La filosofia del linguaggio: introduzione
Disciplina filosofica che studia il linguaggio umano e che confina con una pluralità di discipline, quali la linguistica, la semiotica, la logica, l’epistemologia. In un certo senso tutta la filosofia implica una riflessione sul linguaggio come mezzo della comunicazione umana e dell’argomentazione razionale: ciò è evidente fin dalle origini della filosofia, ad esempio nel pensiero di Aristotele, la cui concezione del rapporto fra sostanza e accidente ricalca la distinzione fra nome e attributo del nome nella struttura della lingua greca.
Nel suo sviluppo la filosofia del linguaggio si è costituita sia come riflessione sul “linguaggio naturale”, cioè sulla lingua d’uso parlata da un certo popolo, sia come tentativo di definire un “linguaggio artificiale”, quale ad esempio il linguaggio simbolico usato dai logici e dai matematici, oltre che come tentativo di pervenire a una “lingua universale”, capace di fornire una traduzione diretta e rigorosa dei pensieri e una comunicazione trasparente fra i popoli.
Che cos'è la filosofia del linguaggio?
In tutte le società stanziali e urbanizzate, dotate di una relativa densità demografica e di una certa estensione territoriale, purché in possesso della scrittura, vediamo formarsi i nuclei di quattro discipline cardinali: matematica, astronomia, diritto e grammatica. Il linguaggio umano, quello che siamo soliti chiamare linguaggio naturale, costituisce dunque l'oggetto di pratiche tecniche (per esempio le scritture o l'argomentazione codificata della retorica) e di quelle discipline che da molto tempo si occupano della sua descrizione. In Occidente la nascita della grammatica può essere collocata tra il III e il II millennio a.C., quando nelle liste bilingui sumerico-arcadiche comparvero alcuni paradigmi grammaticali i per esempio un verbo coniugato in tutte le persone). Molte civiltà hanno visto nascere tradizioni di analisi linguistiche, appena abbozzate (Babilonesi, Egiziani) o solidamente sviluppate (Cinesi, Indiani, Greci, Arabi). E importante sottolineare il fatto che tutte queste tradizioni sono sorte in seguito alla piena acquisizione, da parte delle civiltà in questione, di una forma completa di scrittura.
La riflessione linguistica occidentale deriva dalla tradizione greca e raggiunge la sua maturità con la grammatica di Apollonio Discolo, nel II sec. d.C., parecchio tempo dopo lo sviluppo, per esempio, della grammatica indiana (la grammatica del sanscrito di Panini è del V sec. a.C.), ma, a quanto sembra, in modo indipendente. I grammatici latini hanno trasposto nella loro lingua la grammatica greca. In seguito, la stessa grammatica latina verrà trasferita alle lingue europee e alle altre lingue del mondo, e il processo subirà un'accelerazione a partire dal XVI secolo, con la nascita degli Stati nazionali europei, l'espansione occidentale nel mondo e gli sviluppi della stampa. Questo processo di grammatizzazione delle lingue del mondo a partire dal nucleo teorico costruito per il greco e il latino è un fenomeno unico nella storia dell'umanità. Le altre grandi tradizioni (India, Cina, mondo arabo) non hanno operato un trasferimento cosí massiccio. Il processo di grammatizzazione e i suoi effetti per lo sviluppo delle scienze del linguaggio possono essere paragonati a ciò che è stata la matematizzazione galileo-cartesiana per le scienze della natura.
È con le tradizioni linguistiche nazionali dell'Europa del Rinascimento che nasce un nuovo strumento linguistico, il dizionario monolingue, in cui, a differenza delle liste di parole già presenti nelle tradizioni orali o delle sillogi del Medio Evo, si cerca chiaramente di separare l'informazione sulla lingua (che ne costituisce l'oggetto) dall'informazione enciclopedica relativa alle cose del mondo. Il dizionario moderno monolingue risponde dunque a una nuova finalità: non serve all'accrescimento di conoscenze oggettive, né all'apprendimento di una seconda lingua, e si rivolge ai nativi che già conoscono la propria lingua. La sua funzione è quella di modificare la competenza (le capacità linguistiche dei parlami), integrando, per cosí dire, questa competenza interna agli individui con elementi esterni (una sorta di protesi o di utensile) che nessuno domina in modo naturale.
