La musicoterapia di Pitagora da "La vita pitagorica" di Giamblico
XXXV - In quale modo per mezzo della musica e di melodie egli [ Pitagora ] educava gli uomini in momenti determinanti e quando procuravano loro particolare affanno le affezioni dell'animo; quali purificazioni dei mali dell'animo e del corpo procurava tramite la musica e in qual modo le praticava.
*XXV (110). Egli [ Pitagora ] era dell'opinione che anche la musica fornisse un notevole contributo alla salute, qualora a essa ci si dedicasse nel modo confacente. In effetti la considerava un mezzo tutt'altro che secondario di procurare la "catarsi" . Era questo il nome che dava alla cura operata per il tramite della musica. A primavera eseguiva questo esercizio musicale: faceva sedere in mezzo un liricine, mentre tutt'intorno sedevano i cantori e così, al suono della lira, cantavano insieme dei peani che ritenevano procurassero loro gioia,armonia e ordine interiore. Ma anche in altri periodi dell'anno i pitagorici si servivano della musica come mezzo di cura.(111). C'erano determinate melodie, composte per le passioni dell'anima - gli stati scoraggiamento e di depressione - che pensavano fossero di grandissimo giovamento. Altre erano per l'ira e l'eccitazione e ogni altra consimile perturbazione dell'animo. Inoltre esisteva una musica di genere differente, escogitata al fine di contrastare il desiderio. I pitagorici usavano anche danzare, e lo strumento di cui si servivano a questo fine era la lira, perché il suono del flauto lo consideravano violento, adatto alle feste popolari e del tutto indegno di uomini di condizione libera. Per favorire l'emendazione dell'animo usavano inoltre recitare versi scelti di Omero e di Esiodo.
XXVI - In che modo e secondo quale metodo Pitagora scoprì le armonie musicali e i rapporti armonici e ne trasmise ai discepoli l'intera scienza.Una volta, mentre era teso nello sforzo di rilettere e calcolare se gli fosse possibile escogitare uno strumento che offrisse all'udito un sicuro e infallibile aiuto, quale davano alla vista il compasso, il regolo o la diottra, ovvero la bilancia e l'invenzione delle misure al tatto, passò davanti all'officina di un fabbro e, per sorte in certo senso divina, ebbe a udire dei martelli che battevano il ferro sull'incudine e davano suoni tutti in perfetto accordo armonico reciproco, tranne una coppia.In quei suoni Pitagora riconosceva gli accordi di ottava, di quinta e di quarta, e notava che l'intervallo tra quarta e quinta era in se stesso dissonante, ma idoneo a colmare la differenza tra l'una e l'altra.( 116 ) Lieto che con l'aiuto divino il suo intento venisse a realizzarsi, entrò nell'officina e grazie a svariate prove capì che la differenza nell'altezza dei suoni dipendeva dal peso dei martelli e non dalla forza con cui si batteva, né dalla forma dei martelli medesimi, né dalla posizione del ferro battuto. Poi, dopo aver fissato con la massima precisione il peso dei martelli se ne tornò a casa. Qui fissò all'angolo di due pareti un unico piolo - questo perché non fosse il piolo a causare il manifestarsi di qualche differenza né si poetesse sospettare che un eventuale errore dipendesse dall'esistenza di pioli distinti -; al piolo legò una dopo l'altra quattro corde di uguale spessore e tensione, fatte della stessa materia e dello stesso numero di fili, e all'estremità inferiore di esse attaccò un peso, badando a che le corde fossero di lunghezza perfettamente uguale.( 117 ) Quindi, pizzicando le corde a due a due alternatamente trovava gli accordi già menzionati, uno per coppia di corde. [...] Secondo la tradizione Pitagora scoprì in questo modo la musica e dopo averla organizzata in un sistema la trasmise ai discepoli perché fosse loro d'ausilio a raggiungere ogni nobile scopo. ( 121 )
[...] valendosi di un divino potere, ineffabile e arduo a concepirsi, (Pitagora) sapeva tendere l'orecchio e fissare la mente alla sublime musica celeste. Ed era l'unico, come spiegava, in grado di udire e intendere l'armonia universale e la musica consonante delle sfere e degli astri che entro queste si muovevano. Questa armonia rende unamusica più pura e più piena di quella umana, grazie al movimento dei corpi celesti, il quale è caratterizzato da suprema melodiosità ed eccezionale, multiforme bellezza. Queste ultime sono il prodotto dei suoni celesti, i quali traggono sì origine dalle ineguali e in vario modo tra loro differenti velocità, grandezza e posizione dei corpi, ma sono nondimeno collocati in reciproca relazione nel modo più armonico.
