Max Scheler: il formalismo dell'etica e l'etica materiale dei valori
A cura di Antonella Iovine
"I valori e i loro ordinamenti brillano non già nella «percezione interna» o nella introspezione (che ci dà solo elementi psichici), ma nello scambio vivo col mondo (sia esso psichico, fisico o altro ancora), nell’amore, nell’odio, ossia nella pienezza di quegli atti intenzionali. Ed è in ciò che è dato in questa forma che consiste il contenuto apriorico"
Max Scheler (Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, I, II, A).
" Chi non ha guardato nell’abisso dell’assoluto Nulla
non si accorgerà dell’eminente positività del contenuto
dell’intuizione che vi è qualcosa e non piuttosto nulla".
Max Scheler (L’eterno dell’uomo)
La filosofia dei valori e la persona umana
Scrive Hans-Georg Gadamer: «Può sembrare incredibile, eppure se oggi si interroga un giovane o anche un adulto, interessato alla filosofia, si scopre che non sa chi sia Max Scheler. Vi potrà dire molto vagamente che era un pensatore cattolico, autore di un’importante "etica materiale dei valori", e apparteneva in qualche modo al movimento fenomenologico che aveva in Husserl il suo fondatore e in Heidegger, right or wrong, il suo continuatore. In ogni caso, la coscienza filosofica contemporanea non riserva a Scheler una presenza paragonabile a quella di Husserl o di Heidegger. Come mai? Chi era realmente Max Scheler?».
Max Scheler (1874-1928) era un "genio" fervido. Alla fenomenologia lo legarono due cose: «l’avversione per le costruzioni astratte e la capacità di cogliere intuitivamente la verità dell’essenza».
Il metodo fenomenologico inaugurato da Edmund Husserl incise molto sulla filosofia tedesca della prima fase del Novecento: in particolare, si avvertiva l'esigenza di estendere l'applicazione del metodo fenomenologico anche ad altri ambiti dell'esperienza umana oltre a quello della conoscenza, in particolare alla vita emotiva e all'etica. E proprio di questo ambito si interessò Scheler. Egli compose numerosi scritti: Il risentimento nella edificazione delle morali (1912), Essenza e forme della simpatia (1923), Problemi di una sociologia del sapere (1924), Le forme del sapere e la società (1926), La posizione dell'uomo nel cosmo (1927), ma la sua opera più conosciuta è Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, che apparve per la prima volta nello “Jahrbuch” di Husserl tra il 1913 e il 1916. In tale lavoro Scheler estende l’applicazione del metodo fenomenologico al campo dell’attività morale. Scheler è convinto, con Husserl, del carattere intenzionale della coscienza umana (la coscienza umana è sempre coscienza di qualche cosa: non c’è coscienza senza oggetto): con Husserl concorda anche nel sostenere che gli atti intenzionali della coscienza sono sottoponibili ad un’analisi fenomenologia che riguardi le loro essenze, e nell’ammettere l’irriducibilità reciproca degli atti intenzionali (da ciò scaturisce l’autonomia dell’etica rispetto alla logica). Scheler è un deciso avversario della concezione kantiana. Kant aveva posto la questione etica nell’alternativa tra dovere e piacere. Si vuole qualcosa o perché lo esige la legge, oppure perché questo qualcosa piace. Ma, se accettiamo quest’ultimo caso, allora viene a mancare qualsiasi base di valutazione oggettiva. Di conseguenza, al fine di giustificare le valutazioni morali, occorre definire il bene in relazione alla legge morale, che è tale universalizzabile. Ebbene, questa etica imperativa è per Scheler arbitraria. Essa dice "tu devi perché devi", ma il comando non è giustificato. E’ un’etica del risentimento (e il risentimento è "la tensione tra il desiderio e l’impotenza"), che in nome del dovere isterilisce e blocca la pienezza e la gioia della vita.
Per Scheler, invece, non è il dovere a costituire il concetto fondamentale dell’etica, bensì il valore. E Kant non ha distinto i beni dai valori. I beni sono cose che hanno valore; i valori, d’altra parte, sono essenze in senso husserliano, le qualità per cui sono bene le cose buone: bene è per esempio una macchina, il valore è la sua utilità; bene è un dipinto, ma lo è per il valore della sua bellezza e sublimità; bene è un gesto, valore è la sua nobiltà, elevatezza e dignità; bene è una legge, ma lo è per il valore della giustizia. In sostanza, i beni sono fatti, i valori sono essenze. Scheler è pronto a riconoscere i meriti di Kant, quali il rifiuto di derivare il criterio della condotta morale attraverso una induzione da fatti empirici; l’aver cercato di costituire una legge morale a priori universale; la negazione dell’etica del successo, e il richiamo all’interiorità della legge morale: "Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me".