Tanto le grammatiche quanto i dizionari moderni mirano a fornire strumenti che permettano di comprendere o di produrre gli enunciati di una lingua naturale. Gli obiettivi possono essere anche altri, per esempio descrivere le regolarità osservabili in tutte le lingue e fornirne delle spiegazioni; o anche individuare gli elementi soggetti a trasformazione nell'evoluzione delle lingue e descrivere come si realizza il passaggio da una lingua a un'altra. Il primo di questi obiettivi è stato perseguito dalla grammatica generale, disciplina che viene fatta emblematicamente risalire alla pubblicazione della Grammaire générale et raisonnée (1660), redatta dal filosofo A. Arnauld e dal grammatico C. Lancelot per la scuola di Port-Royal. Il secondo obiettivo ha costituito l'oggetto, nel XIX secolo, di una disciplina universitaria che è stata chiamata grammatica storica e comparata o anche linguistica. Tra questo tipo di disciplina e la grammatica tradizionale c'è una considerevole differenza di orientamento teorico: né la grammatica generale né la grammatica comparata si pongono direttamente fini pratici, esse cercano di produrre relativamente alle lingue enunciati empirici, cioè verificabili (e falsificabili), per un interesse immediato di tipo puramente cognitivo. Oggi il termine linguistica o l'espressione scienze del linguaggio designano complessivamente le discipline (semantica, fonetica, fonologia, morfologia, sintassi, semiotica-semiologia, analisi del discorso, ecc. ) che, in questa prospettiva, si occupano ciascuna di un aspetto specifico del linguaggio naturale. Esse costituiscono ciò che si può chiamare conoscenza positiva delle lingue naturali e della facoltà di linguaggio. Esistono poi approcci piú interdisciplinari come la psicolinguistica, la sociolinguistica e lo studio delle patologie linguistiche.
L'indeterminatezza del campo della filosofia del linguaggio
Il termine filosofia del linguaggio, sebbene possa rientrare nella descrizione di programmi universitari o comparire in titoli di opere, non corrisponde ad una ben chiara unità concettuale. L'espressione può servire a designare cose anche molto diverse:
i) Le riflessioni sulla natura del linguaggio che precedono il costituirsi delle tradizioni linguistiche positive e autonome (per esempio quelle dei presocratici, di Platone, Aristotele o degli stoici). Si noti che la tradizione linguistica occidentale ha le sue radici in quei filosofi che hanno cominciato a distinguere le classi di parole (nomi e verbi, onoma e rhema in Platone e Aristotele) necessarie ad una teoria dell'argomentazione. Come si potrà constatare consultando la cronologia della riflessione linguistica, la particolarità della tradizione occidentale consiste nell'ordine in cui sono comparse le varie discipline: prima la logica e la retorica, poi la grammatica, contrariamente a quanto è accaduto altrove, dove la grammatica appare sempre per prima. Questa situazione dev'essere legata all'organizzazione del sapere che si struttura tra il V e il IV sec. a.C., in cui un posto centrale spetta alla filosofia, disciplina che invece non ritroviamo quasi mai in questa forma e in questa collocazione nelle altre tradizioni.
ii) Concezioni relative al linguaggio presenti in opere di autori riconosciuti come filosofi (cosí si parla della filosofia del linguaggio di Platone, di Hegel, di Heidegger, ecc.). Molto spesso si tratta di osservazioni disparate.
iiil Riflessioni volte a chiarire, con intento fondativo, la natura del linguaggio e il suo ruolo nell'esperienza umana. K. O. Apel spiega che cosa distingua, in questo caso, l'approccio scientifico dall'approccio filosofico:
[la filosofia del linguaggio; non si limita a sistematizzare l'ambito oggettuale della scienza empirica del linguaggio, o a sintetizzare i risultati di quella scienza empirica medesima (Apel, 1975 [1963], pp. 23-24).