*Questo racconta in greco, tra il III e IV secolo, Giamblico di Calcide ne La vita pitagorica, XXVI, 115-121, BUR, pagg. 261-269
*XXV (110). Egli [ Pitagora ] era dell'opinione che anche la musica fornisse un notevole contributo alla salute, qualora a essa ci si dedicasse nel modo confacente. In effetti la considerava un mezzo tutt'altro che secondario di procurare la "catarsi" . Era questo il nome che dava alla cura operata per il tramite della musica. A primavera eseguiva questo esercizio musicale: faceva sedere in mezzo un liricine, mentre tutt'intorno sedevano i cantori e così, al suono della lira, cantavano insieme dei peani che ritenevano procurassero loro gioia,armonia e ordine interiore. Ma anche in altri periodi dell'anno i pitagorici si servivano della musica come mezzo di cura.(111). C'erano determinate melodie, composte per le passioni dell'anima - gli stati scoraggiamento e di depressione - che pensavano fossero di grandissimo giovamento. Altre erano per l'ira e l'eccitazione e ogni altra consimile perturbazione dell'animo. Inoltre esisteva una musica di genere differente, escogitata al fine di contrastare il desiderio. I pitagorici usavano anche danzare, e lo strumento di cui si servivano a questo fine era la lira, perché il suono del flauto lo consideravano violento, adatto alle feste popolari e del tutto indegno di uomini di condizione libera. Per favorire l'emendazione dell'animo usavano inoltre recitare versi scelti di Omero e di Esiodo.
XXVI - In che modo e secondo quale metodo Pitagora scoprì le armonie musicali e i rapporti armonici e ne trasmise ai discepoli l'intera scienza.Una volta, mentre era teso nello sforzo di rilettere e calcolare se gli fosse possibile escogitare uno strumento che offrisse all'udito un sicuro e infallibile aiuto, quale davano alla vista il compasso, il regolo o la diottra, ovvero la bilancia e l'invenzione delle misure al tatto, passò davanti all'officina di un fabbro e, per sorte in certo senso divina, ebbe a udire dei martelli che battevano il ferro sull'incudine e davano suoni tutti in perfetto accordo armonico reciproco, tranne una coppia.In quei suoni Pitagora riconosceva gli accordi di ottava, di quinta e di quarta, e notava che l'intervallo tra quarta e quinta era in se stesso dissonante, ma idoneo a colmare la differenza tra l'una e l'altra.( 116 ) Lieto che con l'aiuto divino il suo intento venisse a realizzarsi, entrò nell'officina e grazie a svariate prove capì che la differenza nell'altezza dei suoni dipendeva dal peso dei martelli e non dalla forza con cui si batteva, né dalla forma dei martelli medesimi, né dalla posizione del ferro battuto. Poi, dopo aver fissato con la massima precisione il peso dei martelli se ne tornò a casa. Qui fissò all'angolo di due pareti un unico piolo - questo perché non fosse il piolo a causare il manifestarsi di qualche differenza né si poetesse sospettare che un eventuale errore dipendesse dall'esistenza di pioli distinti -; al piolo legò una dopo l'altra quattro corde di uguale spessore e tensione, fatte della stessa materia e dello stesso numero di fili, e all'estremità inferiore di esse attaccò un peso, badando a che le corde fossero di lunghezza perfettamente uguale.( 117 ) Quindi, pizzicando le corde a due a due alternatamente trovava gli accordi già menzionati, uno per coppia di corde. [...] Secondo la tradizione Pitagora scoprì in questo modo la musica e dopo averla organizzata in un sistema la trasmise ai discepoli perché fosse loro d'ausilio a raggiungere ogni nobile scopo. ( 121 )
[...] valendosi di un divino potere, ineffabile e arduo a concepirsi, (Pitagora) sapeva tendere l'orecchio e fissare la mente alla sublime musica celeste. Ed era l'unico, come spiegava, in grado di udire e intendere l'armonia universale e la musica consonante delle sfere e degli astri che entro queste si muovevano. Questa armonia rende unamusica più pura e più piena di quella umana, grazie al movimento dei corpi celesti, il quale è caratterizzato da suprema melodiosità ed eccezionale, multiforme bellezza. Queste ultime sono il prodotto dei suoni celesti, i quali traggono sì origine dalle ineguali e in vario modo tra loro differenti velocità, grandezza e posizione dei corpi, ma sono nondimeno collocati in reciproca relazione nel modo più armonico.
*Questo racconta in greco, tra il III e IV secolo, Giamblico di Calcide ne La vita pitagorica, XXVI, 115-121, BUR, pagg. 261-269