Ma tutti questi pregi sono vanificati, secondo Scheler, dalla fondamentale ed erronea equazione con la quale Kant identifica a priori con formale. Proprio contro questa identità si rivolge il pensiero del filosofo, il quale si mantiene fedele all’apriorismo e all’universalità della norma morale, definendo però materialmente, cioè concretamente, la sfera dei valori. Scheler sostiene l’esistenza di proposizioni a priori (vale a dire necessarie e universali) e tuttavia materiali, giacché le materie su cui esse vertono non sono fatti, ma essenze, cioè i valori. In tal modo egli intende pervenire alla fondazione di un’etica a priori, ma non formale, bensì materiale ("materiale" si oppone qui a "formale"): un’etica materiale dei valori e non dei beni. Rispetto a Kant, dunque, Scheler afferma il primato del valore sul dovere. Quello che manca all’etica di Kant è il riconoscimento del "valore materiale", la consapevolezza che l’uomo si trova circondato da un cosmo di valori che egli non deve produrre, ma solo riconoscere e scoprire. E i valori non sono oggetti di attività teoretica, ma di una intuizione emozionale: pretendere di cogliere i valori con l’intelletto equivarrebbe alla pretesa di vedere un suono. E’ unicamente un pregiudizio negare l’intenzionalità del sentimento, la sua capacità di vedere essenze e cogliere valori; è un pregiudizio che ne deriva a sua volta da un altro secondo cui soltanto l’intelletto dà origine ad attività spirituali. Per Scheler, invece, c’è un’eterna e assoluta legittimità dei sentimenti, assoluta come logica pura, ma non riconducibile in nessun modo alla legittimità tipica della attività intellettuale. E’ il sentimento a vedere le essenze come valori: «Esiste un modo di esperienza i cui oggetti sono inaccessibili all’intelletto: questo nei loro confronti è così cieco come l’orecchio e l’udito nei confronti dei colori». Una tale esperienza apprende i valori, i quali non sono affatto prodotti dagli uomini o riconducibili a oggetti di desiderio o aspirazioni. Analogamente vengono appresi anche i rapporti fra i valori, altrettanto oggettivi e assoluti. I rapporti fra i valori sono colti specificamente dall’atto puro del preferire (anteporre e subordinare), ben diverso dall’atto empirico dello scegliere fra beni diversi. Una simile esperienza ci mette di fronte a degli oggetti autentici e all’ordine eterno che c’è fra loro. Scheler propone una gerarchia dei valori che si muove dai valori sensibili (il piacevole contro allo spiacevole), si passa a quelli vitali e poi a quelli spirituali (estetici, conoscitivi, etici, giuridici) per concludere il valore supremo della santità. Per rendere le cose più comprensibili, il filosofo afferma la presenza di uno strumento innato in ognuno di noi: l’intuizione sentimentale, che coglie quei valori oggettivi per cui le cose sono beni. Questi valori, ciascuno dei quali si trova in una persona o modello-tipo, vengono da Scheler enunciati e proposti nella seguente successione gerarchica:
Questo cosmo di valori e la loro gerarchia (considerata - in ordine di preferibilità – dai valori religiosi a quelli sensoriali) sono colti e riconosciuti dalla intuizione o visione emozionale che mette immediatamente in contatto con il valore, indipendentemente dalla volontà (volere dell’agire) e dal dovere (tu devi),i quali piuttosto sono condizionati e fondati proprio dall’intuizione del valore, ma dal sentire (io mi accorgo, io avverto). E’ infondato, dunque, affermare che ciò che non è razionale sia sensibile: c’è un’attività spirituale extra-teoretica che è l’intuizione emozionale; esiste, in sostanza, quello che Pascal chiama l’ordre du coeur (l’ordine del cuore).
I fondamenti della persona
Queste idee sui valori, consentono a Scheler la costruzione di una antropologia personalistica, da dove emerge un soggetto come essere spirituale e come persona. L’uomo è capace di domandarsi che cosa sia una cosa in se stessa, è capace di cogliere essenze, di agire con rettitudine a prescindere dall’interesse vitale che le cose possono avere per se stesso, dando un valore morale e uno scopo alla propria vita e un senso al proprio esistere.
Scheler vede nella riduzione kantiana della persona a soggetto logico della ragion pratica una spersonalizzazione della persona. La persona non è neppure identificabile con l'Io, come soggetto della sfera psichica, o con un'anima dualisticamente contrapposta al corpo. Non coincide neppure con lo spirito in quanto, come portatrice di valori attraverso l'esecuzione di atti, è la persona che rende concreto lo spirituale in una identità irriducibile: è lo spirituale fattosi visibile nell'individuale. La persona è piuttosto un ordine del sentire ordo amoris (ordine dell’amore) che si esprime nell'atto: è «la concreta unità ontologica, in se stessa essenziale, di atti di diversa natura». Ad ogni atto inerisce la persona nella sua totalità, ma senza esaurire nell’atto stesso il suo essere. La persona è l’unità concreta dei suoi atti intenzionali: non sta al di là, o al di sotto, di essi, ma neppure ne risulta come una somma. Nell'esecuzione dell'atto la persona diviene nel rapporto con gli altri. Sempre in contrasto con Kant la persona realizza se stessa nell'atto agapico dell'amare. Superando il dualismo anima-corpo intende la persona finita come unità bio-psichica dotata di un corpo-vivo (Leib). Tuttavia se nel Formalismus vigeva ancora una completa autonomia della persona nei confronti della vita, nell'ultimo periodo tale autonomia viene ripensata all'interno di un processo di sublimazione delle energie dal basso verso l'alto: la persona assume le proprie energie dalla sfera vitale, ma nella co-esecuzione dell'atto offre loro la possibilità di svilupparsi in una direzione completamente autonoma dalla logica vitale.