La filosofia del linguaggio diviene una filosofia prima e fa della lingua «una entità trascendentale nel senso inteso da Kant» . Si tratta dunque di spiegare una volta per tutte quali siano le condizioni di possibilità del linguaggio urbano e in che modo esso caratterizzi lo specifico dell'essere umano. Si può qui riconoscere l'impostazione di tutta la tradizione fenomenologica derivata da Husserl. Una caratteristica di questa tradizione è pensare che le discipline positive non siano in grado di fornire risposte a questo genere di problemi. Essa difende con forza l'idea che la filosofia - qualunque sia l'oggetto a cui si dedica - possiede una propria autonomia. E opportuno osservare che i lavori di Husserl hanno avuto una certa importanza per la conoscenza positiva delle lingue. Essi hanno posto giustamente la questione del ruolo dell'intenzionalità nella nostra attività linguistica.
iv) Un certo numero di discussioni tecniche deriva dalla ripresa degli sviluppi e delle discussioni relative ai sistemi logici (considerati come sistemi linguistici artificiali e astratti), corale quelli costruiti a partire dalla fine del XIX secolo (Frege) e dall'inizio del XX ( Russell ) . Si pone, per esempio, la questione di capire in cosa consista il significato di un nome proprio (cioè di un nome in senso proprio, che designa un individuo), se si debba ammettere che la proposizione sia un'entità differente dalla sua realizzazione linguistica, o ancora se sia corretto ridurre il significato di un'espressione all'insieme delle condizioni che la rendono vera. Questo tipo di approccio si avvicina molto alle riflessioni positive sul linguaggio, con la differenza fondamentale che in questo caso non viene preso mai in considerazione il fatta della (diversità delle lingue naturali. Si lavora o su una sola lingua considerata come realizzazione di proprietà universali (in generale l'inglese), o con frammenti di lingua artificiale: si prende ad oggetto il linguaggio in generale, non le lingue. (filosofia analitica del linguaggio).
v) Un'importante linea che si distacca dall'indirizzo precedente, nata dalla seconda filosofia di Wittgenstein e dalla critica di Strawson (1950) a Russell, ha respinto l'approccio ai sistemi astratti della logica formale per sviluppare una filosofia del linguaggio ordinario è il linguaggio che gli uomini parlano quotidianamente, a prescindere da ogni formalizzazione. Da Francis Bacon fino a Carnap, passando per Locke, Leibniz e Condillac, numerosi sono i filosofi che hanno denunciato l'abuso delle parole (gli errori dovuti al fatto cbe gli uomini danno per scontato che ad ogni parola della lingua corrispondano determinate entità reali o concettuali) e l'inadeguatezza della lingua quotidiana. I filosofi del linguaggio ordinario criticano questa posizione, sebbene alcuni di loro possano talvolta essere moderatamente riformisti. Essi confidano nel fatto che un'analisi minuziosa del linguaggio ordinario permetta d'accedere alle conoscenze implicite nel suo uso. Il progetto oltrepassa ampiamente l'esplorazione della natura del linguaggio. Per autori come Austín non si può avviare alcuna riflessione filosofica senza aver analizzato le espressioni del linguaggio ordinario relative al problema considerato. Questo orientamento corrisponde a ciò che Rorty ha chiamato linguistic turn, la svolta linguistica in filosofia.
