Le piccole infermità
A proposito di sventure, ognuno reagisce a modo suo: scherzo, aggressività, ubriachezza, ripiegamento su se stesso o, cosa più interessante per la filosofia, teoria o, cosa ancor più interessante, teoria sul vizio per chi è vizioso, sulla bruttezza quando si è uno scorfano...
La bruttezza, appunto, sembra una sventura abbastanza abituale tra i filosofi. Non è una malattia, ma una sorta di piccolo disturbo, un disagio continuo, fisico, sociale, incurabile. E questa bruttezza condiziona un certo modo di vivere. Costringe a pensare: quale criterio, infatti, decide della bellezza o della bruttezza? E' relativo od obiettivo, convenzionale o no, rivelatore o no? La bruttezza ha la qualità straordinaria, piuttosto contraddittoria, di affascinare: come il suo contrario, la bellezza. E' una catastrofe che spinge alla riflessione. Brutti, si è filosofi per vocazione, anche se esistono filosofi belli, anche se la maggior parte delle persone brutte non si volge alla filosofia.
Socrate - fondatore dell'estetica - è spaventosamente brutto, con il suo naso camuso, le narici dilatate come le froge di un toro, le labbra spesse, gli occhi sporgenti come quelli di un granchio, il grosso ventre.
Non fa nulla per migliorare il suo aspetto fisico da satiro, ne accentua l'aspetto diventando rosso, arrabbiandosi, e gira a piedi nudi, con i capelli mal tagliati, la barba incolta, un logoro mantello. Nella sua dialettica, nel suo metodo a domande e risposte, si serve benissimo del suo brutto muso. La sua faccia è di per sé filosofia, affascinante e repellente. Gioca alla torpedine, che mette in stato di torpore chi la tocca, all'ammaliatore, che ammalia.
Altro brutto è Zenone di Cizio, collo storto, scuro di pelle, corpo flaccido e informe, preferisce declinare gli inviti a pranzo. Con ciò, è "arcigno, severo e inamarito", taccagno. In ogni caso, reagisce con prontezza. Elimina il bello e l'arte della filosofia stoica, riconduce il bello alla virtù. Grazie a un gioco di prestigio, l'estetica scompare nel cappello dell'etica.
Quando Clotilde de Vaux vede Auguste Comte per la prima volta esclama: "Com'è brutto!". A quell'epoca il povero Auguste, già piccolo di statura, "butterato dal vaiolo, con una cicatrice all'orecchio sinistro", soffre di erisipela, una malattia infettiva che causa un'infiammazione della pelle del volto.
Schelling è "quasi brutto". ha splendidi occhi azzurri; purtroppo, spicca soprattutto un "naso corto e dritto che, di fronte, ha l'aria di un becco d'anatra".
A sua volta Sartre sa di essere piccolo, brutto, affetto da strabismo. "La bruttezza mi è stata rivelata dalle donne; fin da quando avevo dieci anni mi sentivo dire che ero brutto". Allora, assumendosela, costruisce una trionfante teoria dello sguardo laddove un altro si sarebbe costruito, a sui discapito, uno sciocco complesso d'inferiorità.
Una deformità, come essere zoppo o gobbo, pone lo stesso genere di problemi, quanto a lucidità e a soluzione.
"Io, Epitteto, sono stato schiavo, zoppo, povero come Iro (un mendicante dell'Odissea), caro agli Immortali".
Sbandiera la claudicazione come segno della sua superiorità di filosofo, per di più schiavo, rispetto a Epafrodito, un maestro violento, dominato dal vizio della malvagità. L'aneddoto è in sintonia. Il maestro gli torce la gamba. Epitteto dice: "La spezzerai". La gamba si spezza. Epitteto commenta: "Te lo avevo detto". Lo zoppo diventa l'eroe, lo schiavo è un maestro. Un motto di spirito surclassa tutto il male della Terra, e lo spirito risuona ogni volta che Epitteto claudica. Chi dei due zoppica davvero? La forza cambia campo. L'invalidità si conquista le simpatie di chi ride. E' facile indovinare chi abbia inventato la distinzione tra "ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi": Epitteto. A ogni passo doveva dire a se stesso: contro la mia claudicazione non posso far nulla! In compenso, sulla' "Uso corretto delle rappresentazioni" ho un controllo, quindi sarò ottimista.
