La crisi della metafisica
La "crisi della metafisica", da un lato, è solitamente ricondotta alla riflessione heideggeriana e agli sviluppi che essa ha prodotto e, dall'altro, trova un suo riferimento essenziale anche nel filone analitico che, secondo differenti motivazioni e presupposti, ha anch'esso mosso una critica profonda all'impianto metafisico tradizionale.
In realtà tracce di un tale atteggiamento critico si riscontrano già nell'opposizione tra scetticismo e stoicismo, in cui il primo sosteneva contro il razionalismo dogmatico stoico l'impossibilità di accedere a qualsiasi contenuto veritativo, non solo metafisico. Sesto Empirico (II-III sec. d.C.) ad esempio condanna la metafisica salvaguardando però il sapere scientifico: in questo pensatore, manifestazione più matura dello scetticismo antico, si assiste ad una critica mossa specificamente contro i contenuti della conoscenza metafisica.
L'empirismo moderno, al pari del suo ideale predecessore, critica quello che gli pare essere lo pseudo-sapere metafisico, affidandosi alla solidità di una conoscenza del mondo che pone la sua garanzia di validità sul terreno sicuro di ciò che è empiricamente constatabile.
Bacone relega infatti la metafisica al puro ambito della conoscenza delle forme e della cause finali; Hume estende la componente scettica implicita nell'empirismo a tutto il sapere, legittimando solo le affermazioni basate sui fatti e quelle relazioni, istituite dalla matematica, che interessano le idee formali. E' invece categorica la sua nuova critica alla metafisica, in particolare ai concetti di causa e di sostanza.
Kant va oltre la posizione di Hume e offre una più complessa critica della metafisica, che tiene conto della sua genesi: alla ragione è preclusa la conoscenza metafisica e tuttavia essa vi è inevitabilmente condotta a eccedere i propri limiti teoretici, producendo idee nulle dal punto di vista conoscitivo, queste tuttavia mantengono senso e valore per la loro funzione sistematica e soprattutto per la loro portata pratica. In questo senso Kant salva la ragione dall'accusa di totale inaffidabilità, spostando sul piano morale ciò che non può esserle attribuito su quello conoscitivo. Come è noto, egli espone lo scacco in cui la ragione teoretica s'imbatte, analizzando i ragionamenti errati in cui sempre la conoscenza relativa alle tre idee razionali - anima, mondo e Dio - necessariamente ricade. Il discorso sull'anima sfocia infatti in paralogismi, in ragionamenti apparenti che nascondono un errore di fondo, che in questo caso consiste nello scambiare illegittimamente la nozione puramente logico-formale dell'io-penso, la quale soltanto può essere compresa dall'intelletto essendone il fondamento, con la concezione di un'anima come sostanza spirituale.
I ragionamenti volti alla comprensione del mondo danno invece luogo ad antinomie, ossia alla dimostrazione di una tesi e del suo contrario: nella terza antinomia si sostiene ad esempio prima la necessità del mondo, poi il suo fondamento in una causa libera. Infine le dimostrazioni dell'esistenza di Dio, tutte riconducibili alla prova ontologica, cadono nell'errore di predicare l'esistenza, categoria applicabile unicamente agli oggetti di esperienza, a un contenuto - l'essenza di Dio - che per definizione non è empirico.
La ragione non può evitare tali errori, perché essa è naturalmente portata a pensare la totalità: quella dell'anima, come totalità dei fenomeni del senso interno; del mondo, come totalità dei fenomeni del senso esterno; di Dio come totalità di tutto il possibile. L'errore della ragione, l'illusione trascendentale in cui inevitabilmente cade, consiste nel forzare il legittimo valore regolativo e ordinante di tali idee attribuendo ad esse una portata conoscitiva che non posseggono, assumendole cioè come realtà vere e proprie.
Vi è dunque in Kant, allo stesso tempo, una critica e una giustificazione della metafisica (intesa in senso nuovo), una distruzione dell'antico edificio metafisico per fondarne uno nuovo più saldo nelle sue fondamenta; e anche un recupero in sede morale dei tradizionali contenuti della metafisica.
L'Idealismo, come si è detto, accoglie e respinge la soluzione kantiana, confermando da un lato la condanna della metafisica tradizionale, che si colloca nel solco della giustapposizione fra Dio e mondo, ma rifiutando, dall'altro, il divieto di accedere alla conoscenza dell'Assoluto. La metafisica viene così riproposta secondo una nuova forma che si fonda sull'intuizione intellettuale (Fichte e Schelling) o sulla Ragione assoluta (Hegel), intese come organi conoscitivi mediante i quali è possibile collocarsi al livello della realtà assoluta.