La filosofia del linguaggio ordinario è dunque riassumibile - nel suo progetto - in due tesi: una riguarda l'importanza del linguaggio ordinario e la sua specificità, l'altra il metodo filosofico.
vi) Una tendenza non trascurabile dal punto di vista quantitativo vede nella linguistica generale la parte essenziale della filosofia del linguaggio. La linguistica generale è un programma nato nell'ultimo terzo del XIX secolo con l'obiettivo di ricondurre la diversità delle conoscenze positive relative alle lingue umane ad un numero limitato di principi saldi e certi. Il linguista danese Hjelmslev in un libro redatto durante l'ultima guerra mondiale ma pubblicato solo nel 1963, definisce cosí questo programa:
Si deve poter concepire una scienza che non consideri il linguaggio solo come un agglomerato di elementi logici, storici, fisiologici, fisici, psicologici e sociologici. ma che concepisca prima di tutto il linguaggio in sé, come una unità autonoma, una totalità di natura particolare (Hjelmslev, 1970 [1963].
L'idea che la linguistica generale sia una «scienza» autonoma è molto discutibile, in particolare perché suppone che lo sia anche la linguistica. Spesso questo nome indica un approccio globale ai princípí più generali utilizzati nella costruzione positiva della conoscenza delle lingue e della facoltà di linguaggio.
vii) Un approccio riflessivo ad un certo numero di questioni sorte all'interno delle scienze del linguaggio, dove però non trovano risposte univoche. Questo ambito può essere definito filosofia della linguistica. La sua comparsa presuppone non solo una certa maturità teorica delle conoscenze positive (una grammatica didattica raramente pone problemi di questo livello e, se lo fa, viene meno al suo obiettivo didattico), ma anche una chiara separazione tra conoscenza positiva e riflessione filosofica, che non può derivare se non dalla autonomia universitaria della prima (la grammatica speculativa medievale o la grammatica generale si occupavano direttamente dei loro problemi teorici).
Uno dei primi grandi testi di questo tipo è l'opera del linguista V. Henry, intitolata Les antinomies linguistiques (1896). Questo specialista di linguistica indoeuropea cerca di affrontare problemi cruciali della grammatica comparata (la delimitazione di una lingua, il rapporto tra linguaggio e pensiero, la questione dell'origine delle lingue) mostrando la pari validità di una tesi e della sua antitesi, secondo il modello elaborato da Kant nella Critica della ragion pura, a proposito della struttura del mondo naturale (la prima antinomia kantiana, per esempio, riguarda il carattere finito o infinito del mondo). Un analogo passaggio attraverso la positività delle conoscenze linguistiche si trova nel primo volume della Filosofia delle forme simboliche del filosofo E. Cassirer, dedicato al linguaggio (1923).
Lo sviluppo della grammatica generativa ha dato luogo negli ultimi vent'anni a un'importante stagione della filosofia della linguistica; nella sua opera dedicata alla filosofia del linguaggio (1966), J. J. Katz è chiaro a questo riguardo:
È per il bisogno di comprendere la natura dei sistemi concettuali che comincia la ricerca filosofica. La filosofia prende ad oggetto i sistemi concettuali sviluppati da scienziati, matematici, critici d'arte, moralisti, teologi, ecc., e tenta di spiegare e di chiarire la natura dell'oggetto di questi sistemi, al fine di renderli pienamente comprensibili. I filosofi perseguono questo obiettivo descrivendo la struttura di questi sistemi concettuali, analizzando i metodi con i quali hanno operato e valutando la validità delle loro pretese. Questa descrizione, questa analisi e questa valutazione dei sistemi concettuali particolari nelle differenti discipline universitarie oggi vengono condotte da differenti branche della filosofia: filosofia della scienza, filosofia della matematica, filosofia dell'arte (estetica), filosofia della morale (etica), filosofia delle religioni e cosí via (Katz, 1966, pp. 2-3).
viii) Sotto il titolo di filosofia del linguaggio si trovano talvolta introduzioni enciclopediche che riprendono disordinatamente concezioni generali sul linguaggio tratte dalle discipline positive, riferimenti a filosofi antichi e a discussioni di tipo fondativo, osservazioni storiche sullo sviluppo delle scienze del linguaggio, ecc.
