Il nichilismo
Delineando una breve storia del nichilismo, occorre evidenziare come già sul finire del XVIII secolo si rinvengano tracce nichiliste nella critica mossa da alcuni pensatori preromantici, quali Jacobi e Jean Paul, alla filosofia idealistica che, riducendo il reale a mero gioco ideale, rischia di vanificarlo, riducendolo a nulla. Questi autori intuiscono il possibile esito nichilista dell'idealismo nel ridurre l'essere al pensiero. Nella Russia ottocentesca sorgono, d'altra parte, movimenti che ritengono possibile una rinascita dell'umanità solo attraverso il dispiegarsi di una via negativa, nell'idea che solo in seguito alla distruzione sia possibile che la società si rinnovi profondamente: si tratta di movimenti d'ispirazione anarchica, che del nichilismo accentuano la valenza distruttiva e emancipativa. Nietzsche critica poi la metafisica e la religione come responsabili dell'umiliazione della vita, attribuendo a questo nulla, al quale la creatività umana è stata da loro ridotta, un significato ancora negativo.
E' però con il XX secolo che il nichilismo viene ad assumere una valenza (anche) positiva. La ripresa novecentesca di Nietzsche, approfondita da uno sviluppo heideggeriano, porta a una nuova concezione della prospettiva nichilista per cui il venir meno dei valori e delle certezze tradizionali vengono investiti di una portata emancipativa: la morte di Dio e il crollo delle strutture ad esso associate conduce alla distruzione di tutti i fondamenti assoluti acriticamente accettati.
Distruggendo la metafisica si compirebbe allora un'opera meritoria, perché si libererebbe l'uomo dall'oppressione di quelle strutture (metafisiche) che sono a fondamento di un'organizzazione gerarchica e autoritaria sella società.
Questo percorso che mira a un progressivo indebolimento degli assoluti metafisici, perciò noto anche come pensiero debole, si fonda sull'intreccio di una certa lettura heideggeriana unita a un'interpretazione del cristianesimo come processo di progressivo indebolimento dell'assolutezza divina.
Tale prospettiva trova la sua giustificazione teologica nell'atto dell'Incarnazione visto come passaggio dal Dio despota al Dio caritatevole che si afferma attraverso uno svuotamento del divino.
Il nichilismo novecentesco cosi declinato trae dunque sostegno dalla critica nietzschiana della morte di Dio, dal pensiero heideggeriano sull'oblio dell'essere e dell'interpretazione kenotica del cristianesimo, leggendo lo svuotamento dei valori e delle certezze come processo di secolarizzazione e immanentizzazione del divino. E' chiara l'eredità heideggeriana nel tema della fine della metafisica, nell'idea che essa sia ormai giunta al termine, a una conclusione che coincide con il suo compimento cui deve seguire la completa secolarizzazione come venir meno di ogni principio superiore attraverso il progressivo indebolimento delle strutture metafisiche.
E' lungo questo sentiero positivamente nichilista che l'uomo otterrà quell'emancipazione e quella libertà da tutte le sovrastrutture metafisiche e renderà possibile una radicale trasformazione della società.
Tale indebolimento porta ad una ridefinizione dei valori fondamentali: ai principi assoluti in ambito morale si sostituisce il valore non assoluto della carità (Vattimo); il venir meno delle norme assolute di verità impone il ricorso al consenso (Rorty) come criterio per definire ciò che è vero e favorire la convivenza.
E' però con il XX secolo che il nichilismo viene ad assumere una valenza (anche) positiva. La ripresa novecentesca di Nietzsche, approfondita da uno sviluppo heideggeriano, porta a una nuova concezione della prospettiva nichilista per cui il venir meno dei valori e delle certezze tradizionali vengono investiti di una portata emancipativa: la morte di Dio e il crollo delle strutture ad esso associate conduce alla distruzione di tutti i fondamenti assoluti acriticamente accettati.
Distruggendo la metafisica si compirebbe allora un'opera meritoria, perché si libererebbe l'uomo dall'oppressione di quelle strutture (metafisiche) che sono a fondamento di un'organizzazione gerarchica e autoritaria sella società.
Questo percorso che mira a un progressivo indebolimento degli assoluti metafisici, perciò noto anche come pensiero debole, si fonda sull'intreccio di una certa lettura heideggeriana unita a un'interpretazione del cristianesimo come processo di progressivo indebolimento dell'assolutezza divina.
Tale prospettiva trova la sua giustificazione teologica nell'atto dell'Incarnazione visto come passaggio dal Dio despota al Dio caritatevole che si afferma attraverso uno svuotamento del divino.
Il nichilismo novecentesco cosi declinato trae dunque sostegno dalla critica nietzschiana della morte di Dio, dal pensiero heideggeriano sull'oblio dell'essere e dell'interpretazione kenotica del cristianesimo, leggendo lo svuotamento dei valori e delle certezze come processo di secolarizzazione e immanentizzazione del divino. E' chiara l'eredità heideggeriana nel tema della fine della metafisica, nell'idea che essa sia ormai giunta al termine, a una conclusione che coincide con il suo compimento cui deve seguire la completa secolarizzazione come venir meno di ogni principio superiore attraverso il progressivo indebolimento delle strutture metafisiche.
E' lungo questo sentiero positivamente nichilista che l'uomo otterrà quell'emancipazione e quella libertà da tutte le sovrastrutture metafisiche e renderà possibile una radicale trasformazione della società.
Tale indebolimento porta ad una ridefinizione dei valori fondamentali: ai principi assoluti in ambito morale si sostituisce il valore non assoluto della carità (Vattimo); il venir meno delle norme assolute di verità impone il ricorso al consenso (Rorty) come criterio per definire ciò che è vero e favorire la convivenza.