La critica di Marx non distingue l'idealismo dalla metafisica (assumendo che esso ne sia una semplice variante). Esso piuttosto assume una valenza specifica, poiché l'accusa che le viene rivolta è quella di essere "ideologia". La fallacia dei sistemi filosofici non viene individuata in riferimento a errori di metodo o a illusioni, il punto problematico non necessita per essere colto di motivazioni esse stesse metafisiche, ma la critica si attesta ad un livello diverso: intendere la metafisica come ideologia significa indicarne la genesi nel tentativo di giustificazione e rafforzamento di condizioni sociali e materiali. Ogni ideologia è sempre mistificazione: essa nasconde un principio generativo che è compito della critica portare alla luce mediante un processo di smascheramento capace di rivelare l'inganno di fondo di ogni struttura ideologica, ovvero l suo presentarsi come sapere o sistema universalmente valido, quando è in realtà soltanto il frutto di interessi particolari. Nell'attuazione di questo processo di demistificazione vengono revocate le finalità teoriche che costituiscono il suo involucro menzognero mostrando i reali interessi pratici che sono sottesi. Marx coinvolge nella critica anche la religione, cui rivolge la medesima accusa: anch'essa sarebbe infatti espressione dell'interesse di pochi, che traggono vantaggio dalle condizioni sociali vigenti e che hanno dunque interesse a vederle riconfermate. La metafisica (la filosofia speculativa in generale) costituirebbe una presentazione più raffinata e culturalmente complessa del discorso religioso, ma nella sostanza risponderebbe al medesimo intento mistificatorio.
Con Engels la critica si intesse di argomentazioni vicine al positivismo, quale radicalizzazione estrema del veto kantiano: non solo è preclusa alla conoscenza la via teoretica nel coglimento delle idee della ragione, ma viene annullato anche il loro recupero sul lato pratico. Secondo questa corrente filosofica è infatti conoscibile solo ciò che è direttamente dedotto da fatti positivi o è ad essi riconducibile, il che significa tacciare di insensatezza ogni discorso che riguardi gli oggetti trascendenti. La metafisica non può dunque addurre alcuna pretesa di scientificità, ma al massimo richiedere uno statuto artistico, definendosi come creazione poetica o espressione religiosa. In questo senso Lange, autore di una celebre Storia del materialismo (1866), definisce le idee metafisiche come "parti poetiche della singola persona", considerandole quindi come "invenzioni poetiche" che, prive di ogni scientificità, sono però in grado con la loro forza evocativa di condizionare intere epoche, sebbene non abbiano alcun diritto a esigere quella immutabilità e giustezza di cui invece pretendono di disporre.
Comte, a sua volta, riconosce alla metafisica una determinata collocazione in quel processo di evoluzione culturale che ha condotto l'uomo a forme di conoscenza sempre più precise e scientificamente valide; in questo percorso la metafisica si situa in uno stadio intermedio, successivo alla religione, di cui rappresenta uno sviluppo, ma antecedente al momento positivo, l'unico che possa legittimamente dirsi scientifico. Anche per Comte, al pari di Marx, la metafisica si propone di rispondere alle medesime problematiche aperte dalla religione, caratterizzandosi rispetto a quest'ultima per una maggiore astrattezza argomentativa. Se infatti la prima tenta di rendere conto dell'ordinamento del mondo ricorrendo a entità personali (gli dei), la seconda sostituisce tali entità divine con strutture astratte ( i principi), senza però modificare la modalità argomentativa. Il vero progresso avviene solo nel terzo stadio, quello positivo, che riconosce come uniche cause di ciò che realmente esiste, quelle empiriche. Solo ciò che ha un positivo fondamento nell'esperienza può essere scientificamente conosciuto.
Il neopositivismo estremizza ulteriormente la critica positivistica affermando non solo che le proposizioni metafisiche eccedono nel contenuto la capacità conoscitiva dell'intelletto o che si riferiscono ad un passato stadio conoscitivo dell'umanità ( Comte) e risultano quindi ormai superate, ma anche e soprattutto che esse sono di per sé prive di senso in quanto non ricadono né nella dimensione puramente logica degli asserti autoevidenti né si presentano come enunciati verificabili empiricamente. Nella seconda fase del pensiero di Wittgenstein la durezza di questa critica verrà in parte attenuata, senza pervenire comunque ad una riabilitazione del discorso metafisico: le proposizioni metafisiche non hanno una portata conoscitiva, ma possono avere un senso nell'ambito dello specifico gioco linguistico cui appartengono. Fr. Waismamm, a sua volta, attribuisce ai pensatori metafisici un'attitudine simile a quella dei poeti, capaci di esprimere la sensibilità di un'epoca storica, senza però che le loro teorie abbiano con ciò alcuna portata conoscitiva; Carnap, in polemica con Heidegger, definisce i metafisici come "musicisti senza talento", mostrando così resistenza persino ad attribuire una giustificazione estetica alla metafisica.
Oltre che dal positivismo e dal neopositivismo una dura critica alla metafisica è mossa da Nietzsche il quale, in modo opposto a Schopenhauer, non deriva la religione dal bisogno metafisico, ma propugna la tesi contraria: la metafisica prolunga, conferma e raffina l'errore della religione. Perciò la sua critica si indirizza anzitutto a quest'ultima quale nucleo portante della metafisica stessa. L'accusa centrale che muove a entrambe non è però di tipo teorico: non si tratta di un errore speculativo, ma piuttosto di una (voluta) distorsione morale. Secondo Nietzsche, religione e metafisica sono responsabili di aver modificato la vita e i suoi valori, dando così adito e forza alla morale dei deboli che di esse si sono serviti come strumento per proteggersi di fronte alla libera forza dei signori, stabilendo regole e ordinamenti capaci di arginarla nella sua potenza dirompente.