È evidente che questi modi di affrontare la filosofia del linguaggio non sono rigidamente distinti e una stessa opera può presentarne più d'uno. Tutto dipende dunque dall'idea che ci si è potuti fare della filosofia e del suo rapporto con la conoscenza positiva.
Nel suo sviluppo la filosofia del linguaggio si è costituita sia come riflessione sul “linguaggio naturale”, cioè sulla lingua d’uso parlata da un certo popolo, sia come tentativo di definire un “linguaggio artificiale”, quale ad esempio il linguaggio simbolico usato dai logici e dai matematici, oltre che come tentativo di pervenire a una “lingua universale”, capace di fornire una traduzione diretta e rigorosa dei pensieri e una comunicazione trasparente fra i popoli.
Che cos'è la filosofia del linguaggio?
In tutte le società stanziali e urbanizzate, dotate di una relativa densità demografica e di una certa estensione territoriale, purché in possesso della scrittura, vediamo formarsi i nuclei di quattro discipline cardinali: matematica, astronomia, diritto e grammatica. Il linguaggio umano, quello che siamo soliti chiamare linguaggio naturale, costituisce dunque l'oggetto di pratiche tecniche (per esempio le scritture o l'argomentazione codificata della retorica) e di quelle discipline che da molto tempo si occupano della sua descrizione. In Occidente la nascita della grammatica può essere collocata tra il III e il II millennio a.C., quando nelle liste bilingui sumerico-arcadiche comparvero alcuni paradigmi grammaticali i per esempio un verbo coniugato in tutte le persone). Molte civiltà hanno visto nascere tradizioni di analisi linguistiche, appena abbozzate (Babilonesi, Egiziani) o solidamente sviluppate (Cinesi, Indiani, Greci, Arabi). E importante sottolineare il fatto che tutte queste tradizioni sono sorte in seguito alla piena acquisizione, da parte delle civiltà in questione, di una forma completa di scrittura.
La riflessione linguistica occidentale deriva dalla tradizione greca e raggiunge la sua maturità con la grammatica di Apollonio Discolo, nel II sec. d.C., parecchio tempo dopo lo sviluppo, per esempio, della grammatica indiana (la grammatica del sanscrito di Panini è del V sec. a.C.), ma, a quanto sembra, in modo indipendente. I grammatici latini hanno trasposto nella loro lingua la grammatica greca. In seguito, la stessa grammatica latina verrà trasferita alle lingue europee e alle altre lingue del mondo, e il processo subirà un'accelerazione a partire dal XVI secolo, con la nascita degli Stati nazionali europei, l'espansione occidentale nel mondo e gli sviluppi della stampa. Questo processo di grammatizzazione delle lingue del mondo a partire dal nucleo teorico costruito per il greco e il latino è un fenomeno unico nella storia dell'umanità. Le altre grandi tradizioni (India, Cina, mondo arabo) non hanno operato un trasferimento cosí massiccio. Il processo di grammatizzazione e i suoi effetti per lo sviluppo delle scienze del linguaggio possono essere paragonati a ciò che è stata la matematizzazione galileo-cartesiana per le scienze della natura.
È con le tradizioni linguistiche nazionali dell'Europa del Rinascimento che nasce un nuovo strumento linguistico, il dizionario monolingue, in cui, a differenza delle liste di parole già presenti nelle tradizioni orali o delle sillogi del Medio Evo, si cerca chiaramente di separare l'informazione sulla lingua (che ne costituisce l'oggetto) dall'informazione enciclopedica relativa alle cose del mondo. Il dizionario moderno monolingue risponde dunque a una nuova finalità: non serve all'accrescimento di conoscenze oggettive, né all'apprendimento di una seconda lingua, e si rivolge ai nativi che già conoscono la propria lingua. La sua funzione è quella di modificare la competenza (le capacità linguistiche dei parlami), integrando, per cosí dire, questa competenza interna agli individui con elementi esterni (una sorta di protesi o di utensile) che nessuno domina in modo naturale.