L’uomo, dunque, è capace – afferma Scheler nello scritto La posizione dell’uomo nel cosmo – di «svincolarsi dal potere, dalla pressione, dai legami con la "vita" e da ciò che le appartiene», e in questo senso egli è un essere spirituale, non più legato agli impulsi e all’ambiente, ed è così che è «aperto al mondo», anzi è così che egli «ha un mondo». E in quanto soggetto spirituale l’uomo è persona, vale a dire centro di atti intenzionali. La persona non è l’io trascendentale, ma un individuo concreto, è l’unità di un soggetto spirituale che si serve del corpo come di uno strumento per attuare valori. Da questa concezione della persona deriva l’idea scheleriana di ascesi mondana che, al di là dell’edonismo sensualista e dell’ascetismo patologico, evita il solipsismo e instaura un triplice rapporto di apertura dell’uomo con la natura, con il prossimo e con Dio. Senza amore la persona è soltanto un animale sociale, un'entità oggettiva e sostituibile, mentre nell'amore ciascuno è veramente se stesso e l'io diventa propriamente persona. Essere persona comporta l'essere aperti alla totalità delle cose e delle persone reali e possibili: in questo senso l'amore è sempre amore della persona in quanto incarna un valore anche quando essa lo nega. Ogni persona ha come correlato un mondo proprio che non coincide con l'idea di un mondo unico e identico: questo rinvia all'idea di una persona infinita e perfetta, della quale è a sua volta il correlato. Nel riconoscersi come entità finita e nell'aprirsi alle altre persone l'uomo ritrova il proprio fondamento in questa persona infinita e assoluta, ossia in Dio, concepito come il luogo dei valori. In tal modo l'etica di Scheler trova il proprio compimento in una forma di teismo, fondato sul riconoscimento di Dio come persona, oggetto di amore da parte degli uomini.
La persona, per Scheler, non è un soggetto che considera la natura pragmatisticamente solo come un oggetto da dominare; la persona sa porsi, quasi francescanamente, nell’estatico atteggiamento di apertura alle cose. La persona, inoltre, è originariamente in rapporto con l’io - dell’ - altro. E questo rapporto va dalle forme più basse di socialità al culmine rappresentato dal rapporto di amore. La forma più bassa di socialità è la massa che nasce dal contagio emotivo; poi viene la società, la quale nasce dal contratto; a questa segue la comunità giuridico-culturale (stato, scuola, circolo);e infine la comunità d’amore, la chiesa.
In Essenza e forme della simpatia, Scheler considera la simpatia l’unico autentico fondamento del rapporto interpersonale: essa, infatti, garantisce l’autonomia della persone e la possibilità della comunicazione e della comprensione. La simpatia non è il contagio emotivo che si scatena nelle masse e che può arrivare sino alla fusione: «La vera funzione della simpatia consiste nel distruggere l’illusione solipsistica e nel rivelarci come dotata di valore uguale alla nostra la realtà dell’altro in quanto altro».
La simpatia ha però dei limiti. Essa ha infatti una forma di comprensione che si ha all’interno e nei limiti di quei rapporti che legano alle persone: si prova simpatia per un’altra persona in quanto e nei limiti in cui fa parte della stessa nazionalità, della stessa famiglia, degli stessi amici, della stessa collettività. Solo l’amore, afferma Scheler, può superare i limiti in cui si imbatte la persona per instaurare un rapporto di profondità. Imparare ad amarsi porta a compiere scelte autentiche e coraggiose. L’amore vero esalta l’autonomia e la diversità dell’altro, non considera mai l’altro come identico a se stesso.
In che cosa consiste l’amore vero?
«L’amore vero consiste nel comprendere sufficientemente un’altra individualità differente dalla mia, nel potermi mettere al suo posto pur mentre la considero come altra da me e differente da me e pur mentre affermo, col calore emozionale e senza riserva, la sua propria realtà il suo modo d’essere».
Il rapporto uomo-Dio
Proprio per questa sua profondità e radicalità, l’amore è posta a fondamento della stessa vita. L’amore si dirige verso ciò che l’altro ha di valido. Si dirige verso la natura, verso la persona umana e verso Dio, verso ciò che questi hanno di altro da colui che ama.
Sul rapporto con Dio Scheler ha scritto uno tra i più significativi libri di fenomenologia della religione: L’eterno dell’uomo. La prima evidenza filosofica, dice Scheler, è che c’è qualcosa, che non c’è il nulla. E dal prendere coscienza che c’è qualcosa, per cui nasce lo stupore di fronte all’essere: «Chi non ha guardato nell’abisso dell’assoluto Nulla non si accorgerà dell’eminente positività del contenuto dell’intuizione che vi è qualcosa e non piuttosto nulla».