La critica di Nietzsche alla metafisica assume quindi un valore liberatorio: non si propone di mettere in luce una fallacia razionale, ma di smascherarne il carattere mistificatorio e quindi ideologico, in quanto interesse particolare che si nasconde sotto le spoglie di ordinamenti immutabili e universali: in questo senso anche Nietzsche mira a una demistificazione della metafisica. Alla critica ideologico-mistificatoria se ne affianca in Nietzsche anche un'altra, vicina al positivismo, di carattere storico-culturale, per cui metafisica e religione vanno rifiutate in quanto retaggi deleteri di epoche trascorse, anacronismi propri di una cultura ormai appartenente al passato.
In questo contesto si colloca il tema della "morte di Dio", tema di ispirazione religiosa che già Hegel aveva affrontato nella sua radicalità: per entrambi si tratta di pensare la morte non soltanto del Figlio di Dio, ma di Dio stesso. Ma se per Hegel la morte di Dio è un momento dialettico superabile e superato, per Nietzsche rappresenta la conclusione di un processo epocale cui non è possibile sottrarsi.
Nel celebre passo della Gaia scienza, intitolato L'uomo folle (frammento 125), si intrecciano le molte anime che attraversano la riflessione nietzschiana: la critica al cristianesimo e il suo superamento, oltre ai motivi idealistici e positivistici. La follia permea a vari livelli questo frammento e ne è uno dei motivi fondamentali: anzitutto rappresenta dall'atto dell'uomo che avanza con una lanterna accesa nel giorno, un lume con cui si è messo alla ricerca di Dio. Ciò risveglia l'ironia degli uomini presenti al mercato che ormai da tempo non credono più in Dio e per i quali non può dunque che essere folle ricercare ciò che non è mai esistito. E' significativa la collocazione della scena in un mercato, simbolo della dimensione economica dominante nella società moderna, in cui non vi è posto per l'idea di Dio, capace ormai di suscitare solo il riso. Ma l'uomo afferma che Dio non c'è non perché sia scomparso, si sia nascosto o sia fuggito in volontario esilio - come ironicamente gli suggeriscono gli atei presenti - ma perché è stato ucciso e, si aggiunge, "gli uomini sono i suoi assassini". Dio è morto perché gli uomini lo hanno ucciso: questa è la folle verità dell'uomo con la lanterna.
Ma cosa significa ciò?
Nietzsche registra l'esperienza di un radicale mutamento della visione del mondo seguito all'imporsi del sistema copernicano sul modello tolemaico: la Terra, posta al centro dell'universo, conferiva anche all'uomo quella centralità che, dal piano astronomico a quello filosofico in generale, lo poneva al vertice di una gerarchia, di un cosmo ordinato di cui per secoli era considerato indiscusso sovrano. Se ora l'universo è infinito, nulla è più al suo centro, perché l'infinito ne è privo, ma neppure alla periferia del sistema solare la Terra occupa più di un ruolo privilegiato, perché è attribuita al Sole la posizione centrale. Sul piano esistenziale questo si traduce in un senso di smarrimento e angoscia perché in un cosmo infinito, separata la Terra dal suo Sole - che è qui quello astronomico, ma anche soprattutto quello metafisico, ben rappresentato ad esempio dal Dio aristotelico che con la sua presenza guidava e ordinava il tutto -,l'intero universo di senso è stato frantumato. privato di ogni indicazione di direzione e di ogni orientamento, l'uomo vaga senza meta in un infinito che non presenta più alcuna familiarità che possa esservi riconosciuta. E forse l'uomo neppure avanza, ma precipita in quella voragine in cui lui stesso si è gettato. E allora, se è tanto buio il nostro cammino, è poi tanto folle accendere le lanterne durante il giorno?
Dio è morto e si sta procedendo alla sua sepoltura. Il fatto è ancora recente, tanto che Nietzsche interpreta il suo tempo come un momento intermedio, di trapasso da una vecchia a una nuova epoca. Dio è morto e gli uomini sono oppressi dalla colpa. Tanto grave è il misfatto che non può essere sopportato se non assegnando a sé gli stessi attributi divini, divinizzando l'uomo stesso. L'allusione è qui alla filosofia di Feuerbach che reagisce alla morte di Dio facendo dell'uomo il "nuovo Dio". Si tratta di un atto epocale, cui è destinato a seguire un fondamentale rivolgimento storico: l'assassinio è avvenuto, gli uomini hanno ucciso Dio, ma la consapevolezza di ciò non è ancora giunta a chi pure ha compiuto il delitto.
I grandi mutamenti storici necessitano di tempo prima di venire riconosciuti in tutta la loro portata, prima che venga acquisita la consapevolezza della sua realtà e delle sue conseguenze: "Vengo troppo presto", dice l'uomo folle.
Nietzsche ha intuito la tendenza, secondo lui inarrestabile, verso la negazione di Dio, ha visto come i germi di tutto ciò fossero già presenti nella cultura moderna, ma ha anche inteso come fosse necessario ancora tempo perché, cresciuti, potessero essere tutti riconosciuti. L'uomo folle getta la lanterna: non è ancora il tempo perché venga accesa. Il grottesco finale è la rappresentazione simbolica del certificato di morte del cristianesimo, giunto così alla sua conclusione storica: le chiese altro non sono infatti che i sepolcri del Dio che è morto.