Malebranche, come dice in tono pedante Ginette Dreyfus è "di costituzione debole e di conformazione irregolare", in altri termini rachitico e storto. Un contemporaneo lo descrive con "la spina dorsale come la lettera S e lo sterno schiacciato in basso".
Kierkegaard ha un corpo sbilenco. Più grave è il caso di Gramsci, gobbo dall'età di tre anni dopo essere caduto da una scala. Feyrabend, ferito in guerra, cammina con le stampelle.
Socrate, Eraclide Pontico, Tommaso d'Aquino e Hume hanno problemi di orizzontalità: sono - in due sillabe - grassi.
Tommaso d'Aquino, secondo i suoi allievi, è pinguissimus (molto grasso), ma anche magnus in corpore (molto alto). E' un bue. La marchesa d'Epinay chiamava Hume "il mio grosso e grasso storiografo d'Inghilterra"".
Montaigne, Cartesio, Kant (1,57 m), Comte, Nietzsche, Heidegger, Sartre hanno invece problemi di verticalità. Sono di bassa statura. Montaigne descrive così, insistendo sul nesso tra il suo aspetto fisico e la filosofia: "La filosofia non mi sembra mai aver tanto buon gioco come quando combatte la nostra presunzione e vanità (...). Ora, sono di statura un po' al di sotto della media. Questo difetto non è soltanto brutto, ma anche scomodo, soprattutto per quelli che hanno comandi e cariche". Quando si è sindaco di Bordeaux...
Imperfezioni passeggere o minime contano poco, o relativamente poco, nell'autostima che costruisce un filosofo o qualunque altro uomo. Tuttavia, devono aver un peso, poiché le troviamo menzionate. Aristotele ha "occhi piccoli". Cartesio si segnala un naso prominente. E' una proboscide; è un Cyrano. Leibniz sfoggia in cima alla testa una cisti, grossa come un uovo di piccione. Per lui, in un tutto è il tutto a essere buono, non le parti; non c'è bene senza una mescolanza di male. Leibniz ha qui l'occasione di percepire nella propria carne, di fronte allo specchio, la teoria del migliore dei mondi possibili. Leibniz con una cisti è meglio di un mondo senza Leibniz né cisti!
Marx ha quasi continuamente foruncoli e antrace. Deve imputarlo alla malnutrizione, alla fatica, alla povertà che gli impediscono di consultare un medico. Anche lui misura, nella propria carne, gli effetti di una delle sue teorie, quella dello sfruttamento capitalistico.
Vico, Sartre sono afflitti da un accentuato strabismo divergente, che evidentemente perturba la loro vita quotidiana e quella degli altri. Che occhio guarda? Che occhio guardare?
Un filosofo parla. Da vivo lo si giudica, in prima istanza, dalla voce. Più invalidanti sono gli handicap sensoriali: sordità, cecità, anosmia, ageusia. Rousseau, Bergson soffrono di sordità. Timone, Kant, il conte Saint- Simon ( a seguito di un fallito suicidio), Sartre vedono da un occhio solo. Essendo guerci, non possono che guardare la realtà con un solo occhio. E si nota: l'occhi sinistro di Kant è un po' attutito da una leggera nuvolaglia, Sartre è deturpato dal suo strabismo. Condillac ci vede così poco che Voltaire gli scrive: " So che, fisicamente parlando, gli occhi del corpo sono deboli quanto sono penetranti quelli della mente". Democrito, Plotino, Montesquieu, Nietzsche, Cournot sono ciechi o quasi.
