terra ("uniformitarismo"); b) un processo di graduale trasformazione che non progredisce secondo la freccia del tempo, ma fluttua attorno a una condizione media e dà luogo a una sorta di "stato stazionario" del pianeta.
Lyell rifiuta l'ipotesi delle catastrofi di Georges Cuvier, secondo la quale lo stato attuale della Terra era l'esito estremo di una lunga serie di eventi catastrofici improvvisi, distruttivi, totali tali "rivoluzioni", secondo Cuvier, dovevano aver radicalmente modificato a più riprese la superficie terrestre, sia prima che dopo l'apparizione della vita. Le specie viventi, dopo la loro prima creazione, erano rimaste vittime ogni volta di quegli eventi catastrofici, erano scomparse ed erano state "ricreate" più volte dalla natura o dalla provvidenza.
Pur essendo rispettoso delle tradizioni e delle credenze religiose, Lyell le teneva ben distinte dalla ricerca scientifica: ai miracoli e ai libri sacri anteponeva il principio della costanza e uniformità delle leggi naturali. Poneva l'accento sui processi dovuti al mutamento climatico e agli eventi atmosferici. Una volta ammessa un'estensione temporale infinitamente più ampia del nostro pianeta, diversamente da quanto affermavano i testi sacri, i princìpi dell'uniformitarismo fornivano ai fenomeni geologici un quadro di riferimento appropriato.
All'inizio del secondo volume dei Principles of Geology, Lyell si domanda se le specie hanno un'esistenza reale e permanente in natura; ovvero, come alcuni naturalisti pretendono, se sono capaci di modificarsi indefinitamente nel corso di una lunga serie di generazioni. Lyell articola la sua risposta a questo e ad altri quesiti connessi in un'esposizione critica della Philosophic zoologique di Jean-Baptiste de Lamarck. Prima di confutare il trasformismo lamarckiano, ne riassume i presupposti fondamentali: l'instabilità del sistema dei viventi; l'incessante metamorfosi di tutte le specie animali e vegetali; l’impossibilità di tracciare una distinzione netta tra specie e varianti; la gradualità della scala naturae; la priorità dell'influenza dell'ambiente sulle trasformazioni degli organismi, sollecitati a mutare abitudini di vita; l'uso e il disuso delle parti e l’ereditarietà dei caratteri acquisiti; la sterilità degli ibridi, la costanza apparente delle specie nel tempo.
Pur non opponendosi in modo dogmatico all'evoluzione lamarckiana, Lyell rimprovera allo zoologo francese l'assenza di prove in grado di dimostrare i singoli passaggi concettuali dell'ipotesi trasformista: la variabilità universale delle specie è una formula indimostrabile, secondo Lyell, se si considerano le grandi lacune e discontinuità della scala nuturae che risultano dalla documentazione fossile non si potrà mai dimostrare che, a partire da progenitori comuni, la sequenza delle variazioni ha prodotto specie nuove.
Lyell criticava fortemente l'idea di perfettibilità implicita nel sistema dello zoologo francese, che egli aveva associato a un fatto incontrovertibile, ben documentato dai resti fossili: la tarda apparizione dell'homo sapiens rispetto agli altri primati. Lyell ebbe molto a cuore il problema delle origini umane.
Il famoso geologo criticava a Lamarck il fatto di aver proiettato verso le origini un fenomeno trasformistico non osservabile né dimostrabile nel presente, in natura o nelle tecniche di allevamento artificiale dovute all'intervento dell'uomo: questa violazione dei princìpi della ricerca geologica uniformitaria appariva di per sé sufficiente a invalidare, dal punto di vista metodico di Lyell, l'intero sistema lamarckiano.
A proposito dei risvolti teologici del trasformismo, Lyell non scorgeva lo scandalo di una negazione radicale della creazione e della provvidenza, come fecero gran parte dei contemporanei, ma tendeva piuttosto a sospendere il giudizio. Restava insoluto un dilemma: come ammettere che, in una natura soggetta a trasformazioni fluttuanti nei tempi lunghissimi, soltanto le specie viventi restassero immutate, pur essendo soggette all'influenza mutevole dell'ambiente, a una parziale variabilità, a quegli alterni processi di estinzione e di apparizione di specie "nuove" che la documentazione fossile suggerisce, pur con le sue discontinuità e lacune?