Sullo sfondo di questa visione storico-epocale si intuisce all'orizzonte la presenza dell'oltreuomo, posto accanto all'uomo nuovo marxista e rivoluzionario.
Con il crollo delle potenze superiori è venuto meno anche ciò che garantiva ordine e stabilità; tocca a questo punto all'uomo, a lui soltanto, incaricarsi del proprio destino, ora che tutte le "balie" - metafisiche, morali, religiose - che lo hanno cresciuto sono state licenziate: tocca ora a lui dire sì alla vita.
Quella di Nietzsche non è dunque una critica razionale alla metafisica i alla sua razionalità, ma egli mette in dubbio che vi sia per essa ancora spazio nel mondo contemporaneo: la metafisica è ormai tramontata e non ha pertanto più senso alcuna valutazione delle singole proposte metafisiche passate e neppure il cambiare statuto al discorso metafisico portandolo dal piano teoretico a quello morale (Kant): Dio è morto e con lui l'intero orizzonte religioso, metafisico e morale che in esso trovava il suo sostegno.
Accanto a Marx, che ha criticato religione e metafisica a partire da argomenti economico-sociali, e a Nietzsche, che ha orientato la sua critica in base a matrici storico - culturali approdando alla volontà di potenza, si è soliti indicare anche un altro pensatore, che ha sottoposto a una simile analisi demistificatoria la struttura del soggetto: Freud. Questi non tratta direttamente di metafisica, ma in generale riconduce le credenze umane a motivi di ordine materiale, a pulsioni psichiche inconsce, che regolano e determinano, pur rimanendo implicite, la profondità ultima del nostro pensare e agire.
Occorre poi ricordare Dilthey che, pur negando alla metafisica la validità scientifica, riconosce che essa risponde a un'invincibile tendenza umana a creare immagini e sistemi con cui ordinare il mondo. Le peculiarità che differenziano ciascuna proposta metafisica vanno spiegate sulla base di un esame che tenga conto degli specifici ordini storici ed empirici in cui esse sono emerse: è dunque necessario, a fianco di un'analisi storica, anche un approfondimento psicologico della vita interiore dell'uomo.
Nietzsche e Dilthey influenzano significativamente il pensiero di Heidegger che nella sua riflessione sulla metafisica attraversa fasi diverse. In un primo momento, che si concretizza in opere di importanza decisiva, quali Essere e tempo (1927), Kant e il problema della metafisica e Che cos'è la metafisica (1929), manca una vera e propria critica.
Nell'ultima delle opere citate l'attenzione si concentra infatti intorno alla domanda metafisica fondamentale che Heidegger ripropone come domanda sul niente, spostando l'accento dall'essere al nulla. Il niente è qui inteso come in-ente, come negazione dell'ente: esso è infatti connesso all'atto di trascendimento che l'uomo compie nei confronti della totalità dell'essente, di tutto ciò che è. In altre parole, la domanda metafisica chiede del niente perché pensa l'uomo come relazionato al mondo secondo una modalità che si esprime proprio come trascendimento di tutto l'essente: l'uomo, definito come esserci è colui che pone il problema dell'essere poiché è l'unico ente che, collocato in mezzo agli enti, va al di là di essi, trascendendoli. Ponendo la domanda sugli enti, in qualche modo li oltrepassa. Infatti, affinché sia possibile la riflessione, è necessaria una distanza tra chi questiona e ciò che è posto in questione. L'uomo è l'unico ente che è in grado di porre in questione l'essere, arrivando così a trascenderlo. Infatti non è costretto e immerso nella relazione-con, ma può porre la domanda sul senso dell'essere: trascendendo egli procede oltre gli enti, aprendosi al in-ente (cioè all'essere). La domanda metafisica sorge nel momento in cui ci si svincola dal legame di coinvolgimento con il mondo, quando si abbandona il commercio interessato con gli enti per chiedere dell'essere, che si scopre così sospeso sul nulla: essa sorge quando si mette in questione la totalità degli enti.
In Heidegger non vi è, nemmeno implicito, un riferimento della domanda metafisica a un atto di creazione, come avviene ad esempio in Leibniz, e manca in lui anche l'inquietudine di Schelling che si interrogava sul senso del mondo: vi è piuttosto la percezione di una finitudine radicale che spinge lo sguardo dell'uomo oltre gli enti per interrogarsi sulla loro totalità, annullando ogni fondamento e giustificazione. Non stupisce allora che il sentimento metafisico fondamentale sia per Heidegger l'angoscia che, al pari della paura, è attraversata dall'ansia, ma a differenza di questa è priva di oggetto. E' l'angoscia l'atteggiamento emotivo che dispone alla metafisica: la meraviglia aristotelcia è ormai persa nelle ombre del passato.
In un secondo momento, che coincide con l'inizio della seconda fase del suo pensiero, cui appartiene anche la "Introduzione alla metafisica (1935), accanto all'idea della metafisica come analisi dell'essere ( e quindi del in-ente), si aggiunge una notazione specificamente heideggeriana: il tema dell'oblio dell'essere qualifica la metafisica nella sua storia, interpretata come un processo di nascondimento in cui la domanda metafisica originariamente posta sull'essere è stata (inevitabilmente) oscurata.