Montesquieu, mentre detta Lo spirito delle leggi, si descrive come "un pover'uomo che cade e inciampa ovunque, non riconosce nessuno e non sa mai con chi stia parlando".
Nietzsche parla in termini patetici dei suoi "tre quarti di cecità". Stenta a viaggiare da solo, a leggere. Una tremenda miopia, mal diagnosticata e poco curata, gli provoca violenti e interminabili mal di testa già a dieci anni, e difficoltà a insegnare a ventinove.
E' interessante notare che non si parla mai di Kant il Guercio e Aristotele il Balbuziente. La loro parlo a è più importante del loro fisico.
Certi filosofi sono celebri per i loro mal di testa: Calvino, Anne Conway, Pascal, Kant, Nietzsche, Simone Weil.
Di questi particolari si parla raramente, con il pretesto della nobiltà speculativa. Eppure si può immaginare l'enorme importanza che devono aver avuto questi inconvenienti nella vita quotidiana.
Fonti:
Platone, Teeteto, 143, tr.cit., p.173
Senofonte, Simposio, II, 19, in Opere socratiche
Senofonte, Memorabili, I, 6, 2, in Opere socratiche
Platone, Menone, 80, tr.it,cit., p.779
Diogene Laerzio, op. cit., VII, 1, 16, pp. 242, 248
H. Gouhier, La vie d'Auguste Comte, cit., p.224
A. Comte, Catechismo positivista, 8 colloquio
S. de Beauvoir, La cerimonia degli addii, seguito da Conversazioni con Jean-Paul Sartre, tr.it. Einaudi, Torino, p.369
J. P. Sartre, L'essere e il nulla (1943), III, 1, 4, tr. it. Il Saggiatore, Milano 1964
Origene, Contro Celso, VII, 53
Epitteto, Diatribe, libro I, 1
Dictionnarie des philosophes, Encyclopaedia Universalis-Albin Michel, Paris 1998, p.974 a
Leibniz, Saggio di Teodicea
I filosofi: vita intima Pierre Riffard
La bruttezza, appunto, sembra una sventura abbastanza abituale tra i filosofi. Non è una malattia, ma una sorta di piccolo disturbo, un disagio continuo, fisico, sociale, incurabile. E questa bruttezza condiziona un certo modo di vivere. Costringe a pensare: quale criterio, infatti, decide della bellezza o della bruttezza? E' relativo od obiettivo, convenzionale o no, rivelatore o no? La bruttezza ha la qualità straordinaria, piuttosto contraddittoria, di affascinare: come il suo contrario, la bellezza. E' una catastrofe che spinge alla riflessione. Brutti, si è filosofi per vocazione, anche se esistono filosofi belli, anche se la maggior parte delle persone brutte non si volge alla filosofia.
Socrate - fondatore dell'estetica - è spaventosamente brutto, con il suo naso camuso, le narici dilatate come le froge di un toro, le labbra spesse, gli occhi sporgenti come quelli di un granchio, il grosso ventre.
Non fa nulla per migliorare il suo aspetto fisico da satiro, ne accentua l'aspetto diventando rosso, arrabbiandosi, e gira a piedi nudi, con i capelli mal tagliati, la barba incolta, un logoro mantello. Nella sua dialettica, nel suo metodo a domande e risposte, si serve benissimo del suo brutto muso. La sua faccia è di per sé filosofia, affascinante e repellente. Gioca alla torpedine, che mette in stato di torpore chi la tocca, all'ammaliatore, che ammalia.
Altro brutto è Zenone di Cizio, collo storto, scuro di pelle, corpo flaccido e informe, preferisce declinare gli inviti a pranzo. Con ciò, è "arcigno, severo e inamarito", taccagno. In ogni caso, reagisce con prontezza. Elimina il bello e l'arte della filosofia stoica, riconduce il bello alla virtù. Grazie a un gioco di prestigio, l'estetica scompare nel cappello dell'etica.