Ma dopo questa prima evidenza, si presenta immediata l’evidenza che vi è un essere assoluto caratterizzato dall’aseità, l’onnipotenza e la sacralità. Tali caratteri vengono intuiti attraverso un atto di percezione immediata, cui corrisponde un sentimento di creaturalità correlato di una persona infinita, Dio. Nell’esperienza religiosa si ha la rivelazione del Sacro, e a essa, che è grazia, l’uomo risponde con la fede. L’uomo può sapere di Dio solo in Dio: «Il Dio della coscienza religiosa è e vive esclusivamente nell’atto religioso, non nel pensiero metafisico fondato su contenuti e realtà extra-religiose. Ciò cui tende la religione non è la conoscenza razionale della realtà originaria, è la salvezza dell’uomo mediante una comunione di vita con Dio, una divinizzazione».
Il Dio della religione e il salvatore della persona è anch’Egli, quindi, persona. Per tutto ciò, la teologia negativa è più profonda e autentica della teologia positiva.
L’essenza dell’uomo e la sua "posizione nel cosmo"
L’ontologia personalistica e teistica di Schiler subì nel 1923 una nuova svolta, nel senso che indirizzò le sue ricerche ( rimaste incompiute per la sua prematura morte) nella direzione di un panteismo evoluzionistico. La sua intenzione era quella di costruire una imponente «antropologia filosofica» di cui restano come documentazione, brevi e acuti scritti. Qui è possibile solamente accennare al contributo dato a Scheler alla sociologia della conoscenza, a quell’ambito di ricerche concernenti l’influsso dei fattori sociali (classi, ceti, chiesa ecc.) sulle produzioni mentali (filosofia, morale, diritto ecc.).
Contro lo spiritualismo astratto, egli punta l’attenzione sull’impotenza di realizzazione dei fattori spirituali, e contro il determinismo naturalistico rivendica l’autonomia e l’influsso dello spirito. In ogni caso, il condizionamento sociale del sapere riguarda in primo luogo le forme del sapere, che sono altrettante maniere di entrare in contatto con la realtà fisica, psichica e spirituale. Scheler si rifà «alla legge dei tre stadi» di Comte e distingue tre forme di sapere, che tuttavia non si susseguono una dopo l’altra, come voleva Comte, ma sono compossibili in ogni epoca. Tali forme del sapere sono:
Ma lo studio del condizionamento sociale del sapere non proibisce a Scheler di analizzare i legami interfunzionali tra le diverse forme di sapere: teologico, metafisico e scientifico. E certamente di grande interesse è l’esame che conduce sul rapporto tra il monoteismo giudaico-cristiano e la scienza.
La religione non ha nulla da temere dalla scienza. Una religione può entrare in contrasto solo con un’altra religione o con una metafisica, ma non con la scienza. E tuttavia, gli ambiti della conoscenza umana debbono perdere il loro carattere sacrale per poter venire investigati scientificamente. Leggiamo in Sociologia del sapere:
«Finché la natura è colma per un dato gruppo, di forze personali e volontarie, divine e demoniache, essa è esattamente "tabù" per la scienza. Chi considera le stelle come divinità visibili, non è ancora maturo per un’astronomia scientifica».
Il monoteismo creazionistico giudaico-cristiano e la sua vittoria sulla religione e sulla metafisica del mondo antico fu senza dubbio la prima possibilità per porre in libertà la ricerca sistematica della natura. Fu un mettere in libertà la natura per la scienza in ordine di grandezza che forse oltrepassa tutto ciò che fino a oggi è accaduto in occidente. Il Dio spirituale di volontà e di lavoro, il Creatore, che nessun greco e nessun romano, nessun Platone e Aristotele conobbe, è stato la maggior santificazione dell’idea del lavoro e del dominio sopra le cose infraumane; e nel medesimo tempo operò la più grande disanimazione, mortificazione, distanziazione e razionalizzazione della natura, che abbia mai avuto luogo, in rapporto alle culture asiatiche e all’antichità.
L’idea che il creazionismo giudaico-cristiano abbia abbattuto, cioè resa morta la natura, e con ciò abbia preparato quest’ultima all’investigazione scientifica, è una concezione presa sempre più in considerazione. Come è assoluta l’altra idea di Scheler per cui il marxismo, che tanta lotta ha fatto contro il pensiero ideologico, è esso stesso ideologia. Se la classe borghese ha i suoi «modi di pensare formali determinati dalla classe», la stessa cosa vale per la classe dei proletari. Dovunque c’è interesse di classe, là vi è anche ideologia. Certo il sociologo della conoscenza «non può dirsi marxista ». Ma questo non implica che si debbano accettare gli elementi mitici e mistici del marxismo.
"I valori e i loro ordinamenti brillano non già nella «percezione interna» o nella introspezione (che ci dà solo elementi psichici), ma nello scambio vivo col mondo (sia esso psichico, fisico o altro ancora), nell’amore, nell’odio, ossia nella pienezza di quegli atti intenzionali. Ed è in ciò che è dato in questa forma che consiste il contenuto apriorico"
Max Scheler (Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, I, II, A).