In realtà tracce di un tale atteggiamento critico si riscontrano già nell'opposizione tra scetticismo e stoicismo, in cui il primo sosteneva contro il razionalismo dogmatico stoico l'impossibilità di accedere a qualsiasi contenuto veritativo, non solo metafisico. Sesto Empirico (II-III sec. d.C.) ad esempio condanna la metafisica salvaguardando però il sapere scientifico: in questo pensatore, manifestazione più matura dello scetticismo antico, si assiste ad una critica mossa specificamente contro i contenuti della conoscenza metafisica.
L'empirismo moderno, al pari del suo ideale predecessore, critica quello che gli pare essere lo pseudo-sapere metafisico, affidandosi alla solidità di una conoscenza del mondo che pone la sua garanzia di validità sul terreno sicuro di ciò che è empiricamente constatabile.
Bacone relega infatti la metafisica al puro ambito della conoscenza delle forme e della cause finali; Hume estende la componente scettica implicita nell'empirismo a tutto il sapere, legittimando solo le affermazioni basate sui fatti e quelle relazioni, istituite dalla matematica, che interessano le idee formali. E' invece categorica la sua nuova critica alla metafisica, in particolare ai concetti di causa e di sostanza.
Kant va oltre la posizione di Hume e offre una più complessa critica della metafisica, che tiene conto della sua genesi: alla ragione è preclusa la conoscenza metafisica e tuttavia essa vi è inevitabilmente condotta a eccedere i propri limiti teoretici, producendo idee nulle dal punto di vista conoscitivo, queste tuttavia mantengono senso e valore per la loro funzione sistematica e soprattutto per la loro portata pratica. In questo senso Kant salva la ragione dall'accusa di totale inaffidabilità, spostando sul piano morale ciò che non può esserle attribuito su quello conoscitivo. Come è noto, egli espone lo scacco in cui la ragione teoretica s'imbatte, analizzando i ragionamenti errati in cui sempre la conoscenza relativa alle tre idee razionali - anima, mondo e Dio - necessariamente ricade. Il discorso sull'anima sfocia infatti in paralogismi, in ragionamenti apparenti che nascondono un errore di fondo, che in questo caso consiste nello scambiare illegittimamente la nozione puramente logico-formale dell'io-penso, la quale soltanto può essere compresa dall'intelletto essendone il fondamento, con la concezione di un'anima come sostanza spirituale.
I ragionamenti volti alla comprensione del mondo danno invece luogo ad antinomie, ossia alla dimostrazione di una tesi e del suo contrario: nella terza antinomia si sostiene ad esempio prima la necessità del mondo, poi il suo fondamento in una causa libera. Infine le dimostrazioni dell'esistenza di Dio, tutte riconducibili alla prova ontologica, cadono nell'errore di predicare l'esistenza, categoria applicabile unicamente agli oggetti di esperienza, a un contenuto - l'essenza di Dio - che per definizione non è empirico.
La ragione non può evitare tali errori, perché essa è naturalmente portata a pensare la totalità: quella dell'anima, come totalità dei fenomeni del senso interno; del mondo, come totalità dei fenomeni del senso esterno; di Dio come totalità di tutto il possibile. L'errore della ragione, l'illusione trascendentale in cui inevitabilmente cade, consiste nel forzare il legittimo valore regolativo e ordinante di tali idee attribuendo ad esse una portata conoscitiva che non posseggono, assumendole cioè come realtà vere e proprie.
Vi è dunque in Kant, allo stesso tempo, una critica e una giustificazione della metafisica (intesa in senso nuovo), una distruzione dell'antico edificio metafisico per fondarne uno nuovo più saldo nelle sue fondamenta; e anche un recupero in sede morale dei tradizionali contenuti della metafisica.
L'Idealismo, come si è detto, accoglie e respinge la soluzione kantiana, confermando da un lato la condanna della metafisica tradizionale, che si colloca nel solco della giustapposizione fra Dio e mondo, ma rifiutando, dall'altro, il divieto di accedere alla conoscenza dell'Assoluto. La metafisica viene così riproposta secondo una nuova forma che si fonda sull'intuizione intellettuale (Fichte e Schelling) o sulla Ragione assoluta (Hegel), intese come organi conoscitivi mediante i quali è possibile collocarsi al livello della realtà assoluta.
