Analitici secondi Analytikà hystera, sec. IV a.C.
Quarta opera dell’Organon aristotelico, divisa in due libri come gli Analitici primi, ne costituisce in qualche modo la continuazione poichè sviluppa la teoria del sillogismo in relazione agli specifici problemi posti dalla natura del sapere scientifico.
Nel primo libro la scienza è definita (cap.2) come la conoscenza assolutamente vera di un oggetto necessario, del quale è nota la causa. La scienza fa uso di un particolare procedimento sillogistico che prende il nome di dimostrazione. Affinchè il sapere prodotto dal sillogismo dimostrativo abbia carattere necessario, è indispensabile che le sue premesse siano vere, prime (ossia non bisognose di ulteriori dimostrazioni), immediate, più note della conclusione, cause di essa e anteriori a essa e, inoltre, che soddisfino tre requisiti fondamentali (cap.4): la determinazione che costituisce il predicato della premessa deve predicarsi di tutti i particolari compresi sotto il soggetto, senza eccezioni (la predicazione deve quindi essere katà pantos); essa deve inoltre avere con il soggetto una relazione essenziale (kat’ autò) e il soggetto deve essere quello più generale del quale la determinazione può essere predicata (kathòlou). Oltre alla correttezza formale del procedimento, la scienza implica dunque anche la verità delle premesse.
Le premesse del sillogismo dimostrativo sono dette principi della scienza: essi possono essere divisi in principi comuni a più scienze e principi propri di ognuna di esse (cap.10).
L’oggetto della dimostrazione deve essere, come si è detto, necessario e quindi eterno (capp. 6 e 8); lo Stagirita non è in effetti molto chiaro sulla possibilità di avere scienza di ciò che non soddisfa questa condizione, come gli eventi naturali che si verificano ciclicamente (per es. le eclissi) e quelli che non si verificano sempre ma solo nella maggioranza dei casi (cap. 30 e II, 12).
Il secondo libro dell’opera è dedicato quasi esclusivamente alla definizione, che è uno ei principi propri della dimostrazione; ogni scienza, infatti, deve procedere a definire il significato di una serie di termini che le sono peculiari. Per Aristotele la definizione è il “discorso che esprime l’essenza”: essa non è tanto la spiegazione del significato di una parola, quanto la determinazione dell’oggetto che questa designa; ai fini della definizione è necessario individuare il “genere prossimo” e la “differenza specifica”; così la definizione di uomo è “animale razionale”. In particolare, sono indagate le relazioni tra definizione e dimostrazione (capp. 3-10), riguardo alle quali le conclusioni aristoteliche sono piuttosto aporetiche, e i modi per trovare la definizione di un soggetto dato (cap.13). Nella ricerca delle definizioni le scienze ricorrono ad assiomi, ovvero proposizioni che risultano intuitivamente vere; tra gli assiomi, alcuni sono comuni a più scienze e altri a tutte: è il caso del principio di non contraddizione, del principio di identità e del principio del terzo escluso, che valgono per ogni ente in quanto tale. Nel complesso ultimo capitolo, che ha dato luogo a interpretazioni contrastanti, viene infine affrontato il problema della conoscenza dei principi universali dai quali il sillogismo ricava in modo deduttivo le verità particolari.
Aristotele afferma che tali principi possono essere individuati attraverso due processi: l’induzione, il procedimento con il quale dalla conoscenza sensibile di più casi particolari si giunge alla formazione di un concetto universale; l’intuizione, che grazie all’intervento di una facoltà superiore, il nous (l’intelletto intuitivo), è in grado di fornire dei principi una conoscenza immediata e non mediata come è quella dimostrativa. Ogni scienza deve assumere principi propri, ossia peculiari al genere su cui verte.
L’opera, conosciuta piuttosto tardi nell’Occidente latin (fu tradotta intorno al sec. XIII), ha avuto enorme importanza nella trasmissione alla cultura tardomedievale e poi moderna dell’idea aristotelica di scienza, ed è diventata un punto di partenza irrinunciabile in questo campo fino a Galileo.
