Heidegger
Il presupposto dell'epistemologia delle scienze dello spirito di Dilthey, che cioè le scienze dello spirito possano competere con le scienze della natura mediante l'utilizzo di una metodologia loro propria, implica che l'ermeneutica sia una variante della teoria della conoscenza e che la polemica tra spiegare e comprendere possa essere mantenuta entro i termini di un confronto metodologico. Proprio il presupposto di un'ermeneutica intesa come epistemologia è stato messo in discussione da Heidegger. In lui assistiamo al tentativo di scavare oltre la ricerca epistemologica stessa per scoprirne le condizioni propriamente ontologiche.Si presenta con lui un nuovo interrogativo, dal momento che la domanda sul come si apprende viene sostituita dalla domanda sul modo di essere di questo essere che esiste solo comprendendo.
Heidegger (1889-1976) si forma all'inizio del Novecento alla scuola di Rickert, uno dei rappresentanti del neokantismo. Fin dall'inizio rivolge la sua attenzione alla concretezza del soggetto e alla sua storicità, considerando insufficiente a questo proposito l'idea kantiana di soggettività: dall'incontro con la fenomenologia di Husserl troverà modo di sviluppare quest'esigenza di tematizzazione della concretezza che si manifesterà anzitutto nell'opera del 1927, "Essere e tempo".Husserl era comunque ancora vicino a una prospettiva trascendentale propria del neokantismo, anche se in lui conviveva, a partire dall'idea dell'epoché, della sospensione dell'assenso, l'esigenza di tornare alla concretezza delle cose.Heidegger recepisce questi impulsi, cui si aggiunge l'interesse teologico sviluppato in particolare nel confronto di Paolo, Agostino e Kierkegaard: l'esperienza religiosa cristiana consente a suo avviso di accedere alla concretezza della vita, anche se è ostacolata in questo dal servirsi di strumenti troppo teorici - come la metafisica neoplatonica per Agostino o la logica hegeliana per Kierkegaard.
L'originalità di Heidegger consiste nell'estrema radicalità con cui pone il problema filosofico e che si esprime nella necessità di ripensare la nozione fondamentale posta alla sua radice, quella di "essere".Per condurre tale indagine appare centrale il ruolo di quell'ente che pone la domanda, che è l'essere umano, l'esserci: già da questo emerge l'ambivalenza della ricerca heideggeriana perché gran parte di Essere e tempo (opera che rimane incompiuta) è dedicata all'analisi dell'essere umano, dell'esistenza, venendo quindi letto come una forma di esistenzialismo; a ciò egli reagirà, sottolineando come il problema centrale sia quello dell'essere.
Occorre anzitutto osservare secondo Heidegger il modo in cui la metafisica ha concepito l'essere: essa è sempre partita dall'essere delle cose, dagli oggetti del mondo pensati come "presenti" (vorhanden). La metafisica ha dunque privilegiato una dimensione del tempo, ossia il presente, pensando tutto l'essere solo in questa forma e dimenticando le altre forme nel loro intreccio. Il problema è dunque che l'essere è stato oggettivato in quest'unica dimensione: possiamo dunque pensare che l'indagine sull'essere abbia come termine assolutamente privilegiato e decisivo la domanda sul tempo.Fin dall'inizio emerge la radicalità della prospettiva heideggeriana: se il soggetto kantiano, l'io penso, nella sua struttura a priori è ancora immutabile (secondo una linea che farebbe pensare su questo punto a una derivazione di Kant e del neokantismo dal platonismo, anche se rovesciato dal lato dell'oggetto a quello del soggetto), Heidegger muoverà a questo una critica imparentata con la filosofia della vita dell'epoca, ponendo però la domanda in un senso radicale e cercando di affrontare l'intera questione su un piano rigoroso, rispetto all'irrazionalismo spesso presente in quella corrente di pensiero.
