Filosofia e favola
Come vennero concepite le favole in filosofia?
Dal Rinascimento in poi la convinzione che le favole antiche avessero un valore di sintomo o di rivelazione indiretta della verità condusse a una reinterpretazione degli antichi miti che talvolta furono piegati (come si vede nelle opere di Giordano Bruno) a significati filosofici particolari.
Sul valore della facile stesse Bacone e Vico segnano gli atteggiamenti fondamentali.
Bacone pensava che le favole sono qualcosa di intermedio tra il silenzio e l'oblio delle età perdute e la memoria e l'evidenza delle età più vicine di cui possediamo testimonianze scritte.
"Le favole, egli scrisse, non sono né un prodotto delle loro età né frutto dell'invenzione poetica ma quasi sacre reliquia e tenui aure di tempi migliori, che dalla tradizione delle nazioni più antiche sono arrivate fino alle trombe e ai flauti dei Greci".
Bacone propendeva pertanto a scorgere nelle favole un significato allegorico che vi sarebbe stato intenzionalmente racchiuso.
Che è per l'appunto la tesi negata e combattuta, il secolo dopo, da Vico: secondo il quale le favole sono soltanto dal punto di vista dei dotti, mentre per i popoli primitivi che le crearono erano narrazioni vere.
"I filosofi, dice, Vico, diedero alle favole interpretazioni fisiche o morali o metafisiche o di altre scienze, come l'oro o l'impegno o il capriccio ne riscaldasse le fantasie; sicché essi piuttosto con le loro allegorie erudite le finse favole.
I quali sensi dotti i primi autori di quelle favole non intesero, né per la loro rozza ed ignorante natura potevano intendere: anzi per questa stessa loro natura concepirono le favole per narrazioni vere...delle loro divine ed umane cose" (Sc. Nuova, II, Della metafisica poetica).
Questa idea di Vico è rimasta a fondamento della moderna filosofia delle forme simboliche (v. mito).
Bibliografia:
Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano
Dal Rinascimento in poi la convinzione che le favole antiche avessero un valore di sintomo o di rivelazione indiretta della verità condusse a una reinterpretazione degli antichi miti che talvolta furono piegati (come si vede nelle opere di Giordano Bruno) a significati filosofici particolari.
Sul valore della facile stesse Bacone e Vico segnano gli atteggiamenti fondamentali.
Bacone pensava che le favole sono qualcosa di intermedio tra il silenzio e l'oblio delle età perdute e la memoria e l'evidenza delle età più vicine di cui possediamo testimonianze scritte.
"Le favole, egli scrisse, non sono né un prodotto delle loro età né frutto dell'invenzione poetica ma quasi sacre reliquia e tenui aure di tempi migliori, che dalla tradizione delle nazioni più antiche sono arrivate fino alle trombe e ai flauti dei Greci".
Bacone propendeva pertanto a scorgere nelle favole un significato allegorico che vi sarebbe stato intenzionalmente racchiuso.
Che è per l'appunto la tesi negata e combattuta, il secolo dopo, da Vico: secondo il quale le favole sono soltanto dal punto di vista dei dotti, mentre per i popoli primitivi che le crearono erano narrazioni vere.
"I filosofi, dice, Vico, diedero alle favole interpretazioni fisiche o morali o metafisiche o di altre scienze, come l'oro o l'impegno o il capriccio ne riscaldasse le fantasie; sicché essi piuttosto con le loro allegorie erudite le finse favole.
I quali sensi dotti i primi autori di quelle favole non intesero, né per la loro rozza ed ignorante natura potevano intendere: anzi per questa stessa loro natura concepirono le favole per narrazioni vere...delle loro divine ed umane cose" (Sc. Nuova, II, Della metafisica poetica).
Questa idea di Vico è rimasta a fondamento della moderna filosofia delle forme simboliche (v. mito).
Bibliografia:
Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano