Dilthey
Con Dilthey, fondatore dello "storicismo tedesco contemporaneo", il problema regionale dell'interpretazione dei testi si inserisce nel più vasto campo della conoscenza storica. Il testo che deve essere fatto oggetto di interpretazione è la realtà stessa e la sua concatenazione. Alla domanda sul come interpretare un testo del passato si fa precedere quella riguardante il modo di concepire la concatenazione storica. La connessione testuale è scavata dalla connessione storica intesa come la più fondamentale espressione della vita e il maggior documento riguardante l'uomo. Dilthey è innanzitutto l'interprete di questo patto tra ermeneutica e storia.Egli matura nella seconda metà dell'Ottocento, in età ormai positivistica, in un ambiente però in cui si era sviluppata grandemente, già dalla fine del Settecento, soprattutto in Germania, una scuola storica (Mommsen, Burckhardt, Ranke). Dell'impostazione hegeliana della storia come storia dello spirito era passato alla cultura tedesca l'interesse per la storia, svincolato però dalla tesi della razionalità del suo processo (Nietzsche nella II inattuale criticherà la "coscienza storica" nel suo rapporto con la vita, attaccando l'idea che ci si comprenda soltanto collocandosi all'interno di un divenire storico, perché ciò significherebbe che tutto ciò che precede condiziona e determina quello che si è ora).
Dilthey vive nell'ambito di questa diffusa coscienza storica in cui confluiscono l'eredità sia di Schleiermacher che di Hegel e si occupa di entrambi. Si trova in un'epoca in cui conta l'esperienza, l'empiricità del positivismo, ma vi è interesse anche per la filosofia precedente: il suo problema è quello di dare un fondamento alle scienze storiche. Bisogna realizzare un esame critico della ragione, non pura ma storica; bisogna assumersi un compito analogo a quello kantiano, non rispetto alla ragione, ma alla storia. Secondo lui però la tesi di Hegel, che afferma una relazione tra ragione e sviluppo storico, è dogmatica, perché comporta la pretesa di dedurre la storia da concetti a priori.
In quest'epoca, in reazione al positivismo, si sviluppano delle correnti filosofiche che tentano di recuperare l'originalità dell'esperienza umana: una di queste, il neocriticismo, o neokantismo, cerca di estendere la nozione kantiana di critica della ragione a tutti gli aspetti dell'esperienza. Dilthey si pone in parallelo al neocriticismo, ma con una differenza che secondo Gadamer rappresenta la sua grandezza: riconosce che l'oggetto della storia è diverso per principio da quello delle scienze naturali, è un'esperienza vivente in cui non si conosce un mondo esterno, ma una vita come la propria che non può essere oggettivata. Dunque anche il metodo storico sarà diverso rispetto a quello scientifico (cfr. la critica di Vico al cartesianesimo): egli distingue a questo proposito tra "comprendere" e "spiegare".Il "comprendere" è il modo di procedere delle scienze dello spirito (Geisteswissenschaften) ed è basato sulla comprensione del caso singolo nella sua storicità; lo "spiegare" è il modo di procedere delle scienze della natura (Naturwissenschaften) e si basa sulla spiegazione causale e sulla riconduzione del particolare sotto una legge universale (il problema metodologico che vi è alla base, ossia se l'esperienza umana possa essere affrontata con strumenti costruiti sul modello delle scienze o con strumenti pensati sulla base della storicità dell'uomo, è tutt'altro che assente anche oggi).Nel caso delle scienze umane ci si propone quindi di conoscere un'esperienza individuale: il problema sarà come ciò possa assumere un valore generale, oggettivo, universale, perché sempre di scienze si tratta.