La critica di Marx non distingue l'idealismo dalla metafisica (assumendo che esso ne sia una semplice variante). Esso piuttosto assume una valenza specifica, poiché l'accusa che le viene rivolta è quella di essere "ideologia". La fallacia dei sistemi filosofici non viene individuata in riferimento a errori di metodo o a illusioni, il punto problematico non necessita per essere colto di motivazioni esse stesse metafisiche, ma la critica si attesta ad un livello diverso: intendere la metafisica come ideologia significa indicarne la genesi nel tentativo di giustificazione e rafforzamento di condizioni sociali e materiali. Ogni ideologia è sempre mistificazione: essa nasconde un principio generativo che è compito della critica portare alla luce mediante un processo di smascheramento capace di rivelare l'inganno di fondo di ogni struttura ideologica, ovvero l suo presentarsi come sapere o sistema universalmente valido, quando è in realtà soltanto il frutto di interessi particolari. Nell'attuazione di questo processo di demistificazione vengono revocate le finalità teoriche che costituiscono il suo involucro menzognero mostrando i reali interessi pratici che sono sottesi. Marx coinvolge nella critica anche la religione, cui rivolge la medesima accusa: anch'essa sarebbe infatti espressione dell'interesse di pochi, che traggono vantaggio dalle condizioni sociali vigenti e che hanno dunque interesse a vederle riconfermate. La metafisica (la filosofia speculativa in generale) costituirebbe una presentazione più raffinata e culturalmente complessa del discorso religioso, ma nella sostanza risponderebbe al medesimo intento mistificatorio.
Con Engels la critica si intesse di argomentazioni vicine al positivismo, quale radicalizzazione estrema del veto kantiano: non solo è preclusa alla conoscenza la via teoretica nel coglimento delle idee della ragione, ma viene annullato anche il loro recupero sul lato pratico. Secondo questa corrente filosofica è infatti conoscibile solo ciò che è direttamente dedotto da fatti positivi o è ad essi riconducibile, il che significa tacciare di insensatezza ogni discorso che riguardi gli oggetti trascendenti. La metafisica non può dunque addurre alcuna pretesa di scientificità, ma al massimo richiedere uno statuto artistico, definendosi come creazione poetica o espressione religiosa. In questo senso Lange, autore di una celebre Storia del materialismo (1866), definisce le idee metafisiche come "parti poetiche della singola persona", considerandole quindi come "invenzioni poetiche" che, prive di ogni scientificità, sono però in grado con la loro forza evocativa di condizionare intere epoche, sebbene non abbiano alcun diritto a esigere quella immutabilità e giustezza di cui invece pretendono di disporre.
Comte, a sua volta, riconosce alla metafisica una determinata collocazione in quel processo di evoluzione culturale che ha condotto l'uomo a forme di conoscenza sempre più precise e scientificamente valide; in questo percorso la metafisica si situa in uno stadio intermedio, successivo alla religione, di cui rappresenta uno sviluppo, ma antecedente al momento positivo, l'unico che possa legittimamente dirsi scientifico. Anche per Comte, al pari di Marx, la metafisica si propone di rispondere alle medesime problematiche aperte dalla religione, caratterizzandosi rispetto a quest'ultima per una maggiore astrattezza argomentativa. Se infatti la prima tenta di rendere conto dell'ordinamento del mondo ricorrendo a entità personali (gli dei), la seconda sostituisce tali entità divine con strutture astratte ( i principi), senza però modificare la modalità argomentativa. Il vero progresso avviene solo nel terzo stadio, quello positivo, che riconosce come uniche cause di ciò che realmente esiste, quelle empiriche. Solo ciò che ha un positivo fondamento nell'esperienza può essere scientificamente conosciuto.
Il neopositivismo estremizza ulteriormente la critica positivistica affermando non solo che le proposizioni metafisiche eccedono nel contenuto la capacità conoscitiva dell'intelletto o che si riferiscono ad un passato stadio conoscitivo dell'umanità ( Comte) e risultano quindi ormai superate, ma anche e soprattutto che esse sono di per sé prive di senso in quanto non ricadono né nella dimensione puramente logica degli asserti autoevidenti né si presentano come enunciati verificabili empiricamente. Nella seconda fase del pensiero di Wittgenstein la durezza di questa critica verrà in parte attenuata, senza pervenire comunque ad una riabilitazione del discorso metafisico: le proposizioni metafisiche non hanno una portata conoscitiva, ma possono avere un senso nell'ambito dello specifico gioco linguistico cui appartengono. Fr. Waismamm, a sua volta, attribuisce ai pensatori metafisici un'attitudine simile a quella dei poeti, capaci di esprimere la sensibilità di un'epoca storica, senza però che le loro teorie abbiano con ciò alcuna portata conoscitiva; Carnap, in polemica con Heidegger, definisce i metafisici come "musicisti senza talento", mostrando così resistenza persino ad attribuire una giustificazione estetica alla metafisica.
Oltre che dal positivismo e dal neopositivismo una dura critica alla metafisica è mossa da Nietzsche il quale, in modo opposto a Schopenhauer, non deriva la religione dal bisogno metafisico, ma propugna la tesi contraria: la metafisica prolunga, conferma e raffina l'errore della religione. Perciò la sua critica si indirizza anzitutto a quest'ultima quale nucleo portante della metafisica stessa. L'accusa centrale che muove a entrambe non è però di tipo teorico: non si tratta di un errore speculativo, ma piuttosto di una (voluta) distorsione morale. Secondo Nietzsche, religione e metafisica sono responsabili di aver modificato la vita e i suoi valori, dando così adito e forza alla morale dei deboli che di esse si sono serviti come strumento per proteggersi di fronte alla libera forza dei signori, stabilendo regole e ordinamenti capaci di arginarla nella sua potenza dirompente.
