Il concetto di noia in filosofia
Perché l'uomo si annoia?
Anche molti animali si possono annoiare e spesso reagiscono alla noia, ovvero alla mancanza di stimoli, dormendo. Più un animale è dotato di intelligenza e curiosità e più è facile che provi il senso di noia, come noi esseri umani.
La noia è una sensazione di vuoto momentaneo, provocato dal fatto che la nostra mente è alla continua ricerca di stimoli.
Più siamo allenati a tenere attiva la nostra mente, più la riempiamo di informazioni e desideri, più siamo propensi all'azione, alla progettazione del nostro presente e futuro, più siamo ricchi di idee, interessi, voglia di emergere o realizzarci e voglia di vivere in tutti i sensi, maggiori saranno le probabilità che una noia momentanea ci faccia precipitare nel senso di vuoto, d'impotenza, di tempo perso.
Sono solo gli ignoranti e i pigri che non si annoiano mai, si potrebbe forse concludere.
Mentre non si annoiano di sicuro le persone che catturano gli infiniti stimoli che la vita e i nostri sensi ci possono procurare.
L'uomo è da sempre vittima potenziale della noia, sin dai tempi delle caverne.
Nella filosofia il termine si trova usato genericamente nel significato di un sentimento doloroso insito nella stessa vacuità della vita e percepito, dai più riflessivi, sempre presente come taedium vitae (tedio, noia della vita).
Nella Roma del I secolo a.C. i dibattiti sulla religione e la morale derivati dalla cultura greca cominciano a incrinare i valori tradizionali di un'aristocrazia ricca ed oziosa che diviene preda della noia.
Lucrezio, l'erede romano della visione sofferente ed angosciosa della filosofia epicurea, è testimone della fatica di vivere in un'età caratterizzata dalle guerre civili e dall'afflusso di ricchezze provenienti dalle conquiste che sviluppano l'ozio e la dissolutezza.
Osserva Lucrezio come si cerchi di fuggire dal mal di vivere, dal disgusto di se stessi ma, così facendo, in realtà si fugge solo da se stessi poiché si ignora la causa del proprio male, il senso della vita e il destino dopo la morte:
« ognuno non sa quel che si voglia e cerca sempre
di mutar luogo, quasi potesse deporre il suo peso […]
Così ciascuno fugge sé stesso, ma, a quel suo 'io', naturalmente,
come accade, non potendo sfuggire, malvolentieri gli resta attaccato,
e lo odia, perché è malato e non comprende la causa del male; […]
Infine, a trepidare tanto nei dubbiosi cimenti
quale triste desiderio di vita con tanta forza ci costringe?[…]
Inoltre, ci moviamo nello stesso giro e vi rimaniamo sempre,
né col continuare a vivere si produce alcun nuovo piacere;
ma, finché ciò che bramiamo è lontano, sembra che esso superi
ogni altra cosa; poi, quando abbiamo ottenuto quello, altro
bramiamo e un'uguale sete di vita sempre in noi avidi riarde. »
Gli stessi temi compaiono ancora nel I secolo con Seneca
« ideo detractis oblectationibus, quas ipsae occupationes discurrentibus praebent, domum, solitudinem, parietes non fert, invitus aspicit se sibi relictum. Hinc illud est taedium et displicentia sui et nusquam residentis animi volutatio et otii sui tristis atque aegra patientia,... »
(IT)« ...perciò, tolte di mezzo le gioie, che proprio gli impegni offrono a chi si muove di qua e di là, l'animo di costoro non sopporta la casa, la solitudine, le pareti, contro voglia vede di essere stato lasciato solo con sé stesso. Di qui nasce quella noia e quella scontentezza di sé, quel rivoltolarsi dell'animo, che non si placa in alcun luogo, quella sopportazione malcontenta e malata del proprio ozio,... »
In questo senso il concetto si trova spesso nel II secolo nello stoico Marco Aurelio che evidenzia come la più comune malattia che colpisca l'animo sia l'insoddisfazione:
« Tutti soffrono di questa medesima malattia, sia quelli afflitti dalla volubilità, dalla noia o dal continuo cambiamento d'umore che rimpiangono sempre quanto hanno lasciato, sia quelli che si abbandonano all'ignavia e all'indifferenza. »Colpito dalla noia l'uomo cerca di scuotersi con un insensato attivismo che non fa altro che renderlo ancora più inquieto e consapevole dei suoi fallimenti. Per questo si isola dal mondo ritirandosi dalla vita pubblica e da quella privata. Una situazione questa che fa nascere
« ...quella noia, quella scontentezza di sé, quell'inquietudine dello spirito che non trova pace in nessun luogo, una rassegnazione penosa e amara alla propria inattività...»Così l'uomo cerca di sfuggire se stesso impegnandosi in tutto ciò che possa distrarlo e aiutarlo a superare la noia di vivere:
« Dobbiamo convincerci che non dipende dai luoghi il male di cui soffriamo, ma da noi; non abbiamo la forza di sopportare niente, né fatiche né piaceri, neppure noi stessi. Ecco perché alcuni si sono spinti al suicidio, perché le mete che si prefiggevano di raggiungere, a furia di cambiarle, riproponevano sempre le stesse cose, non lasciando spazio alle novità: la vita e il mondo stesso cominciarono a nausearli e alla loro mente si presentò l'interrogativo proprio di chi marcisce tra i propri piaceri: "Sempre le stesse cose! Fino a quando durerà tutto questo?"»