L'indagine si concentra sull'essere umano e parte da ciò che si dà "innanzitutto e per lo più", che è più comune, per non privilegiare preventivamente alcun aspetto dell'esperienza umana. Ciò che l'indagine fenomenologica mette anzitutto in luce è che non possiamo pensare l'essere umano come un oggetto, ma emerge una dimensione di possibilità, di poter essere propria dell'umano. L'uomo è un essere che progetta e nello stesso tempo è situato: Heidegger esprime ciò, dicendo che l'esserci è un "progetto gettato". Nella terminologia heideggeriana l'esserci "esiste", nel senso latino di exsistere come "andare fuori da", determinazione che gli permette di recuperare anche una nozione di "trascendenza", nel senso dell'andare oltre la situazione presente: questo è il Dasein, l'esserci.L'uomo ha la struttura dell'esserci, ossia è quell'ente che si rapporta sempre a se stesso e in questa maniera si comprende nel suo essere. Heidegger sostiene che "per questo ente, nel suo essere, ne va di questo essere stesso": l'essere è cioè è sempre in gioco per l'esserci umano, che si tiene in rapporto al suo essere (esistenza) in quanto può essere (è poter essere) progettandosi e scegliendosi in base a delle possibilità di essere. L'esserci (la cui essenza è esistenza), come rapporto all'essere, è luogo in cui l'essere si annuncia.
Si è così trovato un termine alternativo a "uomo", essendo quest'ultimo carico dell'eredità della metafisica: si tratta di un essere che è posto in un punto, è situato in un mondo, è un "essere nel mondo". Nel modello della metafisica ciò era pensato in termini oggettivi: c'è un mondo di oggetti e l'uomo è un ente che si muove in un mondo che è già presente. Heidegger compie un passo ulteriore, alternativo alla distinzione, proposta dalla metafisica moderna da Cartesio in poi, tra soggetto e oggetto: sviluppando un'indagine fenomenologica dell'esperienza dell'esserci dobbiamo rilevare che ciò che sta nel mondo non lo incontriamo primariamente come un oggetto in sé, ma ha innanzitutto il carattere dello strumento che utilizziamo.
L'uomo oggettiva gli enti, ma il fine è del tutto funzionale all'utilizzazione di questi come strumenti: essi sono "utilizzabili" (zuhanden), enti a disposizione in senso pragmatico, operativo. Il mondo è un insieme di strumenti, è il termine di riferimento di quel progetto che l'esserci stesso è. Già qui è presente una certa circolarità che troverà espressione nella forma del circolo ermeneutico come circolo ontologico: abbiamo definito l'esserci come "essere nel mondo", ma il mondo come totalità di strumenti è il riferimento del suo progetto fondamentale. Ci sono però strumenti che non servono a un utilizzo immediato, bensì a orientarci nel mondo e questi sono i segni, che ci permettono di muoverci tra gli strumenti, di coglierne e articolarne i significati cui rimandano.Lo strumento come tale cioè non è fatto per manifestare i rimandi; esso è fatto per un certo impiego e non per fornire tutte le informazioni. Il segno invece è un utilizzabile in cui il rimando, nel senso informativo, è costitutivo e non accidentale.
I segni sono per certi versi le istruzioni per l'uso degli strumenti. A una totalità di strumenti corrisponde una totalità di significati, proprio perché le cose si danno all'esserci già sempre fornite di una funzione, cioè di un significato e gli possono apparire come cose proprio solo in quanto si inseriscono in una totalità di significati di cui egli già dispone. Insomma, il mondo ci dà solo in quanto già da sempre abbiamo un patrimonio di idee, certe precomprensioni che ci guidano alla scoperta delle cose.
Dopo l'indagine riguardante l'esserci come essere nel mondo segue l'analisi delle strutture dell'esistenza, ossia degli "esistenziali". Se "l'esistentivo" riguarda la vita concreta (il problema dell'esistenza come si pone nell'interno dell'esistenza stessa), l'esistenziale riguarda la struttura dell'esistenza (il problema dell'esistenza che si pone a livello riflesso: il problema sull'esistenza) secondo una prospettiva corrispondente alle categorie aristoteliche o a quelle kantiane fondata però sul concetto di possibilità. Questo è anche l'aspetto per cui l'indagine di Essere e tempo è stata intesa come ancora trascendentale, anche se poi la prosecuzione della sua riflessione porterà Heidegger lontano da una tale prospettiva.Gli esistenziali di cui ci occupiamo sono fondamentalmente due: la "tonalità emotiva (Befindlichkeit) e la "comprensione (Verstehen).Il primo riguarda il fatto che noi siamo sempre radicati in una certa situazione affettiva, individuale per ciascuno, concreta (è il sentimento che accompagna l'uomo nella sua esistenza, il modo originario di trovarsi e sentirsi nel mondo, il fatto che il mondo ci appaia sempre originariamente alla luce di una certa disposizione emotiva: gioia, paura, disinteresse, angoscia o noia).
