L'eroe nella filosofia
Secondo Platone, gli eroi sono semidei, nati o da un dio innamorato d'una donna mortale o da un uomo mortale innamorato di una dea. Ovviamente, con questa definizione, Platone confinava la nozione di eroe alla sfera del mito, come al mito appartiene quella età degli eroi di cui parlavano Esiodo e lo stesso Platone; con ciò espugnava la nozione stessa, almeno implicitamente, dal campo della filosofia.
Aristotele dava a sua volta per avvenuta questa espunzione usando osservava: " Se vi fossero due categorie di uomini tali che la prima differisse dalla seconda quanto si riteneva che gli dei e gli eroi differissero dagli uomini, innanzitutto per la loro valentia fisica molto maggiore e poi per le qualità dell'anima, allora, senza alcun dubbio, risulterebbe palese la superiorità dei governanti sui governati ecc..."
All'esistenza di individui eccezionali, in cui s'incarni la Provvidenza storica e che siano perciò destinati ad avere nella storia compiti predominanti, si comincia a creder solo con il romanticismo.
Hegel vede negli eroi o "individui della storia del mondo" gli strumenti delle più alte realizzazioni della storia. Essi sono i veggenti: sanno quale sia la verità del loro mondo e del loro tempo, quale sia il concetto, l'universale prossimo a sorgere; e gli altri si riuniscono intorno alla loro bandiera perché essi esprimono ciò di cui è giunta l'ora.
Apparentemente tali individui (Alessandro, Cesare, Napoleone) non fanno che seguire la propria passione, cioè la propria ambizione; ma si tratta, dice Hegel, di un'astuzia della Ragione: questa si serve degli individui e delle loro passioni come di mezzi per attuare i suoi fini.
L'individuo a un certo punto perisce o è condotto a rovina dal suo stesso successo: l'Idea universale, che l'aveva suscitato ha già raggiunto il suo fine.
Negli eroi agisce la stessa necessità della storia perciò resistere ad essi e' impresa vana. "Essi sono spinti irresistibilmente a compiere la loro opera".
A un concetto analogo si ispirava Thomas Carlyle nella sua opera "Gli eroi e il culto degli eroi e l'eroico nella storia"
(1841).
"La storia universale, egli diceva, la storia di ciò che l'uomo ha compiuto in questo mondo non è altro in sostanza che la storia dei grandi uomini che hanno operato quaggiù. Furono, questi grandi, i condottieri dell'umanità, gli ispiratori, i campioni e, in senso vasto, gli artefici di tutto quello che la moltitudine collettiva degli uomini e' riuscita a compiere e a conseguire".
Questo "culto degli eroi" come Carlyle lo chiamava, ha due presupposti:
1) il carattere provvidenziale della storia, che si crede diretta a realizzare un piano perfetto è infallibile in ogni sua parte;
2) il privilegio, accordato ad alcuni uomini, di essere gli strumenti principali della realizzazione di questo piano.
Queste due credenze costituiscono le caratteristiche proprie della concezione romantica della storia e cadono con essa.
Bibliografia:
Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano
Aristotele dava a sua volta per avvenuta questa espunzione usando osservava: " Se vi fossero due categorie di uomini tali che la prima differisse dalla seconda quanto si riteneva che gli dei e gli eroi differissero dagli uomini, innanzitutto per la loro valentia fisica molto maggiore e poi per le qualità dell'anima, allora, senza alcun dubbio, risulterebbe palese la superiorità dei governanti sui governati ecc..."
All'esistenza di individui eccezionali, in cui s'incarni la Provvidenza storica e che siano perciò destinati ad avere nella storia compiti predominanti, si comincia a creder solo con il romanticismo.
Hegel vede negli eroi o "individui della storia del mondo" gli strumenti delle più alte realizzazioni della storia. Essi sono i veggenti: sanno quale sia la verità del loro mondo e del loro tempo, quale sia il concetto, l'universale prossimo a sorgere; e gli altri si riuniscono intorno alla loro bandiera perché essi esprimono ciò di cui è giunta l'ora.
Apparentemente tali individui (Alessandro, Cesare, Napoleone) non fanno che seguire la propria passione, cioè la propria ambizione; ma si tratta, dice Hegel, di un'astuzia della Ragione: questa si serve degli individui e delle loro passioni come di mezzi per attuare i suoi fini.
L'individuo a un certo punto perisce o è condotto a rovina dal suo stesso successo: l'Idea universale, che l'aveva suscitato ha già raggiunto il suo fine.
Negli eroi agisce la stessa necessità della storia perciò resistere ad essi e' impresa vana. "Essi sono spinti irresistibilmente a compiere la loro opera".
A un concetto analogo si ispirava Thomas Carlyle nella sua opera "Gli eroi e il culto degli eroi e l'eroico nella storia"
(1841).
"La storia universale, egli diceva, la storia di ciò che l'uomo ha compiuto in questo mondo non è altro in sostanza che la storia dei grandi uomini che hanno operato quaggiù. Furono, questi grandi, i condottieri dell'umanità, gli ispiratori, i campioni e, in senso vasto, gli artefici di tutto quello che la moltitudine collettiva degli uomini e' riuscita a compiere e a conseguire".
Questo "culto degli eroi" come Carlyle lo chiamava, ha due presupposti:
1) il carattere provvidenziale della storia, che si crede diretta a realizzare un piano perfetto è infallibile in ogni sua parte;
2) il privilegio, accordato ad alcuni uomini, di essere gli strumenti principali della realizzazione di questo piano.
Queste due credenze costituiscono le caratteristiche proprie della concezione romantica della storia e cadono con essa.
Bibliografia:
Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano