I libri di cinema e filosofia
Vi propongo alcuni testi sull’argomento cinema e filosofia:
U. Curi, Ombre delle idee, Pendragon, Bologna 2002
U. Curi, Lo schermo del pensiero: cinema e filosofia, Cortina, Milano 2000
U.Curi, Un filosofo al cinema, Bompiani, 2006
A. Cabrera, Da Aristotele a Spielberg, B. Mondatori, Milano 2002
A. Sani, Il cinema tra storia e filosofia, Le lettere, Firenze 2002
Tutto quello che Socrate direbbe a Woody Allen. Cinema e filosofia, Frassinelli, Milano 2005
E’ infine uscito recentemente :
Esercizi di filosofia al cinema (con R.Battaglin, C.Poncina,N.Rossi, D.Sartori, C.Simonato, P.Vidali), con una prefazione di U. Curi, Pensa MultiMedia, Lecce
Curi, Umberto, Ombre delle idee. Filosofia del cinema da American Beauty a Parla con lei.
Pendragon, 2002, pp. 160. Recensione di Andrea Ruggerini - 1/12/2002
Per tessere l'affascinante ragnatela con cui avvolgere noi lettori, Umberto Curi, professore ordinario di Storia della filosofia presso l'ateneo di Padova, usa otto nodi cruciali, o meglio, corrispondenze biunivoche decisive. Otto domande epistemologicamente fondanti il discorso filosofico: la bellezza, la speranza, la morte, il nichilismo, la guerra, l'arte, il vedere, l'amore, vengono messe in rapporto dialettico con coagulazioni cinematografiche discrete, autosufficienti, organiche. La saggezza di questo lavoro consiste nel porsi sul crinale di questi due versanti e segnarvi un sentiero tanto profondo quanto agilmente percorribile.
Attingendo con garbata misura alla propria conoscenza della tragedia attica e del repertorio mitologico classico, Curi svela i testi originali delle rappresentazioni filmiche odierne.
Molti hanno visto American beauty, ma chi ha colto il rapporto tra la "bellezza americana" e la "metanoia dello sguardo della quale Odiseo è archetipo"?
Partecipare emotivamente all'avventura robinsoniana di Chuck, in Cast away è la prima reazione, prevista dalla costruzione stessa della fabula, ma per individuare quale essa sia, occorre risalire a Le opere e i giorni di Esiodo, e cogliere la permanenza di elpis, la speranza, "unico antidoto idoneo a rendere gli uomini capaci di affrontare tutte le sventure, senza soccombere di fronte ad esse".
Nel percorrere il sentiero tracciato da Curi non mancano le sorprese. La critica mossa al cinema morettiano illumina "lo scacco non fortuito, ma pienamente corrispondente all'impianto nichilistico della sua poetica" in cui incorre "La stanza del figlio": di fronte alla radice del tragico, la morte del figlio, Moretti misura la propria inadeguatezza, incapacità di produrre metanoia.
L'apparato fantascientifico imponente di Matrix non copre la domanda, attinente al "ti esti, a ciò che esprime l'essenza stessa del pensare, al suo fondamento", che permea tutto il film, snodandosi attraverso il mito platonico della caverna.Una fulgida, ferrea prova di rigore intellettuale Curi la offre cimentandosi con un film complesso, a tratti intrinsecamente irritante quale Black Hawk Down, di Ridley Scott. Nonostante il tema, quello del rapporto tra politica e guerra, sia estrememente articolato e ricco di implicazioni, partendo dalla visione omerica fino a quella più completa di Platone, il filosofo mostra senza sbavature come "l'opera di Scott documenti una fasi di passaggio, nella quale si manifesta pienamente l'afasia della guerra, la sua incapacità di funzionare come grembo di nuovi ordini".L'ingresso nel sesto nodo, quello riguardante l'arte nella sua declinazione cinematografica, attraverso A.I. di Spielberg, è spaesante. La critica qui si fa ironicamente fredda, e sulla scia del Benjamin de L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica palesa la differenza tra un cinema orga, in cui siano ancora presenti segni di vita, anima, pathos e un mecha-movie, neologismo coniato per il film in esame: "un puro prodotto tecnologico, meccanismo autoreferenziale-robot".Dopo l'intreccio fra politica e guerra, quello fra vedere e potere è analizzato attraverso il magistrale film di Hitchcock, La finestra sul cortile, ponendo sullo sfondo l'analisi condotta da Foucault in Sorvegliare e punire e la rilettura platonica del mito di Gige. La doppia funzione della luce, consentire la vita e infliggere la morte, completa l'inquadratura sulla potenza dello sguardo.