La comprensione è ciò che secondo cui si articola il nostro progetto, ciò che porta alla "visione", all'attenzione gli strumenti del mondo (è il nostro poter essere, la nostra capacità di saperci orientare nel mondo). E qui si situa la tematica ermeneutica perché la nostra comprensione è già sempre una pre-comprensione, dal momento che siamo già radicati in una qualche situazione, non siamo un puro "occhio del mondo", proprio perché il mondo ci ha già fornito modalità specifiche di relazione differenti per ciascuno.Noi siamo dunque un progetto gettato sempre connotato da una certa tonalità emotiva e articolato in una comprensione (con il suo seguito - come vedremo - di interpretazione, asserzione, discorso). Essenziale diventa in questo contesto il tema della "gettatezza": siamo collocati sempre in un certo punto e abbiamo certe possibilità, ma le ragioni di ciò non sono qualcosa che possiamo esaurire nel loro significato.
In questo ci si oppone alla prospettiva hegeliana di un percorso storico razionale che può essere conosciuto nella sua articolazione complessiva: Heidegger sottolinea invece la finitezza, la concretezza dell'uomo, tema trascurato dal pensiero metafisico.Per completare il nostro discorso sul progetto che è in rapporto alla comprensione dobbiamo fare cenno alla sua appropriazione, al farlo proprio. Per Heidegger noi siamo nel mondo (con altri esserci) anzitutto e per lo più in una condizione di "medietà", all'interno di una serie di opinioni, convinzioni che circolano e che facciamo nostre e che costituiscono ciò che "si" pensa, "si" dice, "si" fa: questo è il tema del "si" (man).
Heidegger assume una posizione critica rispetto a tutto ciò e considera la sfera pubblica in termini svalutativi: si tratta infatti del modo dell'esistenza "inautentica"La seconda sezione di Essere e tempo analizza proprio, tra l'altro, la distinzione tra "autentico" (eigentlich) e "inautentico" (uneigentlich): occorre infatti appropriarsi della propria esistenza e dunque bisognerà chiedersi come il progetto può diventare davvero proprio. Il passaggio a questo avviene attraverso l'indagine sulla struttura temporale dell'esserci e sul tema della morte.Per Heidegger è fondamentale la morte come possibilità per me, non come fatto empirico: la morte è la possibilità dell'impossibilità dell'esistenza, è dunque una dimensione che per l'esserci è sempre presente come possibilità, che mette in questione ogni altra possibilità, che ci dimostra fino in fondo la nostra finitezza. Cogliere questo significa appropriarsi della dimensione più propria dell'esserci che si esprime nell'essere-per-la-morte come appropriazione del carattere finito dei propri progetti.E' un'anticipazione di sé, una decisione anticipatrice, che consente di giungere alla dimensione autentica dell'esserci.
Approfondiamo ora l'analisi dei paragrafi 31-34 di Essere e tempo, quelli che riguardano direttamente la prospettiva ermeneutica heideggeriana.In Heidegger abbiamo una svolta fondamentale - sottolineata anche da Gadamer - a proposito della nozione di comprensione: in Schleiermacher e Dilthey il comprendere era legato al problema del modo di cogliere l'individualità e indicava un procedimento, un metodo, mentre in Heidegger rappresenta un carattere ontologico dell'esserci, assume una portata ontologica (cfr. §31) e solo a un livello derivato si ha l'opposizione comprendere-spiegare in senso metodologico.La comprensione si articola poi nell'interpretazione, l'asserzione è invece un metodo riduttivo dell'interpretazione perché si esprime nei termini della semplice-presenza, mentre il discorso è il livello comunicativo della comprensione e si esprime nel linguaggio.