" Chi non ha guardato nell’abisso dell’assoluto Nulla
non si accorgerà dell’eminente positività del contenuto
dell’intuizione che vi è qualcosa e non piuttosto nulla".
Max Scheler (L’eterno dell’uomo)
La filosofia dei valori e la persona umana
Scrive Hans-Georg Gadamer: «Può sembrare incredibile, eppure se oggi si interroga un giovane o anche un adulto, interessato alla filosofia, si scopre che non sa chi sia Max Scheler. Vi potrà dire molto vagamente che era un pensatore cattolico, autore di un’importante "etica materiale dei valori", e apparteneva in qualche modo al movimento fenomenologico che aveva in Husserl il suo fondatore e in Heidegger, right or wrong, il suo continuatore. In ogni caso, la coscienza filosofica contemporanea non riserva a Scheler una presenza paragonabile a quella di Husserl o di Heidegger. Come mai? Chi era realmente Max Scheler?».
Max Scheler (1874-1928) era un "genio" fervido. Alla fenomenologia lo legarono due cose: «l’avversione per le costruzioni astratte e la capacità di cogliere intuitivamente la verità dell’essenza».
Il metodo fenomenologico inaugurato da Edmund Husserl incise molto sulla filosofia tedesca della prima fase del Novecento: in particolare, si avvertiva l'esigenza di estendere l'applicazione del metodo fenomenologico anche ad altri ambiti dell'esperienza umana oltre a quello della conoscenza, in particolare alla vita emotiva e all'etica. E proprio di questo ambito si interessò Scheler. Egli compose numerosi scritti: Il risentimento nella edificazione delle morali (1912), Essenza e forme della simpatia (1923), Problemi di una sociologia del sapere (1924), Le forme del sapere e la società (1926), La posizione dell'uomo nel cosmo (1927), ma la sua opera più conosciuta è Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, che apparve per la prima volta nello “Jahrbuch” di Husserl tra il 1913 e il 1916. In tale lavoro Scheler estende l’applicazione del metodo fenomenologico al campo dell’attività morale. Scheler è convinto, con Husserl, del carattere intenzionale della coscienza umana (la coscienza umana è sempre coscienza di qualche cosa: non c’è coscienza senza oggetto): con Husserl concorda anche nel sostenere che gli atti intenzionali della coscienza sono sottoponibili ad un’analisi fenomenologia che riguardi le loro essenze, e nell’ammettere l’irriducibilità reciproca degli atti intenzionali (da ciò scaturisce l’autonomia dell’etica rispetto alla logica). Scheler è un deciso avversario della concezione kantiana. Kant aveva posto la questione etica nell’alternativa tra dovere e piacere. Si vuole qualcosa o perché lo esige la legge, oppure perché questo qualcosa piace. Ma, se accettiamo quest’ultimo caso, allora viene a mancare qualsiasi base di valutazione oggettiva. Di conseguenza, al fine di giustificare le valutazioni morali, occorre definire il bene in relazione alla legge morale, che è tale universalizzabile. Ebbene, questa etica imperativa è per Scheler arbitraria. Essa dice "tu devi perché devi", ma il comando non è giustificato. E’ un’etica del risentimento (e il risentimento è "la tensione tra il desiderio e l’impotenza"), che in nome del dovere isterilisce e blocca la pienezza e la gioia della vita.
Per Scheler, invece, non è il dovere a costituire il concetto fondamentale dell’etica, bensì il valore. E Kant non ha distinto i beni dai valori. I beni sono cose che hanno valore; i valori, d’altra parte, sono essenze in senso husserliano, le qualità per cui sono bene le cose buone: bene è per esempio una macchina, il valore è la sua utilità; bene è un dipinto, ma lo è per il valore della sua bellezza e sublimità; bene è un gesto, valore è la sua nobiltà, elevatezza e dignità; bene è una legge, ma lo è per il valore della giustizia. In sostanza, i beni sono fatti, i valori sono essenze. Scheler è pronto a riconoscere i meriti di Kant, quali il rifiuto di derivare il criterio della condotta morale attraverso una induzione da fatti empirici; l’aver cercato di costituire una legge morale a priori universale; la negazione dell’etica del successo, e il richiamo all’interiorità della legge morale: "Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me".
