La magia in Giovambattista Della Porta e Campanella
La magia nel Rinascimento fu spesso considerata come il compimento della filosofia naturale cioè come quella parte di essa che consente all'uomo di agire sulla natura e di dominarla.
Così, per esempio, la considerava Pico Della Mirandola e così la consideravano tutti i naturalisti del Rinascimento.
Johannes Reuchlin, Cornelio Agrippa, Teofrasto Paracelso, Gerolamo Fracastoro, Gerolamo Cardano, Giovambattista Della Porta mirano tutti ugualmente a togliere alla magia il carattere diabolico che le era stato attribuito nel Medioevo e a farne parte pratica della filosofia.
Della Porta distinse nettamente dalla magia diabolica, che si avvale delle azioni degli spiriti immondi, la magia naturale che non oltrepassa i limiti delle cause naturali e le cui operazioni appaiono meravigliose solo perché ne rimane nascosto il procedimento.
Questa distinzione veniva ripetuta da Campanella; che distingueva, inoltre, anche una magia divina che opera in virtù della grazia divina, come quella di Mosé e degli altri profeti.
L’interesse per le dottrine occulte rappresenta una costante nella vita e nel pensiero di Campanella. La sua infanzia stessa è segnata da episodi sconcertanti. Da bambino era stato risanato dal mal di milza grazie alle cerimonie di una guaritrice in una notte di luna nuova e più volte ricorda le mirabili visioni di sua sorella Emilia, che cadeva ‘smorta’ in occasione di particolari aspetti celesti e ‘profetava con certezza di ogni evento’ (Del senso delle cose e della magia, a cura di G. Ernst, Roma-Bari, 2007, pp. 215, 150). A venti anni, arrivato a Napoli dalla nativa Calabria, aveva frequentato il vivace circolo intellettuale di Giambattista Della Porta, il più famoso esponente della magia naturale del tempo. Nel corso del breve soggiorno giovanile a Padova (1593-94) aveva assistito a pratiche di esorcismi, e il diavolo, incluso nel corpo di una donna, aveva indovinato il nome di sua madre, morta a Stilo venti anni prima. Quando nel 1626 si stabilirà a Roma, dopo 27 anni di carcerazione nei castelli napoletani, verrà da subito coinvolto nel clamoroso episodio relativo alle infauste previsioni degli astrologi di una morte imminente di Urbano VIII. Egli riuscirà a placarne le ansie con il ricorso a segrete pratiche di magia astrale, ma susciterà la più profonda irritazione del pontefice, timoroso di venire compromesso in accuse di superstizione, quando viene dato alle stampe l’opuscolo De siderali fato vitando, che in una pagina descrive proprio le pratiche operate nei palazzi papali (T. Campanella, Opuscoli astrologici, a cura di G. Ernst, Milano, 2003). Campanella mostra un vivo interesse per dottrine divinatorie quali la fisiognomica, la grafologia e la chiromanzia, e negli ultimi anni parigini compila un trattatello su quest’ultima, dedicandolo al cardinale Richelieu, che glielo aveva ‘ardentemente richiesto’ (cfr. T. Campanella, Dalla Metaphysica. Profezia, divinazione, estasi, a cura di G. Ernst, Soveria Mannelli, 2008). In occasione della durissima bolla papale Inscrutabilis (1631), che metteva al bando ogni genere di divinazione, si affretta a scrivere una Disputatio in cui cerca di salvare il salvabile, distinguendo tra dottrine lecite, basate su segni naturali, e quelle superstiziose, frutto di una vana curiosità e per questo suscettibili di interventi demonici, ma il tentativo sarà vano.