Heidegger (1889-1976) si forma all'inizio del Novecento alla scuola di Rickert, uno dei rappresentanti del neokantismo. Fin dall'inizio rivolge la sua attenzione alla concretezza del soggetto e alla sua storicità, considerando insufficiente a questo proposito l'idea kantiana di soggettività: dall'incontro con la fenomenologia di Husserl troverà modo di sviluppare quest'esigenza di tematizzazione della concretezza che si manifesterà anzitutto nell'opera del 1927, "Essere e tempo".Husserl era comunque ancora vicino a una prospettiva trascendentale propria del neokantismo, anche se in lui conviveva, a partire dall'idea dell'epoché, della sospensione dell'assenso, l'esigenza di tornare alla concretezza delle cose.Heidegger recepisce questi impulsi, cui si aggiunge l'interesse teologico sviluppato in particolare nel confronto di Paolo, Agostino e Kierkegaard: l'esperienza religiosa cristiana consente a suo avviso di accedere alla concretezza della vita, anche se è ostacolata in questo dal servirsi di strumenti troppo teorici - come la metafisica neoplatonica per Agostino o la logica hegeliana per Kierkegaard.
L'originalità di Heidegger consiste nell'estrema radicalità con cui pone il problema filosofico e che si esprime nella necessità di ripensare la nozione fondamentale posta alla sua radice, quella di "essere".Per condurre tale indagine appare centrale il ruolo di quell'ente che pone la domanda, che è l'essere umano, l'esserci: già da questo emerge l'ambivalenza della ricerca heideggeriana perché gran parte di Essere e tempo (opera che rimane incompiuta) è dedicata all'analisi dell'essere umano, dell'esistenza, venendo quindi letto come una forma di esistenzialismo; a ciò egli reagirà, sottolineando come il problema centrale sia quello dell'essere.
Occorre anzitutto osservare secondo Heidegger il modo in cui la metafisica ha concepito l'essere: essa è sempre partita dall'essere delle cose, dagli oggetti del mondo pensati come "presenti" (vorhanden). La metafisica ha dunque privilegiato una dimensione del tempo, ossia il presente, pensando tutto l'essere solo in questa forma e dimenticando le altre forme nel loro intreccio. Il problema è dunque che l'essere è stato oggettivato in quest'unica dimensione: possiamo dunque pensare che l'indagine sull'essere abbia come termine assolutamente privilegiato e decisivo la domanda sul tempo.Fin dall'inizio emerge la radicalità della prospettiva heideggeriana: se il soggetto kantiano, l'io penso, nella sua struttura a priori è ancora immutabile (secondo una linea che farebbe pensare su questo punto a una derivazione di Kant e del neokantismo dal platonismo, anche se rovesciato dal lato dell'oggetto a quello del soggetto), Heidegger muoverà a questo una critica imparentata con la filosofia della vita dell'epoca, ponendo però la domanda in un senso radicale e cercando di affrontare l'intera questione su un piano rigoroso, rispetto all'irrazionalismo spesso presente in quella corrente di pensiero.
L'indagine si concentra sull'essere umano e parte da ciò che si dà "innanzitutto e per lo più", che è più comune, per non privilegiare preventivamente alcun aspetto dell'esperienza umana. Ciò che l'indagine fenomenologica mette anzitutto in luce è che non possiamo pensare l'essere umano come un oggetto, ma emerge una dimensione di possibilità, di poter essere propria dell'umano. L'uomo è un essere che progetta e nello stesso tempo è situato: Heidegger esprime ciò, dicendo che l'esserci è un "progetto gettato". Nella terminologia heideggeriana l'esserci "esiste", nel senso latino di exsistere come "andare fuori da", determinazione che gli permette di recuperare anche una nozione di "trascendenza", nel senso dell'andare oltre la situazione presente: questo è il Dasein, l'esserci.L'uomo ha la struttura dell'esserci, ossia è quell'ente che si rapporta sempre a se stesso e in questa maniera si comprende nel suo essere. Heidegger sostiene che "per questo ente, nel suo essere, ne va di questo essere stesso": l'essere è cioè è sempre in gioco per l'esserci umano, che si tiene in rapporto al suo essere (esistenza) in quanto può essere (è poter essere) progettandosi e scegliendosi in base a delle possibilità di essere. L'esserci (la cui essenza è esistenza), come rapporto all'essere, è luogo in cui l'essere si annuncia.
Si è così trovato un termine alternativo a "uomo", essendo quest'ultimo carico dell'eredità della metafisica: si tratta di un essere che è posto in un punto, è situato in un mondo, è un "essere nel mondo". Nel modello della metafisica ciò era pensato in termini oggettivi: c'è un mondo di oggetti e l'uomo è un ente che si muove in un mondo che è già presente. Heidegger compie un passo ulteriore, alternativo alla distinzione, proposta dalla metafisica moderna da Cartesio in poi, tra soggetto e oggetto: sviluppando un'indagine fenomenologica dell'esperienza dell'esserci dobbiamo rilevare che ciò che sta nel mondo non lo incontriamo primariamente come un oggetto in sé, ma ha innanzitutto il carattere dello strumento che utilizziamo.