Tanto le grammatiche quanto i dizionari moderni mirano a fornire strumenti che permettano di comprendere o di produrre gli enunciati di una lingua naturale. Gli obiettivi possono essere anche altri, per esempio descrivere le regolarità osservabili in tutte le lingue e fornirne delle spiegazioni; o anche individuare gli elementi soggetti a trasformazione nell'evoluzione delle lingue e descrivere come si realizza il passaggio da una lingua a un'altra. Il primo di questi obiettivi è stato perseguito dalla grammatica generale, disciplina che viene fatta emblematicamente risalire alla pubblicazione della Grammaire générale et raisonnée (1660), redatta dal filosofo A. Arnauld e dal grammatico C. Lancelot per la scuola di Port-Royal. Il secondo obiettivo ha costituito l'oggetto, nel XIX secolo, di una disciplina universitaria che è stata chiamata grammatica storica e comparata o anche linguistica. Tra questo tipo di disciplina e la grammatica tradizionale c'è una considerevole differenza di orientamento teorico: né la grammatica generale né la grammatica comparata si pongono direttamente fini pratici, esse cercano di produrre relativamente alle lingue enunciati empirici, cioè verificabili (e falsificabili), per un interesse immediato di tipo puramente cognitivo. Oggi il termine linguistica o l'espressione scienze del linguaggio designano complessivamente le discipline (semantica, fonetica, fonologia, morfologia, sintassi, semiotica-semiologia, analisi del discorso, ecc. ) che, in questa prospettiva, si occupano ciascuna di un aspetto specifico del linguaggio naturale. Esse costituiscono ciò che si può chiamare conoscenza positiva delle lingue naturali e della facoltà di linguaggio. Esistono poi approcci piú interdisciplinari come la psicolinguistica, la sociolinguistica e lo studio delle patologie linguistiche.
L'indeterminatezza del campo della filosofia del linguaggio
Il termine filosofia del linguaggio, sebbene possa rientrare nella descrizione di programmi universitari o comparire in titoli di opere, non corrisponde ad una ben chiara unità concettuale. L'espressione può servire a designare cose anche molto diverse:
i) Le riflessioni sulla natura del linguaggio che precedono il costituirsi delle tradizioni linguistiche positive e autonome (per esempio quelle dei presocratici, di Platone, Aristotele o degli stoici). Si noti che la tradizione linguistica occidentale ha le sue radici in quei filosofi che hanno cominciato a distinguere le classi di parole (nomi e verbi, onoma e rhema in Platone e Aristotele) necessarie ad una teoria dell'argomentazione. Come si potrà constatare consultando la cronologia della riflessione linguistica, la particolarità della tradizione occidentale consiste nell'ordine in cui sono comparse le varie discipline: prima la logica e la retorica, poi la grammatica, contrariamente a quanto è accaduto altrove, dove la grammatica appare sempre per prima. Questa situazione dev'essere legata all'organizzazione del sapere che si struttura tra il V e il IV sec. a.C., in cui un posto centrale spetta alla filosofia, disciplina che invece non ritroviamo quasi mai in questa forma e in questa collocazione nelle altre tradizioni.
ii) Concezioni relative al linguaggio presenti in opere di autori riconosciuti come filosofi (cosí si parla della filosofia del linguaggio di Platone, di Hegel, di Heidegger, ecc.). Molto spesso si tratta di osservazioni disparate.
iiil Riflessioni volte a chiarire, con intento fondativo, la natura del linguaggio e il suo ruolo nell'esperienza umana. K. O. Apel spiega che cosa distingua, in questo caso, l'approccio scientifico dall'approccio filosofico:
[la filosofia del linguaggio; non si limita a sistematizzare l'ambito oggettuale della scienza empirica del linguaggio, o a sintetizzare i risultati di quella scienza empirica medesima (Apel, 1975 [1963], pp. 23-24).