Moralisti e filosofi hanno talora insistito sul carattere cosmico o razionale di questo sentimento. "Senza il divertimento, diceva Pascal, noi saremmo nella noia e la noia ci spingerebbe a cercare un mezzo più solido, per uscirne. Ma il divertimento ci diletta e così ci fa arrivare inavvertitamente alla morte".
La riflessione di Blaise Pascal sulla noia ci indirizza alle più moderne considerazioni dell'uomo che nelle sue frenetiche occupazioni diviene incapace di godere del riposo o meglio dell'otium com'era inteso dai romani: un'attività che procuri un sereno piacere interiore:
« Niente per l'uomo è insopportabile come l’essere in pieno riposo, senza passioni, senza affari da sbrigare, senza svaghi, senza un'occupazione. Egli avverte allora la sua nullità, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. Subito si leveranno dal fondo della sua anima la noia, la malinconia, la tristezza, l'afflizione, il dispetto, la disperazione.»Ma spesso l'infelicità dell'uomo è semplicemente «quella di non riuscire a starsene tranquilli in una stanza.»
I molti impegni che l'uomo assume non servono a fargli superare l'essenziale infelicità della condizione umana, ma solo a stordirlo e distrarlo mentre cerca di sfuggire da sé stesso.
« E quelli che sull'argomento fanno della filosofia e che giudicano assai poco ragionevole che la gente passi l'intera giornata a correr dietro a una lepre che non si vorrebbe aver comprato, non capiscono nulla della nostra natura. Quella lepre non ci impedirebbe la vista della morte e delle altre miserie, ma la caccia, che ce ne distrae, può farlo...e quand'anche ci si vedesse abbastanza al riparo da tutte le parti, la noia, di sua privata autorità, non farebbe a meno di venire a galla dal fondo del cuore, dov'è naturalmente radicata, e di riempire lo spirito con il suo veleno.»
Il filosofo Schopenhauer osservava che "non appena miseria e dolore concedono all'uomo una tregua, la noia è subito tanto vicina che egli per necessità ha bisogno di un passatempo"; e vedeva perciò la vita continuamente oscillare tra il dolore e la noia. Nella concezione pessimistica dell'esistenza Schopenhauer vede l'alternarsi dell'inesorabile "volontà di vivere", che si esprime nel dolore, per la mancanza della soddisfazione dei desideri e delle passioni umane, e nella noia, per l'inutile possesso di beni materiali superflui e contingenti.
La volontà di vivere produce incessantemente nell'uomo bisogni che richiedono soddisfazione: desideri, che sono dunque reazione ad un senso di mancanza, di sofferenza e che quindi originano dal dolore e, insoddisfatti pienamente, causano sofferenza o noia: difficilmente infatti tutti i desideri si realizzano, e la mancata realizzazione di alcuni di essi causa un'ulteriore, più acuta sofferenza. Ma, anche quando un desiderio viene soddisfatto, il piacere che ne deriva risulta essere solo di natura negativa, soltanto, cioè, un alleviamento della sofferenza provocata da quel prepotente bisogno iniziale; bisogno che subito riappare in altra forma, pronto a pungolare con nuovi desideri l'affannata coscienza umana.
E quando pure l'uomo non viva nel bisogno fisico e nella miseria, quando nessun effimero desiderio (invidia, vanità, onore, vendetta) gli riempia i giorni e le ore, subito la noia, la più angosciosa di tutte le sofferenze, si abbatte su di lui: «Col possesso, svanisce ogni attrattiva; il desiderio rinasce in forma nuova e, con esso, il bisogno; altrimenti, ecco la tristezza, il vuoto, la noia, nemici ancor più terribili del bisogno.»
«La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia... Il godimento è solo un punto di trapasso impercettibile nel lento oscillare del pendolo».La vita è quindi un alternarsi di dolore e di noia, passando per la momentanea sensazione, meramente negativa, del piacere, del non dolore.
Esistono infatti per Schopenhauer due tipi di noia: quella superficiale per cui «L'annoiato lungi dal non volere, vuole» e rimpiange la vita intensamente vissuta nella tensione. La noia infatti è la volontà che vuole se stessa com'era. Una volontà più sofisticata ma non meno tenace e sfibrante.