L'uomo oggettiva gli enti, ma il fine è del tutto funzionale all'utilizzazione di questi come strumenti: essi sono "utilizzabili" (zuhanden), enti a disposizione in senso pragmatico, operativo. Il mondo è un insieme di strumenti, è il termine di riferimento di quel progetto che l'esserci stesso è. Già qui è presente una certa circolarità che troverà espressione nella forma del circolo ermeneutico come circolo ontologico: abbiamo definito l'esserci come "essere nel mondo", ma il mondo come totalità di strumenti è il riferimento del suo progetto fondamentale. Ci sono però strumenti che non servono a un utilizzo immediato, bensì a orientarci nel mondo e questi sono i segni, che ci permettono di muoverci tra gli strumenti, di coglierne e articolarne i significati cui rimandano.Lo strumento come tale cioè non è fatto per manifestare i rimandi; esso è fatto per un certo impiego e non per fornire tutte le informazioni. Il segno invece è un utilizzabile in cui il rimando, nel senso informativo, è costitutivo e non accidentale.
I segni sono per certi versi le istruzioni per l'uso degli strumenti. A una totalità di strumenti corrisponde una totalità di significati, proprio perché le cose si danno all'esserci già sempre fornite di una funzione, cioè di un significato e gli possono apparire come cose proprio solo in quanto si inseriscono in una totalità di significati di cui egli già dispone. Insomma, il mondo ci dà solo in quanto già da sempre abbiamo un patrimonio di idee, certe precomprensioni che ci guidano alla scoperta delle cose.
Dopo l'indagine riguardante l'esserci come essere nel mondo segue l'analisi delle strutture dell'esistenza, ossia degli "esistenziali". Se "l'esistentivo" riguarda la vita concreta (il problema dell'esistenza come si pone nell'interno dell'esistenza stessa), l'esistenziale riguarda la struttura dell'esistenza (il problema dell'esistenza che si pone a livello riflesso: il problema sull'esistenza) secondo una prospettiva corrispondente alle categorie aristoteliche o a quelle kantiane fondata però sul concetto di possibilità. Questo è anche l'aspetto per cui l'indagine di Essere e tempo è stata intesa come ancora trascendentale, anche se poi la prosecuzione della sua riflessione porterà Heidegger lontano da una tale prospettiva.Gli esistenziali di cui ci occupiamo sono fondamentalmente due: la "tonalità emotiva (Befindlichkeit) e la "comprensione (Verstehen).Il primo riguarda il fatto che noi siamo sempre radicati in una certa situazione affettiva, individuale per ciascuno, concreta (è il sentimento che accompagna l'uomo nella sua esistenza, il modo originario di trovarsi e sentirsi nel mondo, il fatto che il mondo ci appaia sempre originariamente alla luce di una certa disposizione emotiva: gioia, paura, disinteresse, angoscia o noia).
La comprensione è ciò che secondo cui si articola il nostro progetto, ciò che porta alla "visione", all'attenzione gli strumenti del mondo (è il nostro poter essere, la nostra capacità di saperci orientare nel mondo). E qui si situa la tematica ermeneutica perché la nostra comprensione è già sempre una pre-comprensione, dal momento che siamo già radicati in una qualche situazione, non siamo un puro "occhio del mondo", proprio perché il mondo ci ha già fornito modalità specifiche di relazione differenti per ciascuno.Noi siamo dunque un progetto gettato sempre connotato da una certa tonalità emotiva e articolato in una comprensione (con il suo seguito - come vedremo - di interpretazione, asserzione, discorso). Essenziale diventa in questo contesto il tema della "gettatezza": siamo collocati sempre in un certo punto e abbiamo certe possibilità, ma le ragioni di ciò non sono qualcosa che possiamo esaurire nel loro significato.
