L’entusiasmo in filosofia
Termine che nella cultura greca indica uno stato interiore di particolare eccitazione dovuto alla presenza della divinità nell’uomo (da enthousiazo, sono invaso dal dio).
Platone, il primo a occuparsene diffusamente, ne distingue quattro tipi: l'entusiasmo generato da Apollo provoca il delirio profetico, Dioniso è autore del delirio mistico, le Muse sono artefici del delirio poetico, Afrodite e dEros di quello amoroso (Fedro, 265b e 249d). Su questa base Platone afferma che l'origine dei canti e poemi non sta nell'arte dei poeti, i quali possono cantare e poetare solo se "ispirati e invasati dalla divinità" (Ione, 533e): sul piano artistico, dunque, l'entusiasmo, cui si giunge solo attraverso una sospensione dell'intelletto, risulta essere il necessario complemento irrazionale del "fare" poetico, irrealizzabile coi soli strumenti dell'abilità tecnica.
Aristotele intende l'entusiasmo esclusivamente come passione morale dell'anima (Politica, VIII, 5); ma la tradizione neoplatonica riprende il termine nel suo senso etimologico e, adattandolo a strumento dell'estasi (Plotino, Enneadi, V, 6, cap.4), lo intende come atto conoscitivo totale elargito dalla fede (Porco, Teologia platonica, IV, cap.9).
La valenza estetica del concetto viene ribadita dall'anonimo autore dello scritto Del Sublime: un dio invade le anime nobili, dotandole di quel "soffio entusiastico" che è a fondamento dell'arte (VIII, 4); a Giordano Bruno, invece risale la distinzione tra entusiasmo religioso, consistente nell'essere posseduti dalla divinità, ed entusiasmo naturale o "fervore intellettuale" potenziamento del lume razionale necessario all'attività filosofica (Eroici furori, Dial.III).
Nei secc. VXII e XVIII la filosofia estende la propria indagine anche ai limiti della conoscenza, e l'entusiasmo viene criticato come indebito fondamento dell'assenso avente origine in "fantasie infondate del cervello" costituenti un ignis fatuus che abbaglia, ma non porta a effettiva conoscenza (J. Locke, Saggio, IV, cap.19). L'illuminismo porrà tale concetto in connessione col fanatismo inteso come "sensazione falsa della presenza divina" dal "nobile entusiasmo" creativo, dote di oratori, artisti e filosofi, similmente, per Voltaire "l'entusiasmo si accompagna soprattutto alla religiosità malintesa" ed è giustificabile solo "quell'entusiasmo ragionevole" che è privilegio dei poeti (Dizionario filosofico, 1765, alla voce "entusiasmo"), mentre Diderot lo ritiene inutile sia in campo estetico, sia in campo morale (Il paradosso sull'attore, 1773).
Anche Kant è da annoverarsi fra i pensatori che ridimensionano in senso strettamente umano l'entusiasmo; ne esclude infatti ogni relazione col divino, e lo definisce come "la condizione di un animo eccitato oltre la misura conveniente" (Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, cap. IV, nota 7), fissando così il significato che il termine assumerà nel linguaggio comune contemporaneo. Ancora settecentesco è lo studio di S. Bettinelli Dell'entusiasmo nelle belle arti (1769), che tuttavia non apporta sostanziali innovazioni di senso rispetto alla tradizione. I romantici riprenderanno il concetto, ma il suo significato è ormai acquisito e F. Schlegel, al parti di Shaftesbury, ritiene che l'entusiasmo debba essere temperato dall'ironia, assunta in funzione critica (Frammenti critici, 1797).
Nel nostro secolo la nozione è utilizzata da K. Jaspers, il quale ne dà una valutazione positiva, intendendolo come sentimento della totalità del mondo (Psicologia delle visioni del mondo, I, 1919).
Bibliografia:
Le garzantine, l'Universale
Dizionario filosofico
Platone, il primo a occuparsene diffusamente, ne distingue quattro tipi: l'entusiasmo generato da Apollo provoca il delirio profetico, Dioniso è autore del delirio mistico, le Muse sono artefici del delirio poetico, Afrodite e dEros di quello amoroso (Fedro, 265b e 249d). Su questa base Platone afferma che l'origine dei canti e poemi non sta nell'arte dei poeti, i quali possono cantare e poetare solo se "ispirati e invasati dalla divinità" (Ione, 533e): sul piano artistico, dunque, l'entusiasmo, cui si giunge solo attraverso una sospensione dell'intelletto, risulta essere il necessario complemento irrazionale del "fare" poetico, irrealizzabile coi soli strumenti dell'abilità tecnica.
Aristotele intende l'entusiasmo esclusivamente come passione morale dell'anima (Politica, VIII, 5); ma la tradizione neoplatonica riprende il termine nel suo senso etimologico e, adattandolo a strumento dell'estasi (Plotino, Enneadi, V, 6, cap.4), lo intende come atto conoscitivo totale elargito dalla fede (Porco, Teologia platonica, IV, cap.9).
La valenza estetica del concetto viene ribadita dall'anonimo autore dello scritto Del Sublime: un dio invade le anime nobili, dotandole di quel "soffio entusiastico" che è a fondamento dell'arte (VIII, 4); a Giordano Bruno, invece risale la distinzione tra entusiasmo religioso, consistente nell'essere posseduti dalla divinità, ed entusiasmo naturale o "fervore intellettuale" potenziamento del lume razionale necessario all'attività filosofica (Eroici furori, Dial.III).
Nei secc. VXII e XVIII la filosofia estende la propria indagine anche ai limiti della conoscenza, e l'entusiasmo viene criticato come indebito fondamento dell'assenso avente origine in "fantasie infondate del cervello" costituenti un ignis fatuus che abbaglia, ma non porta a effettiva conoscenza (J. Locke, Saggio, IV, cap.19). L'illuminismo porrà tale concetto in connessione col fanatismo inteso come "sensazione falsa della presenza divina" dal "nobile entusiasmo" creativo, dote di oratori, artisti e filosofi, similmente, per Voltaire "l'entusiasmo si accompagna soprattutto alla religiosità malintesa" ed è giustificabile solo "quell'entusiasmo ragionevole" che è privilegio dei poeti (Dizionario filosofico, 1765, alla voce "entusiasmo"), mentre Diderot lo ritiene inutile sia in campo estetico, sia in campo morale (Il paradosso sull'attore, 1773).
Anche Kant è da annoverarsi fra i pensatori che ridimensionano in senso strettamente umano l'entusiasmo; ne esclude infatti ogni relazione col divino, e lo definisce come "la condizione di un animo eccitato oltre la misura conveniente" (Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, cap. IV, nota 7), fissando così il significato che il termine assumerà nel linguaggio comune contemporaneo. Ancora settecentesco è lo studio di S. Bettinelli Dell'entusiasmo nelle belle arti (1769), che tuttavia non apporta sostanziali innovazioni di senso rispetto alla tradizione. I romantici riprenderanno il concetto, ma il suo significato è ormai acquisito e F. Schlegel, al parti di Shaftesbury, ritiene che l'entusiasmo debba essere temperato dall'ironia, assunta in funzione critica (Frammenti critici, 1797).
Nel nostro secolo la nozione è utilizzata da K. Jaspers, il quale ne dà una valutazione positiva, intendendolo come sentimento della totalità del mondo (Psicologia delle visioni del mondo, I, 1919).
Bibliografia:
Le garzantine, l'Universale
Dizionario filosofico