Ma tutti questi pregi sono vanificati, secondo Scheler, dalla fondamentale ed erronea equazione con la quale Kant identifica a priori con formale. Proprio contro questa identità si rivolge il pensiero del filosofo, il quale si mantiene fedele all’apriorismo e all’universalità della norma morale, definendo però materialmente, cioè concretamente, la sfera dei valori. Scheler sostiene l’esistenza di proposizioni a priori (vale a dire necessarie e universali) e tuttavia materiali, giacché le materie su cui esse vertono non sono fatti, ma essenze, cioè i valori. In tal modo egli intende pervenire alla fondazione di un’etica a priori, ma non formale, bensì materiale ("materiale" si oppone qui a "formale"): un’etica materiale dei valori e non dei beni. Rispetto a Kant, dunque, Scheler afferma il primato del valore sul dovere. Quello che manca all’etica di Kant è il riconoscimento del "valore materiale", la consapevolezza che l’uomo si trova circondato da un cosmo di valori che egli non deve produrre, ma solo riconoscere e scoprire. E i valori non sono oggetti di attività teoretica, ma di una intuizione emozionale: pretendere di cogliere i valori con l’intelletto equivarrebbe alla pretesa di vedere un suono. E’ unicamente un pregiudizio negare l’intenzionalità del sentimento, la sua capacità di vedere essenze e cogliere valori; è un pregiudizio che ne deriva a sua volta da un altro secondo cui soltanto l’intelletto dà origine ad attività spirituali. Per Scheler, invece, c’è un’eterna e assoluta legittimità dei sentimenti, assoluta come logica pura, ma non riconducibile in nessun modo alla legittimità tipica della attività intellettuale. E’ il sentimento a vedere le essenze come valori: «Esiste un modo di esperienza i cui oggetti sono inaccessibili all’intelletto: questo nei loro confronti è così cieco come l’orecchio e l’udito nei confronti dei colori». Una tale esperienza apprende i valori, i quali non sono affatto prodotti dagli uomini o riconducibili a oggetti di desiderio o aspirazioni. Analogamente vengono appresi anche i rapporti fra i valori, altrettanto oggettivi e assoluti. I rapporti fra i valori sono colti specificamente dall’atto puro del preferire (anteporre e subordinare), ben diverso dall’atto empirico dello scegliere fra beni diversi. Una simile esperienza ci mette di fronte a degli oggetti autentici e all’ordine eterno che c’è fra loro. Scheler propone una gerarchia dei valori che si muove dai valori sensibili (il piacevole contro allo spiacevole), si passa a quelli vitali e poi a quelli spirituali (estetici, conoscitivi, etici, giuridici) per concludere il valore supremo della santità. Per rendere le cose più comprensibili, il filosofo afferma la presenza di uno strumento innato in ognuno di noi: l’intuizione sentimentale, che coglie quei valori oggettivi per cui le cose sono beni. Questi valori, ciascuno dei quali si trova in una persona o modello-tipo, vengono da Scheler enunciati e proposti nella seguente successione gerarchica:
- valori sensoriali (gioia-pena, piacere-dolore) gaudente
- valori della civiltà (utile-dannoso) tecnico
- valori vitali (nobile-volgare) eroe
- valori culturali o spirituali: genio
- estetici (bello-brutto) artista
- etico-giuridici (giusto-ingiusto) legislatore
- speculativi (vero-falso) saggio
- valori religiosi (sacro-profano) santo
Questo cosmo di valori e la loro gerarchia (considerata - in ordine di preferibilità – dai valori religiosi a quelli sensoriali) sono colti e riconosciuti dalla intuizione o visione emozionale che mette immediatamente in contatto con il valore, indipendentemente dalla volontà (volere dell’agire) e dal dovere (tu devi),i quali piuttosto sono condizionati e fondati proprio dall’intuizione del valore, ma dal sentire (io mi accorgo, io avverto). E’ infondato, dunque, affermare che ciò che non è razionale sia sensibile: c’è un’attività spirituale extra-teoretica che è l’intuizione emozionale; esiste, in sostanza, quello che Pascal chiama l’ordre du coeur (l’ordine del cuore).
I fondamenti della persona
Queste idee sui valori, consentono a Scheler la costruzione di una antropologia personalistica, da dove emerge un soggetto come essere spirituale e come persona. L’uomo è capace di domandarsi che cosa sia una cosa in se stessa, è capace di cogliere essenze, di agire con rettitudine a prescindere dall’interesse vitale che le cose possono avere per se stesso, dando un valore morale e uno scopo alla propria vita e un senso al proprio esistere.
Scheler vede nella riduzione kantiana della persona a soggetto logico della ragion pratica una spersonalizzazione della persona. La persona non è neppure identificabile con l'Io, come soggetto della sfera psichica, o con un'anima dualisticamente contrapposta al corpo. Non coincide neppure con lo spirito in quanto, come portatrice di valori attraverso l'esecuzione di atti, è la persona che rende concreto lo spirituale in una identità irriducibile: è lo spirituale fattosi visibile nell'individuale. La persona è piuttosto un ordine del sentire ordo amoris (ordine dell’amore) che si esprime nell'atto: è «la concreta unità ontologica, in se stessa essenziale, di atti di diversa natura». Ad ogni atto inerisce la persona nella sua totalità, ma senza esaurire nell’atto stesso il suo essere. La persona è l’unità concreta dei suoi atti intenzionali: non sta al di là, o al di sotto, di essi, ma neppure ne risulta come una somma. Nell'esecuzione dell'atto la persona diviene nel rapporto con gli altri. Sempre in contrasto con Kant la persona realizza se stessa nell'atto agapico dell'amare. Superando il dualismo anima-corpo intende la persona finita come unità bio-psichica dotata di un corpo-vivo (Leib). Tuttavia se nel Formalismus vigeva ancora una completa autonomia della persona nei confronti della vita, nell'ultimo periodo tale autonomia viene ripensata all'interno di un processo di sublimazione delle energie dal basso verso l'alto: la persona assume le proprie energie dalla sfera vitale, ma nella co-esecuzione dell'atto offre loro la possibilità di svilupparsi in una direzione completamente autonoma dalla logica vitale.