In questo ci si oppone alla prospettiva hegeliana di un percorso storico razionale che può essere conosciuto nella sua articolazione complessiva: Heidegger sottolinea invece la finitezza, la concretezza dell'uomo, tema trascurato dal pensiero metafisico.Per completare il nostro discorso sul progetto che è in rapporto alla comprensione dobbiamo fare cenno alla sua appropriazione, al farlo proprio. Per Heidegger noi siamo nel mondo (con altri esserci) anzitutto e per lo più in una condizione di "medietà", all'interno di una serie di opinioni, convinzioni che circolano e che facciamo nostre e che costituiscono ciò che "si" pensa, "si" dice, "si" fa: questo è il tema del "si" (man).
Heidegger assume una posizione critica rispetto a tutto ciò e considera la sfera pubblica in termini svalutativi: si tratta infatti del modo dell'esistenza "inautentica"La seconda sezione di Essere e tempo analizza proprio, tra l'altro, la distinzione tra "autentico" (eigentlich) e "inautentico" (uneigentlich): occorre infatti appropriarsi della propria esistenza e dunque bisognerà chiedersi come il progetto può diventare davvero proprio. Il passaggio a questo avviene attraverso l'indagine sulla struttura temporale dell'esserci e sul tema della morte.Per Heidegger è fondamentale la morte come possibilità per me, non come fatto empirico: la morte è la possibilità dell'impossibilità dell'esistenza, è dunque una dimensione che per l'esserci è sempre presente come possibilità, che mette in questione ogni altra possibilità, che ci dimostra fino in fondo la nostra finitezza. Cogliere questo significa appropriarsi della dimensione più propria dell'esserci che si esprime nell'essere-per-la-morte come appropriazione del carattere finito dei propri progetti.E' un'anticipazione di sé, una decisione anticipatrice, che consente di giungere alla dimensione autentica dell'esserci.
Approfondiamo ora l'analisi dei paragrafi 31-34 di Essere e tempo, quelli che riguardano direttamente la prospettiva ermeneutica heideggeriana.In Heidegger abbiamo una svolta fondamentale - sottolineata anche da Gadamer - a proposito della nozione di comprensione: in Schleiermacher e Dilthey il comprendere era legato al problema del modo di cogliere l'individualità e indicava un procedimento, un metodo, mentre in Heidegger rappresenta un carattere ontologico dell'esserci, assume una portata ontologica (cfr. §31) e solo a un livello derivato si ha l'opposizione comprendere-spiegare in senso metodologico.La comprensione si articola poi nell'interpretazione, l'asserzione è invece un metodo riduttivo dell'interpretazione perché si esprime nei termini della semplice-presenza, mentre il discorso è il livello comunicativo della comprensione e si esprime nel linguaggio.
Il §31 cerca di dimostrare che la comprensione è il modo di rivolgersi al mondo proprio di un ente che è un progetto gettato sempre "aperto" al mondo come esser-possibile e non come semplice-presenza: la comprensione articola il poter-essere nella sua relazione con il mondo. La possibilità è la determinazione essenziale dell'esserci a livello ontologico: siamo sempre nella possibilità. La comprensione è l'essere esistenziale del poter-essere proprio dell'esserci: l'esserci è un poter-essere che si articola come comprensione. La comprensione ha la struttura del progetto come apertura totale dell'essere-nel-mondo.Verso la fine del paragrafo Heidegger introduce la nozione di "visione" (Sicht, mentre Umsicht significa "visione ambientale preveggente") come carattere generale di ogni senso, senza pertanto privilegiare l'intuizione come avviene in Husserl: il vedere quale "lasciar-venire all'essere l'ente" è un aspetto della comprensione.
Nel §32 ("Comprensione e interpretazione Auslegung) Heidegger tematizza l'interpretazione come articolazione del comprendere e si sofferma sui termini "per", che indica il fine cui ogni ente come strumento è preposto e che appare anzitutto all'esserci, e "in quanto", quale carattere dell'interpretazione che qualifica già l'ente compreso all'interno del mio progetto. Se l'orientamento di tutta la tradizione filosofica è stato quello di considerare prima l'ente come tale e poi di inserirlo in una relazione con l'uomo, per Heidegger è il contrario: l'esserci è un ente che radicalmente incontra il mondo all'interno di una ricerca progettuale. Non cogliamo prima l'ente e poi aggiungiamo un significato.Qui emerge l'aspetto ontologico della comprensione: noi ci rapportiamo sempre a partire da una precomprensione (come "predisponibilità", "previsione" e "precognizione" degli enti).