I Principles of Geology suscitarono reazioni contrastanti fra i più autorevoli scienziati britannici; i conservatori temevano il rischio che l'immagine dell'homo sapiens, creato a immagine e somiglianza di Dio, fosse umiliata e ridotta a un discendente dei primati, come Lamarck non aveva temuto di teorizzare. Darwin, imbarcato all'epoca sul Beagle, dimostrò un'adesione sempre più convinta alla metodologia geologica di Lyell. Il discepolo avrebbe finito per superare il maestro, come Lyell stesso non esitò ad ammettere. Come Lyell,Darwin decise di mettere da parte l'ipse dixit di Mosè e della Genesi. Tra il 1838 e il 1844 andò alla ricerca di prove e congetture risolutive che fossero in grado di rinunziare ai miracoli della creazione e risolvere razionalmente il «mistero dei misteri».
- Creazione ed evoluzione nei «Notebooks,1837-1839»
Già nel 1836 Darwin si domandava: è possibile che Dio sia intervenuto a più riprese mediante "creazioni speciali" nell'infinita serie ascendente della scala naturae, statica? O è più plausibile limitare l'atto creativo (nomologico) a un unico impulso iniziale del Dio legislatore, che ha imposto una volta per tutte leggi deterministiche ai fenomeni del mondo fisico, organico e inorganico? L'esegesi tradizionale della Genesi militava a favore delle creazioni speciali, ma l'esegesi allegorica più recente non escludeva questa seconda alternativa.
All'epoca del dibattito che ferveva nei primi decenni del secolo in Inghilterra, è bene ricordare che la grande metafora biblica della creazione non era sorretta solo dalla pratica del culto, ma conservava il suo antico prestigio nell'immaginario collettivo come tema prediletto dalle arti figurative, dalla musica e dalla poesia.
Quando Darwin era giovane, l'alternativa tra le creazioni speciali e l'unico atto iniziale non appariva per niente semplicistica; restava perfino sullo sfondo della teoria di Lamarck. Nessun naturalista rispettabile dell'epoca vittoriana avrebbe osato mettere esplicitamente in dubbio entrambi i corni del dilemma, tantomeno Darwin, lontano dal fare una simile scelta. Eppure, nell'autobiografia egli scrive che già da quando era imbarcato sul Beagle "la storia della creazione iniziava a sembrargli palesemente falsa". Nonostante ciò, e questo emerge ad esempio da un'annotazione del Notebook B, egli nutriva una fede ancora intatta nel design argument e nell'immagine di un Dio legislatore. E più avanti, aveva scritto: «Conoscenza assoluta che le specie muoiono e altre le sostituiscono — due ipotesi: nuove creazioni sono una mera affermazione, che non spiega nulla; si ottiene di più quando si connettono più fatti.»
Non vi è dubbio che, fra le due prospettive delineate all'inizio di questo paragrafo, Darwin inclinasse fin dal 1837 per la creazione nomologica, la più coerente con le sue prime intuizioni sulla trasformazione della specie.
Il Notebook A, prevalentemente geologico, contiene appunti sulle isole vulcaniche, sulle barriere coralline e sulle "strade" del Glen Roy. Il filone delle riflessioni trasformistiche già mature inizia nel Notebook B, per poi snodarsi nei successivi C, D, E, fino a culminare nei quaderni "metafisici" N, M e in alcune carte supplementari.
Nel Red Notebook (1836-37) sono importanti le congetture a proposito delle variazioni di due mammiferi sudamericani: il nandù, che ha avuto una diversa distribuzione geografica e si distingue dal suo parente più grande, il nandù comune; il lama attuale, che si differenzia dal suo antenato, il lama o guanaco fossile. Confrontandoli, Darwin trae la conclusione che i nandù si siano differenziati in specie distinte a causa di migrazioni, in funzione dello spazio, mentre i lama per discendenza, in funzione del tempo.
Il primo passo fu perciò l'idea che la trasformazione delle specie fosse un processo spaziale-temporale discontinuo: il collegamento fra una specie e un'altra non consiste in «un cambiamento graduale o una degenerazione derivante dalle circostanze: se una specie si trasforma in un'altra dev'essere per saltum». Le variazioni morfologiche ed evolutive non dipendono dai movimenti psichici come l'istinto, il desiderio o la volontà, come sosteneva Lamarck; esse dipendono in primo luogo dalla generazione sessuale, anche se su di esse influiscono, come Lamarck aveva pensato, l'ambiente, la distribuzione geografica, l'uso e disuso degli organi e l'ereditarietà dei caratteri acquisiti. A questo primo passo Darwin non fu indotto soltanto dallo studio comparativo dei nandù e dei lama, ma soprattutto dall'esame comparativo delle varie specie di uccelli delle isole Galàpagos.