L’uomo, dunque, è capace – afferma Scheler nello scritto La posizione dell’uomo nel cosmo – di «svincolarsi dal potere, dalla pressione, dai legami con la "vita" e da ciò che le appartiene», e in questo senso egli è un essere spirituale, non più legato agli impulsi e all’ambiente, ed è così che è «aperto al mondo», anzi è così che egli «ha un mondo». E in quanto soggetto spirituale l’uomo è persona, vale a dire centro di atti intenzionali. La persona non è l’io trascendentale, ma un individuo concreto, è l’unità di un soggetto spirituale che si serve del corpo come di uno strumento per attuare valori. Da questa concezione della persona deriva l’idea scheleriana di ascesi mondana che, al di là dell’edonismo sensualista e dell’ascetismo patologico, evita il solipsismo e instaura un triplice rapporto di apertura dell’uomo con la natura, con il prossimo e con Dio. Senza amore la persona è soltanto un animale sociale, un'entità oggettiva e sostituibile, mentre nell'amore ciascuno è veramente se stesso e l'io diventa propriamente persona. Essere persona comporta l'essere aperti alla totalità delle cose e delle persone reali e possibili: in questo senso l'amore è sempre amore della persona in quanto incarna un valore anche quando essa lo nega. Ogni persona ha come correlato un mondo proprio che non coincide con l'idea di un mondo unico e identico: questo rinvia all'idea di una persona infinita e perfetta, della quale è a sua volta il correlato. Nel riconoscersi come entità finita e nell'aprirsi alle altre persone l'uomo ritrova il proprio fondamento in questa persona infinita e assoluta, ossia in Dio, concepito come il luogo dei valori. In tal modo l'etica di Scheler trova il proprio compimento in una forma di teismo, fondato sul riconoscimento di Dio come persona, oggetto di amore da parte degli uomini.
La persona, per Scheler, non è un soggetto che considera la natura pragmatisticamente solo come un oggetto da dominare; la persona sa porsi, quasi francescanamente, nell’estatico atteggiamento di apertura alle cose. La persona, inoltre, è originariamente in rapporto con l’io - dell’ - altro. E questo rapporto va dalle forme più basse di socialità al culmine rappresentato dal rapporto di amore. La forma più bassa di socialità è la massa che nasce dal contagio emotivo; poi viene la società, la quale nasce dal contratto; a questa segue la comunità giuridico-culturale (stato, scuola, circolo);e infine la comunità d’amore, la chiesa.
In Essenza e forme della simpatia, Scheler considera la simpatia l’unico autentico fondamento del rapporto interpersonale: essa, infatti, garantisce l’autonomia della persone e la possibilità della comunicazione e della comprensione. La simpatia non è il contagio emotivo che si scatena nelle masse e che può arrivare sino alla fusione: «La vera funzione della simpatia consiste nel distruggere l’illusione solipsistica e nel rivelarci come dotata di valore uguale alla nostra la realtà dell’altro in quanto altro».
La simpatia ha però dei limiti. Essa ha infatti una forma di comprensione che si ha all’interno e nei limiti di quei rapporti che legano alle persone: si prova simpatia per un’altra persona in quanto e nei limiti in cui fa parte della stessa nazionalità, della stessa famiglia, degli stessi amici, della stessa collettività. Solo l’amore, afferma Scheler, può superare i limiti in cui si imbatte la persona per instaurare un rapporto di profondità. Imparare ad amarsi porta a compiere scelte autentiche e coraggiose. L’amore vero esalta l’autonomia e la diversità dell’altro, non considera mai l’altro come identico a se stesso.
In che cosa consiste l’amore vero?
«L’amore vero consiste nel comprendere sufficientemente un’altra individualità differente dalla mia, nel potermi mettere al suo posto pur mentre la considero come altra da me e differente da me e pur mentre affermo, col calore emozionale e senza riserva, la sua propria realtà il suo modo d’essere».
Il rapporto uomo-Dio
Proprio per questa sua profondità e radicalità, l’amore è posta a fondamento della stessa vita. L’amore si dirige verso ciò che l’altro ha di valido. Si dirige verso la natura, verso la persona umana e verso Dio, verso ciò che questi hanno di altro da colui che ama.
Sul rapporto con Dio Scheler ha scritto uno tra i più significativi libri di fenomenologia della religione: L’eterno dell’uomo. La prima evidenza filosofica, dice Scheler, è che c’è qualcosa, che non c’è il nulla. E dal prendere coscienza che c’è qualcosa, per cui nasce lo stupore di fronte all’essere: «Chi non ha guardato nell’abisso dell’assoluto Nulla non si accorgerà dell’eminente positività del contenuto dell’intuizione che vi è qualcosa e non piuttosto nulla».