Quando Clotilde de Vaux vede Auguste Comte per la prima volta esclama: "Com'è brutto!". A quell'epoca il povero Auguste, già piccolo di statura, "butterato dal vaiolo, con una cicatrice all'orecchio sinistro", soffre di erisipela, una malattia infettiva che causa un'infiammazione della pelle del volto.
Schelling è "quasi brutto". ha splendidi occhi azzurri; purtroppo, spicca soprattutto un "naso corto e dritto che, di fronte, ha l'aria di un becco d'anatra".
A sua volta Sartre sa di essere piccolo, brutto, affetto da strabismo. "La bruttezza mi è stata rivelata dalle donne; fin da quando avevo dieci anni mi sentivo dire che ero brutto". Allora, assumendosela, costruisce una trionfante teoria dello sguardo laddove un altro si sarebbe costruito, a sui discapito, uno sciocco complesso d'inferiorità.
Una deformità, come essere zoppo o gobbo, pone lo stesso genere di problemi, quanto a lucidità e a soluzione.
"Io, Epitteto, sono stato schiavo, zoppo, povero come Iro (un mendicante dell'Odissea), caro agli Immortali".
Sbandiera la claudicazione come segno della sua superiorità di filosofo, per di più schiavo, rispetto a Epafrodito, un maestro violento, dominato dal vizio della malvagità. L'aneddoto è in sintonia. Il maestro gli torce la gamba. Epitteto dice: "La spezzerai". La gamba si spezza. Epitteto commenta: "Te lo avevo detto". Lo zoppo diventa l'eroe, lo schiavo è un maestro. Un motto di spirito surclassa tutto il male della Terra, e lo spirito risuona ogni volta che Epitteto claudica. Chi dei due zoppica davvero? La forza cambia campo. L'invalidità si conquista le simpatie di chi ride. E' facile indovinare chi abbia inventato la distinzione tra "ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi": Epitteto. A ogni passo doveva dire a se stesso: contro la mia claudicazione non posso far nulla! In compenso, sulla' "Uso corretto delle rappresentazioni" ho un controllo, quindi sarò ottimista.
Malebranche, come dice in tono pedante Ginette Dreyfus è "di costituzione debole e di conformazione irregolare", in altri termini rachitico e storto. Un contemporaneo lo descrive con "la spina dorsale come la lettera S e lo sterno schiacciato in basso".
Kierkegaard ha un corpo sbilenco. Più grave è il caso di Gramsci, gobbo dall'età di tre anni dopo essere caduto da una scala. Feyrabend, ferito in guerra, cammina con le stampelle.
Socrate, Eraclide Pontico, Tommaso d'Aquino e Hume hanno problemi di orizzontalità: sono - in due sillabe - grassi.
Tommaso d'Aquino, secondo i suoi allievi, è pinguissimus (molto grasso), ma anche magnus in corpore (molto alto). E' un bue. La marchesa d'Epinay chiamava Hume "il mio grosso e grasso storiografo d'Inghilterra"".
Montaigne, Cartesio, Kant (1,57 m), Comte, Nietzsche, Heidegger, Sartre hanno invece problemi di verticalità. Sono di bassa statura. Montaigne descrive così, insistendo sul nesso tra il suo aspetto fisico e la filosofia: "La filosofia non mi sembra mai aver tanto buon gioco come quando combatte la nostra presunzione e vanità (...). Ora, sono di statura un po' al di sotto della media. Questo difetto non è soltanto brutto, ma anche scomodo, soprattutto per quelli che hanno comandi e cariche". Quando si è sindaco di Bordeaux...