Nel Notebook B Darwin abbozzò l'ipotesi di una continuità e gradualità del processo evolutivo che produce specie nuove a partire da antenati comuni. Seguono diverse annotazioni, dedicate a una serie di corollari: la costanza delle specie come effetto della continua promiscuità sessuale; la propagazione delle specie in stato di isolamento geografico e riproduttivo come causa essenziale dei processi di variazione; l'estinzione e scomparsa delle specie. Ormai in Darwin ha preso fissa dimora l'idea che il Dio legislatore è intervenuto una sola volta all'inizio del processo, creando leggi biologiche deterministiche che non escludono il concorso di eventi aleatori; è perciò da escludere che creazioni speciali abbiano potuto dar vita a prototipi di ciascuna specie fossile o vivente.
Verso la metà del 1838 la costruzione concettuale di Darwin era ancora priva di due tasselli molto importanti: la piena comprensione dei meccanismi selettivi ai quali le specie sono soggette in natura, e una decisa critica delle cause finali (o design argument). Per questo, sempre intorno alla metà del 1838, Darwin andò consapevolmente alla ricerca di criteri epistemologici più flessibili che, al di là dell'induzione baconiana condotta secondo le indicazioni di Herschel, gli consentissero di formulare ipotesi di lavoro capaci di interpretare a loro volta una gamma assai più ampia di fenomeni biologici e di formularne le leggi. La lettura di Malthus gli suggerì di estendere a tutte le specie animali e vegetali ciò che l'economista aveva scritto trent'anni innanzi a proposito di una serie di problemi demografici: la crescita esponenziale della popolazione umana, la scarsità di risorse, le carestie, la lotta per l'esistenza, la necessità di controllare le nascite. Leggendo quelle pagine, scrive Darwin,
“sorse in me l'improvvisa idea che in simili circostanze
le variazioni favorevoli sarebbero state tendenzialmente
conservate e quelle sfavorevoli distrutte. Risultato di ciò
doveva essere la formazione di nuove specie. Ecco come
alla fine ebbi a disposizione una teoria sulla quale lavorare”.
La visione malthusiana della natura era il luogo migliore in cui calare la metafora dell'albero della vita, l'ipotesi delle crescenti ramificazioni nello spazio e nel tempo di specie discendenti da progenitori comuni. La saldatura fra i concetti di selezione naturale e di lotta per la vita suggerita da Malthus consentì a Darwin di compiere il passo conclusivo, in modo tale da ricomporre un quadro coerente di una serie di fatti osservati e di estrapolazioni ancora frammentarie: l'estrema fecondità degli organismi, la lotta per la vita, la diversa distribuzione geografica delle specie affini, la sopravvivenza dei più adatti, lo sterminio delle specie meno adatte ai singoli ambienti.
La competizione sfrenata fra gli esseri umani, le malattie, le carestie, lo sterminio suonavano, nel drammatico quadro della "guerra della natura" tracciato da Malthus, come dure critiche contro le utopie settecentesche e le teorie del progresso. Nella visione malthusiana c'era, nonostante tutto, l'idea che la divina provvidenza operi per il meglio, promuovendo la virtù degli uomini.
Darwin si convinse pian piano che finalità provvidenziale e selezione naturale erano concetti reciprocamente incompatibili. L'una sostituiva l'altra, e la selezione naturale vanificava la teologia naturale costruita sul design argument. L'autobiografia è molto chiara su questo punto: «Il vecchio argomento della finalità della natura, come lo espone Paley, e che un tempo mi pareva tanto decisivo, viene a cadere ora che è stata scoperta la legge delle selezione naturale».
Coerentemente con tale scelta, il principio dell'adattamento tra le varie parti dell'organismo, tra l'organismo e l'ambiente, tra le varie specie, subì una metamorfosi: non fu più inteso come un progetto miracoloso ma come l'esito, imprevisto e imprevedibile, della competizione stessa. Erano adattivi non solo le mutazione morfologiche, le relazioni con l'ambiente, ma anche la trasmissione ereditaria delle variazioni utili a ciascuna specie e il gioco inconsapevole degli istinti, che nella struggle for life rafforzano la capacità di sopravvivenza dei più adatti. In questo senso, il principio dell'adattamento era funzionale all'immagine della natura dominata dalla guerra universale per la sopravvivenza, dalla distruzione e dalla rigenerazione continua di nuove specie. Nella nuova prospettiva, il postulato della creazione nomologica confermava l'esclusione delle creazioni speciali.