La critica di Nietzsche alla metafisica assume quindi un valore liberatorio: non si propone di mettere in luce una fallacia razionale, ma di smascherarne il carattere mistificatorio e quindi ideologico, in quanto interesse particolare che si nasconde sotto le spoglie di ordinamenti immutabili e universali: in questo senso anche Nietzsche mira a una demistificazione della metafisica. Alla critica ideologico-mistificatoria se ne affianca in Nietzsche anche un'altra, vicina al positivismo, di carattere storico-culturale, per cui metafisica e religione vanno rifiutate in quanto retaggi deleteri di epoche trascorse, anacronismi propri di una cultura ormai appartenente al passato.
In questo contesto si colloca il tema della "morte di Dio", tema di ispirazione religiosa che già Hegel aveva affrontato nella sua radicalità: per entrambi si tratta di pensare la morte non soltanto del Figlio di Dio, ma di Dio stesso. Ma se per Hegel la morte di Dio è un momento dialettico superabile e superato, per Nietzsche rappresenta la conclusione di un processo epocale cui non è possibile sottrarsi.
Nel celebre passo della Gaia scienza, intitolato L'uomo folle (frammento 125), si intrecciano le molte anime che attraversano la riflessione nietzschiana: la critica al cristianesimo e il suo superamento, oltre ai motivi idealistici e positivistici. La follia permea a vari livelli questo frammento e ne è uno dei motivi fondamentali: anzitutto rappresenta dall'atto dell'uomo che avanza con una lanterna accesa nel giorno, un lume con cui si è messo alla ricerca di Dio. Ciò risveglia l'ironia degli uomini presenti al mercato che ormai da tempo non credono più in Dio e per i quali non può dunque che essere folle ricercare ciò che non è mai esistito. E' significativa la collocazione della scena in un mercato, simbolo della dimensione economica dominante nella società moderna, in cui non vi è posto per l'idea di Dio, capace ormai di suscitare solo il riso. Ma l'uomo afferma che Dio non c'è non perché sia scomparso, si sia nascosto o sia fuggito in volontario esilio - come ironicamente gli suggeriscono gli atei presenti - ma perché è stato ucciso e, si aggiunge, "gli uomini sono i suoi assassini". Dio è morto perché gli uomini lo hanno ucciso: questa è la folle verità dell'uomo con la lanterna.
Ma cosa significa ciò?
Nietzsche registra l'esperienza di un radicale mutamento della visione del mondo seguito all'imporsi del sistema copernicano sul modello tolemaico: la Terra, posta al centro dell'universo, conferiva anche all'uomo quella centralità che, dal piano astronomico a quello filosofico in generale, lo poneva al vertice di una gerarchia, di un cosmo ordinato di cui per secoli era considerato indiscusso sovrano. Se ora l'universo è infinito, nulla è più al suo centro, perché l'infinito ne è privo, ma neppure alla periferia del sistema solare la Terra occupa più di un ruolo privilegiato, perché è attribuita al Sole la posizione centrale. Sul piano esistenziale questo si traduce in un senso di smarrimento e angoscia perché in un cosmo infinito, separata la Terra dal suo Sole - che è qui quello astronomico, ma anche soprattutto quello metafisico, ben rappresentato ad esempio dal Dio aristotelico che con la sua presenza guidava e ordinava il tutto -,l'intero universo di senso è stato frantumato. privato di ogni indicazione di direzione e di ogni orientamento, l'uomo vaga senza meta in un infinito che non presenta più alcuna familiarità che possa esservi riconosciuta. E forse l'uomo neppure avanza, ma precipita in quella voragine in cui lui stesso si è gettato. E allora, se è tanto buio il nostro cammino, è poi tanto folle accendere le lanterne durante il giorno?
Dio è morto e si sta procedendo alla sua sepoltura. Il fatto è ancora recente, tanto che Nietzsche interpreta il suo tempo come un momento intermedio, di trapasso da una vecchia a una nuova epoca. Dio è morto e gli uomini sono oppressi dalla colpa. Tanto grave è il misfatto che non può essere sopportato se non assegnando a sé gli stessi attributi divini, divinizzando l'uomo stesso. L'allusione è qui alla filosofia di Feuerbach che reagisce alla morte di Dio facendo dell'uomo il "nuovo Dio". Si tratta di un atto epocale, cui è destinato a seguire un fondamentale rivolgimento storico: l'assassinio è avvenuto, gli uomini hanno ucciso Dio, ma la consapevolezza di ciò non è ancora giunta a chi pure ha compiuto il delitto.
I grandi mutamenti storici necessitano di tempo prima di venire riconosciuti in tutta la loro portata, prima che venga acquisita la consapevolezza della sua realtà e delle sue conseguenze: "Vengo troppo presto", dice l'uomo folle.
Nietzsche ha intuito la tendenza, secondo lui inarrestabile, verso la negazione di Dio, ha visto come i germi di tutto ciò fossero già presenti nella cultura moderna, ma ha anche inteso come fosse necessario ancora tempo perché, cresciuti, potessero essere tutti riconosciuti. L'uomo folle getta la lanterna: non è ancora il tempo perché venga accesa. Il grottesco finale è la rappresentazione simbolica del certificato di morte del cristianesimo, giunto così alla sua conclusione storica: le chiese altro non sono infatti che i sepolcri del Dio che è morto.