Imperfezioni passeggere o minime contano poco, o relativamente poco, nell'autostima che costruisce un filosofo o qualunque altro uomo. Tuttavia, devono aver un peso, poiché le troviamo menzionate. Aristotele ha "occhi piccoli". Cartesio si segnala un naso prominente. E' una proboscide; è un Cyrano. Leibniz sfoggia in cima alla testa una cisti, grossa come un uovo di piccione. Per lui, in un tutto è il tutto a essere buono, non le parti; non c'è bene senza una mescolanza di male. Leibniz ha qui l'occasione di percepire nella propria carne, di fronte allo specchio, la teoria del migliore dei mondi possibili. Leibniz con una cisti è meglio di un mondo senza Leibniz né cisti!
Marx ha quasi continuamente foruncoli e antrace. Deve imputarlo alla malnutrizione, alla fatica, alla povertà che gli impediscono di consultare un medico. Anche lui misura, nella propria carne, gli effetti di una delle sue teorie, quella dello sfruttamento capitalistico.
Vico, Sartre sono afflitti da un accentuato strabismo divergente, che evidentemente perturba la loro vita quotidiana e quella degli altri. Che occhio guarda? Che occhio guardare?
Un filosofo parla. Da vivo lo si giudica, in prima istanza, dalla voce. Più invalidanti sono gli handicap sensoriali: sordità, cecità, anosmia, ageusia. Rousseau, Bergson soffrono di sordità. Timone, Kant, il conte Saint- Simon ( a seguito di un fallito suicidio), Sartre vedono da un occhio solo. Essendo guerci, non possono che guardare la realtà con un solo occhio. E si nota: l'occhi sinistro di Kant è un po' attutito da una leggera nuvolaglia, Sartre è deturpato dal suo strabismo. Condillac ci vede così poco che Voltaire gli scrive: " So che, fisicamente parlando, gli occhi del corpo sono deboli quanto sono penetranti quelli della mente". Democrito, Plotino, Montesquieu, Nietzsche, Cournot sono ciechi o quasi.
Montesquieu, mentre detta Lo spirito delle leggi, si descrive come "un pover'uomo che cade e inciampa ovunque, non riconosce nessuno e non sa mai con chi stia parlando".
Nietzsche parla in termini patetici dei suoi "tre quarti di cecità". Stenta a viaggiare da solo, a leggere. Una tremenda miopia, mal diagnosticata e poco curata, gli provoca violenti e interminabili mal di testa già a dieci anni, e difficoltà a insegnare a ventinove.
E' interessante notare che non si parla mai di Kant il Guercio e Aristotele il Balbuziente. La loro parlo a è più importante del loro fisico.
Certi filosofi sono celebri per i loro mal di testa: Calvino, Anne Conway, Pascal, Kant, Nietzsche, Simone Weil.
Di questi particolari si parla raramente, con il pretesto della nobiltà speculativa. Eppure si può immaginare l'enorme importanza che devono aver avuto questi inconvenienti nella vita quotidiana.
Fonti:
Platone, Teeteto, 143, tr.cit., p.173
Senofonte, Simposio, II, 19, in Opere socratiche
Senofonte, Memorabili, I, 6, 2, in Opere socratiche
Platone, Menone, 80, tr.it,cit., p.779
Diogene Laerzio, op. cit., VII, 1, 16, pp. 242, 248
H. Gouhier, La vie d'Auguste Comte, cit., p.224
A. Comte, Catechismo positivista, 8 colloquio
S. de Beauvoir, La cerimonia degli addii, seguito da Conversazioni con Jean-Paul Sartre, tr.it. Einaudi, Torino, p.369
J. P. Sartre, L'essere e il nulla (1943), III, 1, 4, tr. it. Il Saggiatore, Milano 1964
Origene, Contro Celso, VII, 53
Epitteto, Diatribe, libro I, 1
Dictionnarie des philosophes, Encyclopaedia Universalis-Albin Michel, Paris 1998, p.974 a
Leibniz, Saggio di Teodicea
I filosofi: vita intima Pierre Riffard