Approfondiamo allora la questione. Dilthey - che critica il soggetto di Kant (e anche di Locke e di Hume), perché in esso, a suo modo di vedere, "non scorre sangue" - ricorre nella fondazione delle scienze umane ai concetti di esperienza vissuta (Erlebnis) e di vita (Erleben). L'esperienza vissuta è un'unità psichica elementare in cui l'atto del conoscere non è diverso dall'oggetto conosciuto. La vita è il fluire temporale ed in continuo movimento degli Erlebnisse ed è orientata all'enucleazione di stabili unità di significato, essendo caratterizzata dalla connessione dinamica di teoresi, volizione e sentimento (riguarda cioè la totalità del nostro essere).
La vita, cui tutti partecipiamo, è cioè caratterizzata da un ordine intenzionale e da una struttura caratterizzata da nessi interni reciproci (e non dal nesso di causa effetto, come avviene nelle scienze della natura).In questa prima fondazione delle scienze dello spirito (risalente in particolare all'opera Introduzione alle scienze dello spirito, 1883) Dilthey ricorre quindi al concetto di vita con il duplice compito di fondare razionalmente la conoscenza storica (ordine, struttura nella storia) e di riconoscere il carattere storico della ragione (vita). Ma proprio la nozione di vita posta al centro della comprensione della realtà umana conduce Dilthey, sulla scia di Schleiermacher, a individuare inizialmente nella psicologia l'organon delle scienze dello spirito. La comprensione è infatti rivolta all'individualità e la sua condizione di possibilità è in quella sorta di empatia che porta a "rivivere" il vissuto di una vita estranea a partire proprio dalle strutture costanti in cui si esprime la vita.
Diverse considerazioni portano il vecchio Dilthey (a partire proprio dal saggio Le origini dell'ermeneutica, 1900) a riconsiderare la propria impostazione psicologistica basata sulla certezza immediata dell'esperienza vissuta. Anzitutto una considerazione di carattere metodico secondo la quale la psicologia non può attingere un sapere immediato proprio perché ogni momento della vita sottoposto a osservazione - come si sostiene nella Critica della ragione storica - è "fissato mediante l'attenzione che conserva ciò che in sé fluisce". Non è quindi possibile di per sé penetrare con il sapere l'essenza della vita.La lettura delle Ricerche logiche di Husserl con la loro critica antipsicologistica lo spingono poi a considerare la nozione husserliana di significato come polo intenzionale della coscienza.Ma soprattutto egli si accorge che la precedente impostazione psicologista va ridimensionata nel momento in cui l'oggetto da comprendere non è più costituito dall'individualità di un tu, ma dalle produzioni storiche, ovvero da ciò che Hegel chiamava spirito oggettivo, all'interno del quale Dilthey include anche le manifestazioni culturali di arte, religione e filosofia.
Queste manifestazioni, a suo modo di vedere, sono segni che chiedono di essere compresi e interpretati: la comprensione è ora per Dilthey quel processo mediante il quale noi conosciamo un'interiorità proprio per mezzo di segni che ci sono dati dall'esterno (la vita cioè si esteriorizza nell'espressione e la comprensione è il percorso a ritroso, che intende tornare dall'esteriorità dell'espressione all'interiorità della vita). L'ermeneutica (e non è più la psicologia) si candida allora a diventare l'organon delle scienze dello spirito per la sua capacità di mediare tra le oggettualità tramandate (il dato storico) e la soggettività dell'autore, tra l'esterno dei segni e l'interno della soggettività che in essi si esprime: l'interpretazione è così l'incontro tra individualità e universalità, è un processo che contribuisce alla formazione di un terreno comune, di una intersoggettività, di una oggettività condivisa, che è l'essenza stessa della nozione hegeliana di spirito.