Sullo sfondo di questa visione storico-epocale si intuisce all'orizzonte la presenza dell'oltreuomo, posto accanto all'uomo nuovo marxista e rivoluzionario.
Con il crollo delle potenze superiori è venuto meno anche ciò che garantiva ordine e stabilità; tocca a questo punto all'uomo, a lui soltanto, incaricarsi del proprio destino, ora che tutte le "balie" - metafisiche, morali, religiose - che lo hanno cresciuto sono state licenziate: tocca ora a lui dire sì alla vita.
Quella di Nietzsche non è dunque una critica razionale alla metafisica i alla sua razionalità, ma egli mette in dubbio che vi sia per essa ancora spazio nel mondo contemporaneo: la metafisica è ormai tramontata e non ha pertanto più senso alcuna valutazione delle singole proposte metafisiche passate e neppure il cambiare statuto al discorso metafisico portandolo dal piano teoretico a quello morale (Kant): Dio è morto e con lui l'intero orizzonte religioso, metafisico e morale che in esso trovava il suo sostegno.
Accanto a Marx, che ha criticato religione e metafisica a partire da argomenti economico-sociali, e a Nietzsche, che ha orientato la sua critica in base a matrici storico - culturali approdando alla volontà di potenza, si è soliti indicare anche un altro pensatore, che ha sottoposto a una simile analisi demistificatoria la struttura del soggetto: Freud. Questi non tratta direttamente di metafisica, ma in generale riconduce le credenze umane a motivi di ordine materiale, a pulsioni psichiche inconsce, che regolano e determinano, pur rimanendo implicite, la profondità ultima del nostro pensare e agire.
Occorre poi ricordare Dilthey che, pur negando alla metafisica la validità scientifica, riconosce che essa risponde a un'invincibile tendenza umana a creare immagini e sistemi con cui ordinare il mondo. Le peculiarità che differenziano ciascuna proposta metafisica vanno spiegate sulla base di un esame che tenga conto degli specifici ordini storici ed empirici in cui esse sono emerse: è dunque necessario, a fianco di un'analisi storica, anche un approfondimento psicologico della vita interiore dell'uomo.
Nietzsche e Dilthey influenzano significativamente il pensiero di Heidegger che nella sua riflessione sulla metafisica attraversa fasi diverse. In un primo momento, che si concretizza in opere di importanza decisiva, quali Essere e tempo (1927), Kant e il problema della metafisica e Che cos'è la metafisica (1929), manca una vera e propria critica.
Nell'ultima delle opere citate l'attenzione si concentra infatti intorno alla domanda metafisica fondamentale che Heidegger ripropone come domanda sul niente, spostando l'accento dall'essere al nulla. Il niente è qui inteso come in-ente, come negazione dell'ente: esso è infatti connesso all'atto di trascendimento che l'uomo compie nei confronti della totalità dell'essente, di tutto ciò che è. In altre parole, la domanda metafisica chiede del niente perché pensa l'uomo come relazionato al mondo secondo una modalità che si esprime proprio come trascendimento di tutto l'essente: l'uomo, definito come esserci è colui che pone il problema dell'essere poiché è l'unico ente che, collocato in mezzo agli enti, va al di là di essi, trascendendoli. Ponendo la domanda sugli enti, in qualche modo li oltrepassa. Infatti, affinché sia possibile la riflessione, è necessaria una distanza tra chi questiona e ciò che è posto in questione. L'uomo è l'unico ente che è in grado di porre in questione l'essere, arrivando così a trascenderlo. Infatti non è costretto e immerso nella relazione-con, ma può porre la domanda sul senso dell'essere: trascendendo egli procede oltre gli enti, aprendosi al in-ente (cioè all'essere). La domanda metafisica sorge nel momento in cui ci si svincola dal legame di coinvolgimento con il mondo, quando si abbandona il commercio interessato con gli enti per chiedere dell'essere, che si scopre così sospeso sul nulla: essa sorge quando si mette in questione la totalità degli enti.
In Heidegger non vi è, nemmeno implicito, un riferimento della domanda metafisica a un atto di creazione, come avviene ad esempio in Leibniz, e manca in lui anche l'inquietudine di Schelling che si interrogava sul senso del mondo: vi è piuttosto la percezione di una finitudine radicale che spinge lo sguardo dell'uomo oltre gli enti per interrogarsi sulla loro totalità, annullando ogni fondamento e giustificazione. Non stupisce allora che il sentimento metafisico fondamentale sia per Heidegger l'angoscia che, al pari della paura, è attraversata dall'ansia, ma a differenza di questa è priva di oggetto. E' l'angoscia l'atteggiamento emotivo che dispone alla metafisica: la meraviglia aristotelcia è ormai persa nelle ombre del passato.
In un secondo momento, che coincide con l'inizio della seconda fase del suo pensiero, cui appartiene anche la "Introduzione alla metafisica (1935), accanto all'idea della metafisica come analisi dell'essere ( e quindi del in-ente), si aggiunge una notazione specificamente heideggeriana: il tema dell'oblio dell'essere qualifica la metafisica nella sua storia, interpretata come un processo di nascondimento in cui la domanda metafisica originariamente posta sull'essere è stata (inevitabilmente) oscurata.