Ma dopo questa prima evidenza, si presenta immediata l’evidenza che vi è un essere assoluto caratterizzato dall’aseità, l’onnipotenza e la sacralità. Tali caratteri vengono intuiti attraverso un atto di percezione immediata, cui corrisponde un sentimento di creaturalità correlato di una persona infinita, Dio. Nell’esperienza religiosa si ha la rivelazione del Sacro, e a essa, che è grazia, l’uomo risponde con la fede. L’uomo può sapere di Dio solo in Dio: «Il Dio della coscienza religiosa è e vive esclusivamente nell’atto religioso, non nel pensiero metafisico fondato su contenuti e realtà extra-religiose. Ciò cui tende la religione non è la conoscenza razionale della realtà originaria, è la salvezza dell’uomo mediante una comunione di vita con Dio, una divinizzazione».
Il Dio della religione e il salvatore della persona è anch’Egli, quindi, persona. Per tutto ciò, la teologia negativa è più profonda e autentica della teologia positiva.
L’essenza dell’uomo e la sua "posizione nel cosmo"
L’ontologia personalistica e teistica di Schiler subì nel 1923 una nuova svolta, nel senso che indirizzò le sue ricerche ( rimaste incompiute per la sua prematura morte) nella direzione di un panteismo evoluzionistico. La sua intenzione era quella di costruire una imponente «antropologia filosofica» di cui restano come documentazione, brevi e acuti scritti. Qui è possibile solamente accennare al contributo dato a Scheler alla sociologia della conoscenza, a quell’ambito di ricerche concernenti l’influsso dei fattori sociali (classi, ceti, chiesa ecc.) sulle produzioni mentali (filosofia, morale, diritto ecc.).
Contro lo spiritualismo astratto, egli punta l’attenzione sull’impotenza di realizzazione dei fattori spirituali, e contro il determinismo naturalistico rivendica l’autonomia e l’influsso dello spirito. In ogni caso, il condizionamento sociale del sapere riguarda in primo luogo le forme del sapere, che sono altrettante maniere di entrare in contatto con la realtà fisica, psichica e spirituale. Scheler si rifà «alla legge dei tre stadi» di Comte e distingue tre forme di sapere, che tuttavia non si susseguono una dopo l’altra, come voleva Comte, ma sono compossibili in ogni epoca. Tali forme del sapere sono:
- Il sapere religioso, che riguarda la salvezza definitiva della persona attraverso il rapporto con l’Essere supremo. E’ il sapere-di-salvezza.
- Il sapere metafisico, che pone l’uomo in rapporto con la verità e i valori. E’ il sapere «formativo».
- Il sapere tecnico, che permette all’uomo l’utilizzazione della natura e il dominio su di essa.
Ma lo studio del condizionamento sociale del sapere non proibisce a Scheler di analizzare i legami interfunzionali tra le diverse forme di sapere: teologico, metafisico e scientifico. E certamente di grande interesse è l’esame che conduce sul rapporto tra il monoteismo giudaico-cristiano e la scienza.
La religione non ha nulla da temere dalla scienza. Una religione può entrare in contrasto solo con un’altra religione o con una metafisica, ma non con la scienza. E tuttavia, gli ambiti della conoscenza umana debbono perdere il loro carattere sacrale per poter venire investigati scientificamente. Leggiamo in Sociologia del sapere:
«Finché la natura è colma per un dato gruppo, di forze personali e volontarie, divine e demoniache, essa è esattamente "tabù" per la scienza. Chi considera le stelle come divinità visibili, non è ancora maturo per un’astronomia scientifica».
Il monoteismo creazionistico giudaico-cristiano e la sua vittoria sulla religione e sulla metafisica del mondo antico fu senza dubbio la prima possibilità per porre in libertà la ricerca sistematica della natura. Fu un mettere in libertà la natura per la scienza in ordine di grandezza che forse oltrepassa tutto ciò che fino a oggi è accaduto in occidente. Il Dio spirituale di volontà e di lavoro, il Creatore, che nessun greco e nessun romano, nessun Platone e Aristotele conobbe, è stato la maggior santificazione dell’idea del lavoro e del dominio sopra le cose infraumane; e nel medesimo tempo operò la più grande disanimazione, mortificazione, distanziazione e razionalizzazione della natura, che abbia mai avuto luogo, in rapporto alle culture asiatiche e all’antichità.
L’idea che il creazionismo giudaico-cristiano abbia abbattuto, cioè resa morta la natura, e con ciò abbia preparato quest’ultima all’investigazione scientifica, è una concezione presa sempre più in considerazione. Come è assoluta l’altra idea di Scheler per cui il marxismo, che tanta lotta ha fatto contro il pensiero ideologico, è esso stesso ideologia. Se la classe borghese ha i suoi «modi di pensare formali determinati dalla classe», la stessa cosa vale per la classe dei proletari. Dovunque c’è interesse di classe, là vi è anche ideologia. Certo il sociologo della conoscenza «non può dirsi marxista ». Ma questo non implica che si debbano accettare gli elementi mitici e mistici del marxismo.