Dilthey si interroga così su come sia possibile conoscere un'esperienza che io non ho vissuto, ma che si presenta a me attraverso segni, tracce, espressioni. Il comprendere è infatti conoscere un'interiorità attraverso segni dati sensibilmente all'esterno. Bisogna dunque che l'esperienza passi dall'interno all'esterno: la vita umana si manifesta sempre attraverso segni, ad esempio artistici, culturali, ma solo nel linguaggio (e in particolare, per la sua stabilità, nello scritto) l'interiorità trova un'espressione totale, più compiuta. L'ermeneutica consisterà nel conoscere un'altra vita nella sua individualità, per quanto correlata a un contesto, attraverso le sue manifestazioni. Ma una vita che "elabora pensieri", che si manifesta e si esprime è da sempre come "spirito": il Leben è pensato come Geist (questo stesso cammino l'aveva compiuto già Hegel nei suoi scritti giovanili che proprio Dilthey trova e porta in luce).
Il tema hegeliano dello spirito oggettivo diventa dunque la questione centrale per Dilthey. Secondo Hegel si tratta di un grado del ritorno a sé dello spirito nel suo sviluppo razionale, ossia il grado massimo dello spirito finito prima di quello assoluto; il pensiero umano nella sua elaborazione adeguata, concettuale, può comprendere il senso complessivo di tale percorso. Dilthey ritiene che tutto ciò non sia accettabile perché lo spirito è invece vita che manifesta se stessa, non incarnazione del logos. Il concetto filosofico in Dilthey non ha dunque un significato di conoscenza, ma un significato espressivo: non coglie il ritmo razionale dello spirito, ma manifesta aspetti dell'esperienza storica.Arte, religione e filosofia sono anch'esse ricondotte allo spirito finito perché sono espressioni dello spirito umano, aspetti dell'esperienza umana: le manifestazioni della cultura non sono come in Hegel le forme in cui lo spirito conosce se stesso, ma rappresentano la vita in quanto spirito che manifesta, hanno un carattere espressivo, piuttosto che conoscitivo.
Un'ultima questione riguarda la coscienza storica che, nel confrontarsi con il passato dell'umanità, con l'universalità dello spirito, si pone il problema parallelo dell'universalità e obiettività del suo stesso sapere: Dilthey cerca di risolvere tale questione introducendo il metodo della "comparazione". Un fatto storico può essere compreso anche da altri che non l'hanno vissuto perché si può comparare con altri fatti di altre epoche. A questo proposito Troltsch (1865-1923) ha parlato criticamente del percorso diltheyano come di un cammino "dalla relatività alla totalità": a suo modo di vedere, infatti, Dilthey prima sostiene di non possedere il sapere assoluto di Hegel, ma se la storia è conoscenza dell'individuale, che è tale in quanto è una connessione, per conoscerlo devo poi compararlo, inserendolo quindi in contesto sempre più ampio che sfocia infine in una forma di sapere assoluto.
La critica rivolta a Dilthey verrà poi rivolta anche a Gadamer: dopo aver fatto dichiarazione di finitezza, legata a quel carattere di apertura al futuro che non si trovava in modo soddisfacente in Hegel, in Gadamer vi sarebbe comunque poi la tendenza a pretendere di conoscere tutto l'insieme dell'esperienza umana.Consideriamo infine più ampiamente i rilievi critici mossi a Dilthey da Gadamer che in Verità e Metodo parla di un suo cartesianismo o illuminismo non risolto: quella diltheyana sarebbe infatti una posizione non capace di superare ancora i limiti di Schleiermacher nel suo metodo ricostruttivo, incapace cioè di riconoscere la distanza storica come costitutiva. In Dilthey convivrebbero per Gadamer due tendenze: l'ermeneutica della vita, nell'idea per cui si conosce la vita passata perché anch'io ne faccio parte, e l'ideale di una conoscenza metodica e obiettiva.
