La magia in campo letterario
Possiamo addurre esempi anche in campo letterario: pensiamo al celeberrimo poema dell'Ariosto, l'Orlando furioso: per tutto il poema aleggia un clima magico e il personaggio in cui meglio si può ravvisare la presenza del magico é Astolfo, l'alter ego dell' autore, l'intrepido cavaliere munito di un corno capace di atterrire i nemici col suo suono assordante, colui che sale sulla luna in groppa all'ippogrifo per recuperare la ragion perduta di Orlando. Ma va subito specificato un particolare: Astolfo, pur avvalendosi quasi esclusivamente di oggetti magici, muove sempre e solo verso fini razionali. Anche nel poema del Tasso, La Gerusalemme liberata, vi é in qualche misura presente la magia, sebbene in modo meno radicale e diffuso che nell'Ariosto: il valoroso Rinaldo viene incaricato, sul finale dell'opera, dal "pio" Goffredo di "disincantare" il bosco popolato da elfi, nani, fate e quant'altro.
Tuttavia é sulla Tempesta di Shakespeare che dobbiamo soffermare la nostra attenzione: considerata il momento conclusivo, il punto d'arrivo ed in un certo senso il sigillo della creazione artistica del poeta, la Tempesta, opera a cavallo tra il '500 e il '600, ripropone la questione del magico. Nel bel mezzo dell'Oceano, su un'isola sperduta, dimorano Prospero e sua figlia Miranda, allontanati dal ducato di Milano per mano del fratello di Prospero, invidioso del potere concentrato nelle mani di Prospero stesso. Prospero, che é l'alter ego dell'autore alla pari di Astolfo per l'Ariosto, si destreggia con estrema abilità tra gli oggetti magici e ha perfino come alleato un piccolo spiritello dell'aria, Ariele: servendosi del proprio mantello magico egli fa naufragare sull'isola stessa in cui dimora la nave con a bordo il perfido fratello, il suo equipaggio e l'alleato re di Napoli per poi potersi riconciliare con lui; sempre con i suoi poteri magici egli fa in modo che il bel Ferdinando, figlio del re di Napoli, e sua figlia Miranda si innamorino e si sposino. L'Astolfo ariostesco e il Prospero shakespeariano, oltre al fatto di essere alter ego degli autori, presentano evidenti analogie: entrambi sono personaggi fittizi che danno spazio alla fervida fantasia dei poeti ed entrambi si servono delle arti magiche esclusivamente per muovere verso fini razionali. Tuttavia tra i due intercorre un'enorme differenza, talmente grande che ha portato alcuni a definire la Tempesta come vero e proprio testamento letterario di Shakespeare: mentre Astolfo tra gli strumenti magici si trova perfettamente a proprio agio, tanto da sembrare nato apposta per loro, e non si sognerebbe mai di separarsene, Prospero, al contrario, sul finire dell'opera rinnega la magia, una scienza che egli non esita a definire "rozza", preferendo avvalersi delle sue forze, "poche", come egli afferma, piuttosto che degli incantesimi e dei libri magici con i quali chiunque può dominare sugli altri e che, soprattutto, se mal usati possono rivelarsi funesti. Ed é proprio il netto rifiuto della magia che fa della Tempesta il vero testamento spirituale di Shakespeare e che lo inquadra pienamente nel clima culturale che si stava respirando nell'Europa e, soprattutto, nell'Inghilterra di inizio '600. Infatti il XVII secolo segna il prevalere della matematica e la riscoperta della ragione, caduta un po’ nell'oblio nel medioevo quando aveva ceduto il passo alla mistica e alla fede. Certo nel 1600, così come con qualsiasi altra scoperta, si finì per entusiasmarsi eccessivamente e in modo un po’ ingenuo per la ragione, tanto da proclamarla onnipotente, senza sottoporla ad un più critico esame senza porsi l'interrogativo "quanto può la mia ragione?". E' evidente che, paradossalmente, questo acceso entusiasmo acritico per la ragione finisce per diventare irrazionale proprio perché non ci si chiede neanche se essa abbia o meno dei limiti.
Tuttavia é sulla Tempesta di Shakespeare che dobbiamo soffermare la nostra attenzione: considerata il momento conclusivo, il punto d'arrivo ed in un certo senso il sigillo della creazione artistica del poeta, la Tempesta, opera a cavallo tra il '500 e il '600, ripropone la questione del magico. Nel bel mezzo dell'Oceano, su un'isola sperduta, dimorano Prospero e sua figlia Miranda, allontanati dal ducato di Milano per mano del fratello di Prospero, invidioso del potere concentrato nelle mani di Prospero stesso. Prospero, che é l'alter ego dell'autore alla pari di Astolfo per l'Ariosto, si destreggia con estrema abilità tra gli oggetti magici e ha perfino come alleato un piccolo spiritello dell'aria, Ariele: servendosi del proprio mantello magico egli fa naufragare sull'isola stessa in cui dimora la nave con a bordo il perfido fratello, il suo equipaggio e l'alleato re di Napoli per poi potersi riconciliare con lui; sempre con i suoi poteri magici egli fa in modo che il bel Ferdinando, figlio del re di Napoli, e sua figlia Miranda si innamorino e si sposino. L'Astolfo ariostesco e il Prospero shakespeariano, oltre al fatto di essere alter ego degli autori, presentano evidenti analogie: entrambi sono personaggi fittizi che danno spazio alla fervida fantasia dei poeti ed entrambi si servono delle arti magiche esclusivamente per muovere verso fini razionali. Tuttavia tra i due intercorre un'enorme differenza, talmente grande che ha portato alcuni a definire la Tempesta come vero e proprio testamento letterario di Shakespeare: mentre Astolfo tra gli strumenti magici si trova perfettamente a proprio agio, tanto da sembrare nato apposta per loro, e non si sognerebbe mai di separarsene, Prospero, al contrario, sul finire dell'opera rinnega la magia, una scienza che egli non esita a definire "rozza", preferendo avvalersi delle sue forze, "poche", come egli afferma, piuttosto che degli incantesimi e dei libri magici con i quali chiunque può dominare sugli altri e che, soprattutto, se mal usati possono rivelarsi funesti. Ed é proprio il netto rifiuto della magia che fa della Tempesta il vero testamento spirituale di Shakespeare e che lo inquadra pienamente nel clima culturale che si stava respirando nell'Europa e, soprattutto, nell'Inghilterra di inizio '600. Infatti il XVII secolo segna il prevalere della matematica e la riscoperta della ragione, caduta un po’ nell'oblio nel medioevo quando aveva ceduto il passo alla mistica e alla fede. Certo nel 1600, così come con qualsiasi altra scoperta, si finì per entusiasmarsi eccessivamente e in modo un po’ ingenuo per la ragione, tanto da proclamarla onnipotente, senza sottoporla ad un più critico esame senza porsi l'interrogativo "quanto può la mia ragione?". E' evidente che, paradossalmente, questo acceso entusiasmo acritico per la ragione finisce per diventare irrazionale proprio perché non ci si chiede neanche se essa abbia o meno dei limiti.