Il senso delle cose, lo spiritus e l’autoconservazione
Dopo una redazione giovanile in latino andata perduta, nei primi anni di prigionia Campanella ricompone in italiano il Del senso delle cose e della magia (1604), in cui delinea la propria visione del mondo naturale considerato come una mirabile statua, ogni parte della quale, anche minima, partecipa di vita e sensibilità. La nozione centrale del testo è quella di sensus, ed essa risulta strettamente connessa con il principio dell’autoconservazione. Ogni essere tende a conservare la propria vita e a questo fine risulta dotato, secondo proporzioni e modalità diversificate, della capacità di riconoscere le cose che giovano alla propria vita da quelle che nuocciono, in modo da poter perseguire le prime e fuggire le seconde. Alcuni enti, come i corpi celesti e la luce, possiedono un senso molto acuto e puro; altri, come i minerali e i metalli, hanno un senso più ottuso e oscuro, a causa dell’opacità della materia. Negli organismi animali, più complessi, oltre al senso, è presente anche lo spiritus, che è il soffio caldo costituito dall’estremo grado di rarefazione della materia a opera dell’azione del calore solare sulla mole terrestre. Trasparente, tenue, mobile, passibile, lo spiritus si identifica con l’anima organica di ogni animale (e solo nell’uomo esso si trova congiunto con una mens immateriale di origine divina), capace di adempiere a ogni funzione vitale e conoscitiva. Rinchiuso dentro la materia, e non potendo esalare, come vorrebbe, per tornare verso il cielo, sua origine, la organizza e la plasma dall’interno nei modi più convenienti ai propri bisogni, costituendo gli organi corporei che si configurano come gli strumenti atti a garantirne la conservazione e la vita.
La magia naturale
Il quarto libro del Senso delle cose è dedicato alla magia naturale. Campanella esordisce deplorando la condizione di decadenza di questa nobilissima dottrina, i cui cultori, anziché dedicarsi allo studio, laborioso e impegnativo, degli aspetti più nascosti della natura, preferiscono la via breve del ricorso all’opera ingannevole dei demoni. Egli apprezza il tentativo di Giambattista della Porta di restituirle l’antica dignità, ma ritiene che i suoi pur lodevoli propositi risultino insufficienti, in quanto, nel descrivere e constatare le più curiose proprietà occulte di minerali, piante e animali, egli asseriva che non è possibile offrire una spiegazione razionale dei rapporti di simpatia e antipatia fra gli enti naturali, e si limitava a compiacersi o a stupirsi del mirabile spettacolo della natura. Campanella, invece, si sforza di rileggere e reinterpretare l’esuberante tradizione della magia naturale alla luce dei principi dello spirito e del senso delle cose. Dottrina al tempo stesso speculativa e pratica, che applica le proprie conoscenze per produrre opere utili al genere umano, la magia si distingue in divina, naturale, ingannevole e diabolica. Campanella intende concentrare la propria attenzione su quella naturale, che, da un lato, risulta connessa con le arti e le scienze: qualsiasi invenzione mirabile sembra, agli inizi, e soprattutto al volgo, un’opera magica, fino a quando non se ne individuano le cause; ma, dall’altro, essa mantiene un proprio ambito peculiare di conoscenza più segreta, volta a spiegare eventi inconsueti. Il mago è il sapiente che, conoscendo la specifica qualità del senso che inerisce a ogni ente, è capace di agire sia sullo spirito mobile e tenue, sia sulle passioni fondamentali, che sono quelle del dolore e della gioia, dell’amore e dell’odio, della speranza e del timore; egli saprà come incrementare i valori vitali, suggerendo cibi, bevande, climi, suoni, rimedi di erbe e di animali che li potenziano, e sconsigliando tutto quanto ha a che fare con la putrefazione e la morte. Ed è sempre grazie alle nozioni di sensus e spiritus, alla loro azione e al loro permanere negli organismi, che è possibile spiegare fenomeni a prima vista sconcertanti, come il sanguinamento del cadavere di chi è morto di morte violenta alla presenza del suo assassino; o il rimedio del cosiddetto ‘unguento armario’, grazie al quale si riteneva possibile guarire a distanza una ferita, ungendo l’arma che l’aveva prodotta; o le alterazioni subite da chi viene morso dai cani affetti dalla rabbia o dai contadini pugliesi vittime delle tarantole, costretti a danzare freneticamente nel tentativo di espellere, con il sudore, l’acre spirito dell’animale che, introducendosi nel loro organismo, ne produce un’autentica metamorfosi (Senso delle cose, pp. 184, 188, 189 sgg.).
Fonte: Dizionario di filosofia. Storia della filosofia di Nicola Abbagnano
Così, per esempio, la considerava Pico Della Mirandola e così la consideravano tutti i naturalisti del Rinascimento.
Johannes Reuchlin, Cornelio Agrippa, Teofrasto Paracelso, Gerolamo Fracastoro, Gerolamo Cardano, Giovambattista Della Porta mirano tutti ugualmente a togliere alla magia il carattere diabolico che le era stato attribuito nel Medioevo e a farne parte pratica della filosofia.
Della Porta distinse nettamente dalla magia diabolica, che si avvale delle azioni degli spiriti immondi, la magia naturale che non oltrepassa i limiti delle cause naturali e le cui operazioni appaiono meravigliose solo perché ne rimane nascosto il procedimento.
Questa distinzione veniva ripetuta da Campanella; che distingueva, inoltre, anche una magia divina che opera in virtù della grazia divina, come quella di Mosé e degli altri profeti.
L’interesse per le dottrine occulte rappresenta una costante nella vita e nel pensiero di Campanella. La sua infanzia stessa è segnata da episodi sconcertanti. Da bambino era stato risanato dal mal di milza grazie alle cerimonie di una guaritrice in una notte di luna nuova e più volte ricorda le mirabili visioni di sua sorella Emilia, che cadeva ‘smorta’ in occasione di particolari aspetti celesti e ‘profetava con certezza di ogni evento’ (Del senso delle cose e della magia, a cura di G. Ernst, Roma-Bari, 2007, pp. 215, 150). A venti anni, arrivato a Napoli dalla nativa Calabria, aveva frequentato il vivace circolo intellettuale di Giambattista Della Porta, il più famoso esponente della magia naturale del tempo. Nel corso del breve soggiorno giovanile a Padova (1593-94) aveva assistito a pratiche di esorcismi, e il diavolo, incluso nel corpo di una donna, aveva indovinato il nome di sua madre, morta a Stilo venti anni prima. Quando nel 1626 si stabilirà a Roma, dopo 27 anni di carcerazione nei castelli napoletani, verrà da subito coinvolto nel clamoroso episodio relativo alle infauste previsioni degli astrologi di una morte imminente di Urbano VIII. Egli riuscirà a placarne le ansie con il ricorso a segrete pratiche di magia astrale, ma susciterà la più profonda irritazione del pontefice, timoroso di venire compromesso in accuse di superstizione, quando viene dato alle stampe l’opuscolo De siderali fato vitando, che in una pagina descrive proprio le pratiche operate nei palazzi papali (T. Campanella, Opuscoli astrologici, a cura di G. Ernst, Milano, 2003). Campanella mostra un vivo interesse per dottrine divinatorie quali la fisiognomica, la grafologia e la chiromanzia, e negli ultimi anni parigini compila un trattatello su quest’ultima, dedicandolo al cardinale Richelieu, che glielo aveva ‘ardentemente richiesto’ (cfr. T. Campanella, Dalla Metaphysica. Profezia, divinazione, estasi, a cura di G. Ernst, Soveria Mannelli, 2008). In occasione della durissima bolla papale Inscrutabilis (1631), che metteva al bando ogni genere di divinazione, si affretta a scrivere una Disputatio in cui cerca di salvare il salvabile, distinguendo tra dottrine lecite, basate su segni naturali, e quelle superstiziose, frutto di una vana curiosità e per questo suscettibili di interventi demonici, ma il tentativo sarà vano.