In lui esisterebbe un rapporto intrinseco tra vita e sapere, in base al quale la vita tende a darsi un ordine, ma poi, per l'insicurezza e l'insondabilità della vita, Dilthey finirebbe col fare riferimento alla scienza opponendola alla vita.Su un piano generale, anche oltre la critica gadameriana, si può comunque sostenere che, nonostante la tematizzazione della storicità e dello spirito oggettivo come luogo in cui si storicizzano le espressioni della vita, la prospettiva diltheyana permane singolarmente antistorica. Ciò è collocato anzitutto con un mai abbandonato psicologismo, che fa da tramite fra Schleiermacher e Dilthey: comprendere l'espressione, interpretare lo spirito oggettivo, equivale a trasporsi in una vita passata, a penetrare uno psichismo estraneo, dunque ad abbattere la distanza temporale che ci separa da esso.La volontà di trasporsi in uno psichismo estraneo, obliando la propria situazione storica, cancella il senso più radicale della storicità e costituisce l'elemento più tipicamente antistorico dello storicismo.
Dilthey vive nell'ambito di questa diffusa coscienza storica in cui confluiscono l'eredità sia di Schleiermacher che di Hegel e si occupa di entrambi. Si trova in un'epoca in cui conta l'esperienza, l'empiricità del positivismo, ma vi è interesse anche per la filosofia precedente: il suo problema è quello di dare un fondamento alle scienze storiche. Bisogna realizzare un esame critico della ragione, non pura ma storica; bisogna assumersi un compito analogo a quello kantiano, non rispetto alla ragione, ma alla storia. Secondo lui però la tesi di Hegel, che afferma una relazione tra ragione e sviluppo storico, è dogmatica, perché comporta la pretesa di dedurre la storia da concetti a priori.
In quest'epoca, in reazione al positivismo, si sviluppano delle correnti filosofiche che tentano di recuperare l'originalità dell'esperienza umana: una di queste, il neocriticismo, o neokantismo, cerca di estendere la nozione kantiana di critica della ragione a tutti gli aspetti dell'esperienza. Dilthey si pone in parallelo al neocriticismo, ma con una differenza che secondo Gadamer rappresenta la sua grandezza: riconosce che l'oggetto della storia è diverso per principio da quello delle scienze naturali, è un'esperienza vivente in cui non si conosce un mondo esterno, ma una vita come la propria che non può essere oggettivata. Dunque anche il metodo storico sarà diverso rispetto a quello scientifico (cfr. la critica di Vico al cartesianesimo): egli distingue a questo proposito tra "comprendere" e "spiegare".Il "comprendere" è il modo di procedere delle scienze dello spirito (Geisteswissenschaften) ed è basato sulla comprensione del caso singolo nella sua storicità; lo "spiegare" è il modo di procedere delle scienze della natura (Naturwissenschaften) e si basa sulla spiegazione causale e sulla riconduzione del particolare sotto una legge universale (il problema metodologico che vi è alla base, ossia se l'esperienza umana possa essere affrontata con strumenti costruiti sul modello delle scienze o con strumenti pensati sulla base della storicità dell'uomo, è tutt'altro che assente anche oggi).Nel caso delle scienze umane ci si propone quindi di conoscere un'esperienza individuale: il problema sarà come ciò possa assumere un valore generale, oggettivo, universale, perché sempre di scienze si tratta.
Approfondiamo allora la questione. Dilthey - che critica il soggetto di Kant (e anche di Locke e di Hume), perché in esso, a suo modo di vedere, "non scorre sangue" - ricorre nella fondazione delle scienze umane ai concetti di esperienza vissuta (Erlebnis) e di vita (Erleben). L'esperienza vissuta è un'unità psichica elementare in cui l'atto del conoscere non è diverso dall'oggetto conosciuto. La vita è il fluire temporale ed in continuo movimento degli Erlebnisse ed è orientata all'enucleazione di stabili unità di significato, essendo caratterizzata dalla connessione dinamica di teoresi, volizione e sentimento (riguarda cioè la totalità del nostro essere).