Su questa base l'interpretazione presenta un ente "in quanto" tale attraverso una concettualità che non costituisce una strumentazione neutra, ma è già il modo in cui l'interpretazione elabora ciò che viene compreso. Si aggiunge poi, verso la fine del paragrafo, la nozione di "senso" come contesto in cui emergono i diversi enti: solo l'esserci ha dunque senso, perché questo è una determinazione del progetto dell'esserci. Heidegger si interroga quindi sulla portata di quest'impostazione: tutta la struttura dell'esserci si muove in un circolo, quello del "pre-", per cui si ha accesso agli enti del mondo solo a partire da una pre-comprensione.Da questo circolo non si può uscire e allora occorre starvi dentro nel modo giusto, non facendosi imporre la pre-comprensione del caso o dal "si", ma dalle cose stesse (aus den Sachen selbst). Abbiamo riconfermato il circolo ermeneutico, portandolo al livello di struttura ontologica dell'esistenza umana: abbiamo accesso al mondo solo sulla base di un certo atteggiamento.Fondamentale per l'ermeneutica non è la pretesa di una conoscenza pura, ma di una conoscenza che sappia di non essere tale e nonostante questo sia in grado di confrontare la propria comprensione con le "cose" che non incontriamo però al di fuori di tale comprensione.
Se la comprensione trova nell'interpretazione un'articolazione, l'interpretazione trova nell'asserzione (Aussage) una restrizione (§33): è un tema che ha una venatura polemica in Heidegger, perché è riconducibile alla critica che egli muove alla metafisica della semplice-presenza. L'asserzione, che si mostra nel giudizio (Urteil), non va negata, ma ridimensionata. Egli ritorna all'inizio dell'ontologia antica dove l'asserzione, il logos, è considerato il luogo della verità. L'asserzione ha tre aspetti: manifestazione (apophansis, discorso apofantico), predicazione (determinazione del soggetto attraverso un predicato), comunicazione (manifestazione determinata dell'ente nell'ambito del con-essere, del Mitsein).
L' asserzione si radica nell'interpretazione: il punto fondamentale consiste nel fatto che l'asserzione restringe l'interpretazione alla considerazione della semplice-presenza. Se l'ente utilizzato è considerato nella sua valenza esistenziale di utilizzabile, l'asserzione lo isola dal contesto, il "con che" diventa "intorno-a-che".Questa è la modalità con cui scienza e tecnica si rapportano al mondo, in quanto derivate dalla metafisica della presenza che, già nella sua origine platonica, oblìa la differenza ontologica a vantaggio dell'ente presente. Questo orientamento complessivo porta a una considerazione del linguaggio come costituito di parole come semplici-presenze, come cose.
Nel §34 (L'esserci e il discorso Rede: il linguaggio Sprache) Heidegger si confronta con la riflessione filosofica sul linguaggio cercando la sua radice esistenziale. Il discorso, luogo proprio del linguaggio, è cooriginario alla situazione emotiva e alla comprensione: esso articola la comprensibilità del mondo emotivamente situata ed è legato al con-essere e dunque alla comunicazione intesa in senso ontologico. Non vi è il privilegio di un'esperienza privata e interiore, ma già la stessa situazione emotiva è connessa all'essere-con-altri: non si pensa e si esperisce prima interiormente qualcosa che poi si comunica all'esterno. Il linguaggio nella sua portata ontologica (inteso cioè come "casa dell'essere") sarà però soprattutto tema della fase successiva della riflessione heideggeriana. Più avanti, a proposito del sentire legato all'ascoltare, Heidegger osserva che si sente sempre un complesso, mai un suono singolo: sentiamo ciò che abbiamo già sempre pre-compreso e ciò vale anche per il discorso per cui non sentiamo semplicemente il suono delle parole, ma siamo già anticipatamente insieme con l'altro presso l'ente su cui verte il discorso.Anche il tacere, il silenzio, è legato al parlare. Il paragrafo si conclude con la definizione greca dell'uomo come zoon logon echon (animale che ha logos), che ha origine proprio dalla struttura discorsiva dell'esserci come ente capace dello scoprimento del mondo e di se stesso, mentre la successiva riduzione del discorso ad esserzione comporta il nascondimento dell'ampiezza di tale fenomeno.