Nel primo libro la scienza è definita (cap.2) come la conoscenza assolutamente vera di un oggetto necessario, del quale è nota la causa. La scienza fa uso di un particolare procedimento sillogistico che prende il nome di dimostrazione. Affinchè il sapere prodotto dal sillogismo dimostrativo abbia carattere necessario, è indispensabile che le sue premesse siano vere, prime (ossia non bisognose di ulteriori dimostrazioni), immediate, più note della conclusione, cause di essa e anteriori a essa e, inoltre, che soddisfino tre requisiti fondamentali (cap.4): la determinazione che costituisce il predicato della premessa deve predicarsi di tutti i particolari compresi sotto il soggetto, senza eccezioni (la predicazione deve quindi essere katà pantos); essa deve inoltre avere con il soggetto una relazione essenziale (kat’ autò) e il soggetto deve essere quello più generale del quale la determinazione può essere predicata (kathòlou). Oltre alla correttezza formale del procedimento, la scienza implica dunque anche la verità delle premesse.
Le premesse del sillogismo dimostrativo sono dette principi della scienza: essi possono essere divisi in principi comuni a più scienze e principi propri di ognuna di esse (cap.10).
L’oggetto della dimostrazione deve essere, come si è detto, necessario e quindi eterno (capp. 6 e 8); lo Stagirita non è in effetti molto chiaro sulla possibilità di avere scienza di ciò che non soddisfa questa condizione, come gli eventi naturali che si verificano ciclicamente (per es. le eclissi) e quelli che non si verificano sempre ma solo nella maggioranza dei casi (cap. 30 e II, 12).
Il secondo libro dell’opera è dedicato quasi esclusivamente alla definizione, che è uno ei principi propri della dimostrazione; ogni scienza, infatti, deve procedere a definire il significato di una serie di termini che le sono peculiari. Per Aristotele la definizione è il “discorso che esprime l’essenza”: essa non è tanto la spiegazione del significato di una parola, quanto la determinazione dell’oggetto che questa designa; ai fini della definizione è necessario individuare il “genere prossimo” e la “differenza specifica”; così la definizione di uomo è “animale razionale”. In particolare, sono indagate le relazioni tra definizione e dimostrazione (capp. 3-10), riguardo alle quali le conclusioni aristoteliche sono piuttosto aporetiche, e i modi per trovare la definizione di un soggetto dato (cap.13). Nella ricerca delle definizioni le scienze ricorrono ad assiomi, ovvero proposizioni che risultano intuitivamente vere; tra gli assiomi, alcuni sono comuni a più scienze e altri a tutte: è il caso del principio di non contraddizione, del principio di identità e del principio del terzo escluso, che valgono per ogni ente in quanto tale. Nel complesso ultimo capitolo, che ha dato luogo a interpretazioni contrastanti, viene infine affrontato il problema della conoscenza dei principi universali dai quali il sillogismo ricava in modo deduttivo le verità particolari.
Aristotele afferma che tali principi possono essere individuati attraverso due processi: l’induzione, il procedimento con il quale dalla conoscenza sensibile di più casi particolari si giunge alla formazione di un concetto universale; l’intuizione, che grazie all’intervento di una facoltà superiore, il nous (l’intelletto intuitivo), è in grado di fornire dei principi una conoscenza immediata e non mediata come è quella dimostrativa. Ogni scienza deve assumere principi propri, ossia peculiari al genere su cui verte.
L’opera, conosciuta piuttosto tardi nell’Occidente latin (fu tradotta intorno al sec. XIII), ha avuto enorme importanza nella trasmissione alla cultura tardomedievale e poi moderna dell’idea aristotelica di scienza, ed è diventata un punto di partenza irrinunciabile in questo campo fino a Galileo.