La vita, cui tutti partecipiamo, è cioè caratterizzata da un ordine intenzionale e da una struttura caratterizzata da nessi interni reciproci (e non dal nesso di causa effetto, come avviene nelle scienze della natura).In questa prima fondazione delle scienze dello spirito (risalente in particolare all'opera Introduzione alle scienze dello spirito, 1883) Dilthey ricorre quindi al concetto di vita con il duplice compito di fondare razionalmente la conoscenza storica (ordine, struttura nella storia) e di riconoscere il carattere storico della ragione (vita). Ma proprio la nozione di vita posta al centro della comprensione della realtà umana conduce Dilthey, sulla scia di Schleiermacher, a individuare inizialmente nella psicologia l'organon delle scienze dello spirito. La comprensione è infatti rivolta all'individualità e la sua condizione di possibilità è in quella sorta di empatia che porta a "rivivere" il vissuto di una vita estranea a partire proprio dalle strutture costanti in cui si esprime la vita.
Diverse considerazioni portano il vecchio Dilthey (a partire proprio dal saggio Le origini dell'ermeneutica, 1900) a riconsiderare la propria impostazione psicologistica basata sulla certezza immediata dell'esperienza vissuta. Anzitutto una considerazione di carattere metodico secondo la quale la psicologia non può attingere un sapere immediato proprio perché ogni momento della vita sottoposto a osservazione - come si sostiene nella Critica della ragione storica - è "fissato mediante l'attenzione che conserva ciò che in sé fluisce". Non è quindi possibile di per sé penetrare con il sapere l'essenza della vita.La lettura delle Ricerche logiche di Husserl con la loro critica antipsicologistica lo spingono poi a considerare la nozione husserliana di significato come polo intenzionale della coscienza.Ma soprattutto egli si accorge che la precedente impostazione psicologista va ridimensionata nel momento in cui l'oggetto da comprendere non è più costituito dall'individualità di un tu, ma dalle produzioni storiche, ovvero da ciò che Hegel chiamava spirito oggettivo, all'interno del quale Dilthey include anche le manifestazioni culturali di arte, religione e filosofia.
Queste manifestazioni, a suo modo di vedere, sono segni che chiedono di essere compresi e interpretati: la comprensione è ora per Dilthey quel processo mediante il quale noi conosciamo un'interiorità proprio per mezzo di segni che ci sono dati dall'esterno (la vita cioè si esteriorizza nell'espressione e la comprensione è il percorso a ritroso, che intende tornare dall'esteriorità dell'espressione all'interiorità della vita). L'ermeneutica (e non è più la psicologia) si candida allora a diventare l'organon delle scienze dello spirito per la sua capacità di mediare tra le oggettualità tramandate (il dato storico) e la soggettività dell'autore, tra l'esterno dei segni e l'interno della soggettività che in essi si esprime: l'interpretazione è così l'incontro tra individualità e universalità, è un processo che contribuisce alla formazione di un terreno comune, di una intersoggettività, di una oggettività condivisa, che è l'essenza stessa della nozione hegeliana di spirito.
Dilthey si interroga così su come sia possibile conoscere un'esperienza che io non ho vissuto, ma che si presenta a me attraverso segni, tracce, espressioni. Il comprendere è infatti conoscere un'interiorità attraverso segni dati sensibilmente all'esterno. Bisogna dunque che l'esperienza passi dall'interno all'esterno: la vita umana si manifesta sempre attraverso segni, ad esempio artistici, culturali, ma solo nel linguaggio (e in particolare, per la sua stabilità, nello scritto) l'interiorità trova un'espressione totale, più compiuta. L'ermeneutica consisterà nel conoscere un'altra vita nella sua individualità, per quanto correlata a un contesto, attraverso le sue manifestazioni. Ma una vita che "elabora pensieri", che si manifesta e si esprime è da sempre come "spirito": il Leben è pensato come Geist (questo stesso cammino l'aveva compiuto già Hegel nei suoi scritti giovanili che proprio Dilthey trova e porta in luce).