La filosofia del linguaggio diviene una filosofia prima e fa della lingua «una entità trascendentale nel senso inteso da Kant» . Si tratta dunque di spiegare una volta per tutte quali siano le condizioni di possibilità del linguaggio urbano e in che modo esso caratterizzi lo specifico dell'essere umano. Si può qui riconoscere l'impostazione di tutta la tradizione fenomenologica derivata da Husserl. Una caratteristica di questa tradizione è pensare che le discipline positive non siano in grado di fornire risposte a questo genere di problemi. Essa difende con forza l'idea che la filosofia - qualunque sia l'oggetto a cui si dedica - possiede una propria autonomia. E opportuno osservare che i lavori di Husserl hanno avuto una certa importanza per la conoscenza positiva delle lingue. Essi hanno posto giustamente la questione del ruolo dell'intenzionalità nella nostra attività linguistica.
iv) Un certo numero di discussioni tecniche deriva dalla ripresa degli sviluppi e delle discussioni relative ai sistemi logici (considerati come sistemi linguistici artificiali e astratti), corale quelli costruiti a partire dalla fine del XIX secolo (Frege) e dall'inizio del XX ( Russell ) . Si pone, per esempio, la questione di capire in cosa consista il significato di un nome proprio (cioè di un nome in senso proprio, che designa un individuo), se si debba ammettere che la proposizione sia un'entità differente dalla sua realizzazione linguistica, o ancora se sia corretto ridurre il significato di un'espressione all'insieme delle condizioni che la rendono vera. Questo tipo di approccio si avvicina molto alle riflessioni positive sul linguaggio, con la differenza fondamentale che in questo caso non viene preso mai in considerazione il fatta della (diversità delle lingue naturali. Si lavora o su una sola lingua considerata come realizzazione di proprietà universali (in generale l'inglese), o con frammenti di lingua artificiale: si prende ad oggetto il linguaggio in generale, non le lingue. (filosofia analitica del linguaggio).
v) Un'importante linea che si distacca dall'indirizzo precedente, nata dalla seconda filosofia di Wittgenstein e dalla critica di Strawson (1950) a Russell, ha respinto l'approccio ai sistemi astratti della logica formale per sviluppare una filosofia del linguaggio ordinario è il linguaggio che gli uomini parlano quotidianamente, a prescindere da ogni formalizzazione. Da Francis Bacon fino a Carnap, passando per Locke, Leibniz e Condillac, numerosi sono i filosofi che hanno denunciato l'abuso delle parole (gli errori dovuti al fatto cbe gli uomini danno per scontato che ad ogni parola della lingua corrispondano determinate entità reali o concettuali) e l'inadeguatezza della lingua quotidiana. I filosofi del linguaggio ordinario criticano questa posizione, sebbene alcuni di loro possano talvolta essere moderatamente riformisti. Essi confidano nel fatto che un'analisi minuziosa del linguaggio ordinario permetta d'accedere alle conoscenze implicite nel suo uso. Il progetto oltrepassa ampiamente l'esplorazione della natura del linguaggio. Per autori come Austín non si può avviare alcuna riflessione filosofica senza aver analizzato le espressioni del linguaggio ordinario relative al problema considerato. Questo orientamento corrisponde a ciò che Rorty ha chiamato linguistic turn, la svolta linguistica in filosofia.
La filosofia del linguaggio ordinario è dunque riassumibile - nel suo progetto - in due tesi: una riguarda l'importanza del linguaggio ordinario e la sua specificità, l'altra il metodo filosofico.
vi) Una tendenza non trascurabile dal punto di vista quantitativo vede nella linguistica generale la parte essenziale della filosofia del linguaggio. La linguistica generale è un programma nato nell'ultimo terzo del XIX secolo con l'obiettivo di ricondurre la diversità delle conoscenze positive relative alle lingue umane ad un numero limitato di principi saldi e certi. Il linguista danese Hjelmslev in un libro redatto durante l'ultima guerra mondiale ma pubblicato solo nel 1963, definisce cosí questo programa:
Si deve poter concepire una scienza che non consideri il linguaggio solo come un agglomerato di elementi logici, storici, fisiologici, fisici, psicologici e sociologici. ma che concepisca prima di tutto il linguaggio in sé, come una unità autonoma, una totalità di natura particolare (Hjelmslev, 1970 [1963].