Ma come poteva apparire accettabile l'idea che il Creatore avesse prodotto fin dall'inizio un piano universale, in cui fossero previsti e in potenza contenuti gli infiniti e complessi adattamenti fortuiti, intrinseci allo sviluppo dell'albero della vita?
Citiamo, in risposta, direttamente le parole di Darwin:
“Non voglio negare le leggi. L'intero universo è pieno di adattamenti,
ma questi sono, credo, soltanto dirette conseguenze di leggi più alte.
Non credo che il pappo di un seme sia stato creato direttamente per
il trasporto, ma che sia conseguenza di qualche legge più generale.
Che le leggi della propagazione fossero state create in vista di sviluppi
successivi lo ammetto, ma l'ammissione deriva probabilmente da ignoranza”.
(Notebooks 1836 – 1844)
Ancora:
“La mia teoria afferma che tutti gli esseri organici sono perfettamente
adattati a tutte le situazioni dove, in accordo con certe leggi, possono
vivere. Donde l'errore che siano creati apposta. Se ci avventuriamo
ad affermare che le piante sono state create per fermare il terreno buono
nella sua corsa verso il mare, noi affoghiamo in quesiti spregevoli come
questi: perché la terra scivola; perché le piante hanno bisogno di terra,
perché non sono state create per vivere sulle vette alpine? Se crediamo
che Dio abbia creato le piante per fermare la terra, non facciamo altro
che abbassare il Creatore al livello di una delle sue creature deboli”.
(Notebooks 1836 – 1844)
Infine:
“Tutti questi fatti non sono altro che conseguenze di una legge generale.
Come le piante non furono certo create per fermare la terra, così il globo
terrestre non ruota allo scopo di produrre acqua destinata a dilavare la terra,
fluendo da montagne innalzate da forze tettoniche. Tutto deriva da alcune
grandiose e semplici leggi”. (Notebooks 1836 – 1844)
- Genealogia della morale
Nei taccuini M e N, Darwin annotò le sue riflessioni sulla psiche umana e animale, correlate a quelle dedicate negli altri taccuini al trasformismo zoologico, ma tematicamente ben distinte. Pose al centro della sua indagine comparativa dell'uomo e degli animali l'inconscio, le sensazioni, il comportamento, l'associazione delle idee, le emozioni e la loro espressione. Era l'esordio di una ricerca che avrebbe dovuto fornire, nelle sue intenzioni, altrettante prove supplementari della continuità evolutiva delle specie, dagli insetti ai mammiferi, dai primati all'uomo. Nell'Origine della specie sarà inserita una prima esemplificazione di casi di gradualità ed ereditarietà evolutiva degli istinti negli animali, destinata a svilupparsi in opere successive.
Nei taccuini sopra citati, Darwin insiste sulla convinzione che la chiave per comprendere i comportamenti umani si trova nel passato preumano e che quindi, nella ricerca psicologica ed etica, l'osservazione delle espressioni e dei comportamenti animali debba unirsi all'introspezione.
Darwin era in linea con le idee di Mackintosh, di cui condivideva la critica dell'utilitarismo e rivendicava la spontaneità degli istinti dal punto di vista della storia naturale. Una serie di annotazioni frammentarie sulle emozioni, sugli istinti, sull'approvazione altrui, sulla formazione del senso del dovere e sull'ereditarietà degli istinti testimoniano che Darwin aderì ai princìpi della teoria del moral sense e della sympathy. Tiene conto dell'esposizione di Mackintosh, ma trascrive quei princìpi in termini naturalistici: specie, coscienza collettiva, ereditarietà. Gli istinti associativi, acquisiti dalle api e dai castori nel corso di molte epoche, contribuiscono alla sopravvivenza e al successo delle specie. Il moral sense si iscrive in una sorta di subconscio collettivo che eredita e tramanda ciò che è "utile alla sopravvivenza e al benessere di un gruppo, di una tribù, di una società".
Ecco così scrive Darwin:
“Due classi di moralisti: l'una dice che la regola della nostra vita è quella che
produrrà la maggior felicità. L'altra dice che noi abbiamo un senso morale.
Ma la mia teoria unisce l'una e l'altra, e dimostra che sono pressoché identiche,
e che ciò che ha prodotto il maggior bene o piuttosto ciò che era indispensabile
per il bene, e il senso morale istintivo [...] Valutando la regola della felicità noi
dobbiamo mirare molto innanzi e all'azione generale, certo perché e il risultato di
ciò che è stato generalmente il meglio per noi in un lontano passato”.
In The Descent Man, Darwin ricondurrà la coscienza e il senso morale nella prospettiva di un patrimonio ereditario proveniente da antenati preumani.