Il tema hegeliano dello spirito oggettivo diventa dunque la questione centrale per Dilthey. Secondo Hegel si tratta di un grado del ritorno a sé dello spirito nel suo sviluppo razionale, ossia il grado massimo dello spirito finito prima di quello assoluto; il pensiero umano nella sua elaborazione adeguata, concettuale, può comprendere il senso complessivo di tale percorso. Dilthey ritiene che tutto ciò non sia accettabile perché lo spirito è invece vita che manifesta se stessa, non incarnazione del logos. Il concetto filosofico in Dilthey non ha dunque un significato di conoscenza, ma un significato espressivo: non coglie il ritmo razionale dello spirito, ma manifesta aspetti dell'esperienza storica.Arte, religione e filosofia sono anch'esse ricondotte allo spirito finito perché sono espressioni dello spirito umano, aspetti dell'esperienza umana: le manifestazioni della cultura non sono come in Hegel le forme in cui lo spirito conosce se stesso, ma rappresentano la vita in quanto spirito che manifesta, hanno un carattere espressivo, piuttosto che conoscitivo.
Un'ultima questione riguarda la coscienza storica che, nel confrontarsi con il passato dell'umanità, con l'universalità dello spirito, si pone il problema parallelo dell'universalità e obiettività del suo stesso sapere: Dilthey cerca di risolvere tale questione introducendo il metodo della "comparazione". Un fatto storico può essere compreso anche da altri che non l'hanno vissuto perché si può comparare con altri fatti di altre epoche. A questo proposito Troltsch (1865-1923) ha parlato criticamente del percorso diltheyano come di un cammino "dalla relatività alla totalità": a suo modo di vedere, infatti, Dilthey prima sostiene di non possedere il sapere assoluto di Hegel, ma se la storia è conoscenza dell'individuale, che è tale in quanto è una connessione, per conoscerlo devo poi compararlo, inserendolo quindi in contesto sempre più ampio che sfocia infine in una forma di sapere assoluto.
La critica rivolta a Dilthey verrà poi rivolta anche a Gadamer: dopo aver fatto dichiarazione di finitezza, legata a quel carattere di apertura al futuro che non si trovava in modo soddisfacente in Hegel, in Gadamer vi sarebbe comunque poi la tendenza a pretendere di conoscere tutto l'insieme dell'esperienza umana.Consideriamo infine più ampiamente i rilievi critici mossi a Dilthey da Gadamer che in Verità e Metodo parla di un suo cartesianismo o illuminismo non risolto: quella diltheyana sarebbe infatti una posizione non capace di superare ancora i limiti di Schleiermacher nel suo metodo ricostruttivo, incapace cioè di riconoscere la distanza storica come costitutiva. In Dilthey convivrebbero per Gadamer due tendenze: l'ermeneutica della vita, nell'idea per cui si conosce la vita passata perché anch'io ne faccio parte, e l'ideale di una conoscenza metodica e obiettiva.
In lui esisterebbe un rapporto intrinseco tra vita e sapere, in base al quale la vita tende a darsi un ordine, ma poi, per l'insicurezza e l'insondabilità della vita, Dilthey finirebbe col fare riferimento alla scienza opponendola alla vita.Su un piano generale, anche oltre la critica gadameriana, si può comunque sostenere che, nonostante la tematizzazione della storicità e dello spirito oggettivo come luogo in cui si storicizzano le espressioni della vita, la prospettiva diltheyana permane singolarmente antistorica. Ciò è collocato anzitutto con un mai abbandonato psicologismo, che fa da tramite fra Schleiermacher e Dilthey: comprendere l'espressione, interpretare lo spirito oggettivo, equivale a trasporsi in una vita passata, a penetrare uno psichismo estraneo, dunque ad abbattere la distanza temporale che ci separa da esso.La volontà di trasporsi in uno psichismo estraneo, obliando la propria situazione storica, cancella il senso più radicale della storicità e costituisce l'elemento più tipicamente antistorico dello storicismo.