L'idea che la linguistica generale sia una «scienza» autonoma è molto discutibile, in particolare perché suppone che lo sia anche la linguistica. Spesso questo nome indica un approccio globale ai princípí più generali utilizzati nella costruzione positiva della conoscenza delle lingue e della facoltà di linguaggio.
vii) Un approccio riflessivo ad un certo numero di questioni sorte all'interno delle scienze del linguaggio, dove però non trovano risposte univoche. Questo ambito può essere definito filosofia della linguistica. La sua comparsa presuppone non solo una certa maturità teorica delle conoscenze positive (una grammatica didattica raramente pone problemi di questo livello e, se lo fa, viene meno al suo obiettivo didattico), ma anche una chiara separazione tra conoscenza positiva e riflessione filosofica, che non può derivare se non dalla autonomia universitaria della prima (la grammatica speculativa medievale o la grammatica generale si occupavano direttamente dei loro problemi teorici).
Uno dei primi grandi testi di questo tipo è l'opera del linguista V. Henry, intitolata Les antinomies linguistiques (1896). Questo specialista di linguistica indoeuropea cerca di affrontare problemi cruciali della grammatica comparata (la delimitazione di una lingua, il rapporto tra linguaggio e pensiero, la questione dell'origine delle lingue) mostrando la pari validità di una tesi e della sua antitesi, secondo il modello elaborato da Kant nella Critica della ragion pura, a proposito della struttura del mondo naturale (la prima antinomia kantiana, per esempio, riguarda il carattere finito o infinito del mondo). Un analogo passaggio attraverso la positività delle conoscenze linguistiche si trova nel primo volume della Filosofia delle forme simboliche del filosofo E. Cassirer, dedicato al linguaggio (1923).
Lo sviluppo della grammatica generativa ha dato luogo negli ultimi vent'anni a un'importante stagione della filosofia della linguistica; nella sua opera dedicata alla filosofia del linguaggio (1966), J. J. Katz è chiaro a questo riguardo:
È per il bisogno di comprendere la natura dei sistemi concettuali che comincia la ricerca filosofica. La filosofia prende ad oggetto i sistemi concettuali sviluppati da scienziati, matematici, critici d'arte, moralisti, teologi, ecc., e tenta di spiegare e di chiarire la natura dell'oggetto di questi sistemi, al fine di renderli pienamente comprensibili. I filosofi perseguono questo obiettivo descrivendo la struttura di questi sistemi concettuali, analizzando i metodi con i quali hanno operato e valutando la validità delle loro pretese. Questa descrizione, questa analisi e questa valutazione dei sistemi concettuali particolari nelle differenti discipline universitarie oggi vengono condotte da differenti branche della filosofia: filosofia della scienza, filosofia della matematica, filosofia dell'arte (estetica), filosofia della morale (etica), filosofia delle religioni e cosí via (Katz, 1966, pp. 2-3).
viii) Sotto il titolo di filosofia del linguaggio si trovano talvolta introduzioni enciclopediche che riprendono disordinatamente concezioni generali sul linguaggio tratte dalle discipline positive, riferimenti a filosofi antichi e a discussioni di tipo fondativo, osservazioni storiche sullo sviluppo delle scienze del linguaggio, ecc.
È evidente che questi modi di affrontare la filosofia del linguaggio non sono rigidamente distinti e una stessa opera può presentarne più d'uno. Tutto dipende dunque dall'idea che ci si è potuti fare della filosofia e del suo rapporto con la conoscenza positiva.