Ma esiste anche una noia profonda che caratterizza colui che è arrivato al termine del percorso disperato della volontà di vivere: è la noia dell'asceta e del contemplativo che non sfuggono più la noia anzi si sprofondano in essa poiché questa condizione è il primo passo del raggiungimento della «morte in vita», del rovesciamento della voluntas in noluntas.
Più profondamente ed anticipando l'esistenzialismo, leopardi vedeva nella noia l'esperienza della nullità di tutto ciò che è: "Or che cos'è la noia" si chiedeva. "Niun male né dolore particolare (anzi l'idea e la natura della noia esclude la presenza di qualsiasi particolare male o dolore) ma la semplice vita pienamente sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all'individuo, ed occupantelo.
Heidegger ha ripetuto queste notazioni, scorgendo nella noia il sentimento che rivela la totalità delle cose esistenti, nella loro indifferenza. "La vera noia, egli ha detto, non è quella che ci viene da un libro o da uno spettacolo o da un divertimento che ci annoiano, ma quella che ci invade quando "ci si annoia": la noia profonda che, come nebbia silenziosa, si raccoglie negli abissi del nostro esserci, accomuna uomini e cose, noi stessi con tutto ciò che è intorno a noi, in una singolare indifferenza. E' questa la noia che rivela l'esistente nella sua totalità.
La noia in questo senso è molto vicina alla nausea di cui parla Sartre e che anch'essa l'esperienza dell'indifferenza delle cose nella loro totalità. Il precedente di essa può forse essere scorto nella malinconia che secondo Kierkegaard è lo sbocco inevitabile della vita estetica.
Nella sua analisi del tempo Bergson distingue il tempo della scienza, spazializzato, quantitativo e misurabile, costituito da istanti uguali tra loro, da quello definito come "durata reale" che coincide con quello della vita, quello vissuto con istanti sempre qualitativamente diversi con un loro specifico significato.Ed è proprio quando non riusciamo a dare senso al tempo che nasce quella sofferenza che chiamiamo noia che fa sì che il tempo sembri non passare mai e che certi momenti sembrino durare in eterno. La noia è la controprova della vera realtà del tempo come una lunga durata indefinita così come il piacere segna il tempo di breve durata. Su questa distinzione bergsoniana si basa l'analisi di Vladimir Jankélévitch che riporta la noia nell'ambito di quei sentimenti mediatori tra l'"avventura" e la "serietà", tra una vita estetica basata sull'attimo e una vita etica basata sulla durata dell'accettazione di valori regolatori dell'esistenza umana.
« L'avventura, la noia e la serietà sono tre diversi modi di concepire il tempo. Ciò che si vive e si spera appassionatamente nell'avventura è il sorgere dell'avvenire. La noia, al contrario, è piuttosto vissuta nel presente... Quanto alla serietà, essa è un certo modo ragionevole e generale non di vivere il tempo ma di inquadrarlo nel suo insieme, e di prendere in considerazione la maggiore durata possibile. »
Personalmente ritengo che a volte vincere la noia dipende esclusivamente da noi, basta inventarsi una cosa qualsiasi per saltarne fuori.
Altre volte, invece, la dobbiamo subire in modo passivo e non abbiamo alcun elemento per combatterla.
Si possono annoiare i giovani, per carenza di idee e di stimoli e si possono annoiare gli anziani, ai quali tutto può sembrare un film già visto. In realtà la vita offre a qualsiasi età un numero enorme di stimoli e di occasioni d'interesse. Sta solo a noi saperli cogliere per superare brillantemente i brevi o lunghi periodi in cui siamo costretti a lasciar scorrere il tempo inutilmente.
La noia è un sentimento importantissimo per l'umanità. E' per battere la noia che l'uomo ha iniziato a fantasticare con la mente, ad uscire dal proprio guscio di puro istinto.
Così, stimolato proprio dallo sgradevole senso di noia, s'è spinto verso i pensieri astratti, rievocando mentalmente le proprie esperienze, analizzando il mondo che lo circondava, costruendo utensili o monili, pitturandosi il corpo, progettando nuove armi, seguendo quei magnifici processi d'analisi e di sintesi, che lo contraddistinguono dagli animali inferiori.
La noia è anche molto legata alla sensazione dello scorrere del tempo.
Pensate, tanto per fare un banale esempio, quanto è lunga per noi l'attesa di un paio di minuti davanti ad un semaforo rosso, rispetto alla durata di un film avvincente. La noia ferma il tempo soggettivo e questa condizione, (se non siamo stati addestrati a sviluppare la capacità della pura contemplazione, cioè della vita spirituale), provoca, al nostro corpo ed alla nostra mente, un profondo disagio e insofferenza.
Bibliografia:
Dizionario filosofico di N.A
Le Garzantine