Il senso delle cose, lo spiritus e l’autoconservazione
Dopo una redazione giovanile in latino andata perduta, nei primi anni di prigionia Campanella ricompone in italiano il Del senso delle cose e della magia (1604), in cui delinea la propria visione del mondo naturale considerato come una mirabile statua, ogni parte della quale, anche minima, partecipa di vita e sensibilità. La nozione centrale del testo è quella di sensus, ed essa risulta strettamente connessa con il principio dell’autoconservazione. Ogni essere tende a conservare la propria vita e a questo fine risulta dotato, secondo proporzioni e modalità diversificate, della capacità di riconoscere le cose che giovano alla propria vita da quelle che nuocciono, in modo da poter perseguire le prime e fuggire le seconde. Alcuni enti, come i corpi celesti e la luce, possiedono un senso molto acuto e puro; altri, come i minerali e i metalli, hanno un senso più ottuso e oscuro, a causa dell’opacità della materia. Negli organismi animali, più complessi, oltre al senso, è presente anche lo spiritus, che è il soffio caldo costituito dall’estremo grado di rarefazione della materia a opera dell’azione del calore solare sulla mole terrestre. Trasparente, tenue, mobile, passibile, lo spiritus si identifica con l’anima organica di ogni animale (e solo nell’uomo esso si trova congiunto con una mens immateriale di origine divina), capace di adempiere a ogni funzione vitale e conoscitiva. Rinchiuso dentro la materia, e non potendo esalare, come vorrebbe, per tornare verso il cielo, sua origine, la organizza e la plasma dall’interno nei modi più convenienti ai propri bisogni, costituendo gli organi corporei che si configurano come gli strumenti atti a garantirne la conservazione e la vita.
La magia naturale
Il quarto libro del Senso delle cose è dedicato alla magia naturale. Campanella esordisce deplorando la condizione di decadenza di questa nobilissima dottrina, i cui cultori, anziché dedicarsi allo studio, laborioso e impegnativo, degli aspetti più nascosti della natura, preferiscono la via breve del ricorso all’opera ingannevole dei demoni. Egli apprezza il tentativo di Giambattista della Porta di restituirle l’antica dignità, ma ritiene che i suoi pur lodevoli propositi risultino insufficienti, in quanto, nel descrivere e constatare le più curiose proprietà occulte di minerali, piante e animali, egli asseriva che non è possibile offrire una spiegazione razionale dei rapporti di simpatia e antipatia fra gli enti naturali, e si limitava a compiacersi o a stupirsi del mirabile spettacolo della natura. Campanella, invece, si sforza di rileggere e reinterpretare l’esuberante tradizione della magia naturale alla luce dei principi dello spirito e del senso delle cose. Dottrina al tempo stesso speculativa e pratica, che applica le proprie conoscenze per produrre opere utili al genere umano, la magia si distingue in divina, naturale, ingannevole e diabolica. Campanella intende concentrare la propria attenzione su quella naturale, che, da un lato, risulta connessa con le arti e le scienze: qualsiasi invenzione mirabile sembra, agli inizi, e soprattutto al volgo, un’opera magica, fino a quando non se ne individuano le cause; ma, dall’altro, essa mantiene un proprio ambito peculiare di conoscenza più segreta, volta a spiegare eventi inconsueti. Il mago è il sapiente che, conoscendo la specifica qualità del senso che inerisce a ogni ente, è capace di agire sia sullo spirito mobile e tenue, sia sulle passioni fondamentali, che sono quelle del dolore e della gioia, dell’amore e dell’odio, della speranza e del timore; egli saprà come incrementare i valori vitali, suggerendo cibi, bevande, climi, suoni, rimedi di erbe e di animali che li potenziano, e sconsigliando tutto quanto ha a che fare con la putrefazione e la morte. Ed è sempre grazie alle nozioni di sensus e spiritus, alla loro azione e al loro permanere negli organismi, che è possibile spiegare fenomeni a prima vista sconcertanti, come il sanguinamento del cadavere di chi è morto di morte violenta alla presenza del suo assassino; o il rimedio del cosiddetto ‘unguento armario’, grazie al quale si riteneva possibile guarire a distanza una ferita, ungendo l’arma che l’aveva prodotta; o le alterazioni subite da chi viene morso dai cani affetti dalla rabbia o dai contadini pugliesi vittime delle tarantole, costretti a danzare freneticamente nel tentativo di espellere, con il sudore, l’acre spirito dell’animale che, introducendosi nel loro organismo, ne produce un’autentica metamorfosi (Senso delle cose, pp. 184, 188, 189 sgg.).
Fonte: Dizionario di filosofia. Storia della filosofia di Nicola Abbagnano