L'ultimo svelamento riguarda l'amore. Parla con lei di Almodóvar viene letto come "radicale interrogazione sullo statuto dell'amore". Identificando nelle Metamorfosi di Ovidio il testo di riferimento, scopriamo "l'impossibilità dell'amore come relazione paritetica"; congiungendo la figura di Narciso a questa si completa la visione dell'amore come "luogo di contraddizione e di conflitti, nel quale non sempre ciò che appare corrisponde a ciò che é".Ha radici molto profonde questo lavoro del filosofo padovano. Da un lato è visibile un naturale svolgimento della peculiare analisi filosofica curiana, tesa alla riattivazione delle chiavi ermeneutiche dell'antichità nei confronti dei temi prossimi all'uomo contemporaneo: l'amore, la guerra, la connessione fra identità e alterità, senza trascurare il precedente Lo schermo del pensiero, in cui per la prima volta si affronta il discorso del rapporto tra Cinema e Filosofia. Dall'altro non si può tacere la grande ombra di Deleuze, primo filosofo a entrare in campo nel discorso filmico. Lo scopo di dimostrare in atto l'approccio teorico di come la filosofia possa leggere il cinema è pienamente raggiunto, ciò che lascia perplessi è la singolarità della proposta. In altre parole: leggere unicamente e direttamente questo testo, ignorandone le radici, produce un vago senso di pienezza momentanea: si acquisiscono occhi nuovi per leggere le opere cinematografiche presentate, ma si avverte la mancanza di un discorso più organico, teorico, fondativo, difficilmente rintracciabile nel testo in oggetto. Il problema sussiste anche nei confronti de Lo schermo del pensiero, nel quale alla problematica sollevata si risponde con una trentina di pagine, quasi troppo pressante sia la voglia di recensire filosoficamente alcuni film particolari.Al lettore, comunque appagato, resterà la scelta tra due speranze: continuare a leggere nuovi nuclei tematici, accettando l'estro filosofico di indubbio valore di Curi, o costruirsi, in via personale, un percorso ancora più integrato tra le istanze e analisi tecniche interne al mondo del cinema e quelle filosofiche.
Lo schermo del pensiero di Umberto Curi:
Un accorto gioco di parole che racchiude il senso del breve testo di Umberto Curi edito da Raffaello Cortina. Di fronte ad uno schermo cinematografico impariamo e ragioniamo. Se il cinema racconta, allora l'opera cinematografica è filosofia.
Umberto Curi affronta il rapporto cinema -filosofia a partire da un classico del pensiero occidentale per mostrare la natura filosofica delle opere cinematografiche. Il presupposto dal quale l'autore muove è che il cinema sia la "moderna reincarnazione del mythos classico" (U. Curi, Lo schermo del pensiero. Cinema e Filosofia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. I numeri che seguono le citazioni indicano le pagine di quest'edizione). Il testo che accompagna l'autore attraverso le storie, o fabulae raccontate dal grande schermo, è la Poetica di Aristotele. Tralasciando espressamente le dispute secolari su questo classico del pensiero, l'autore utilizza il testo dello Stagirita come un nuovo strumento di indagine filosofica a partire dai film nei quali l'elemento del mythos, della trama ha un ruolo preponderante rispetto agli altri aspetti dell'opera. Aspetti, che, tuttavia, nel cinema non possono essere considerati secondari o marginali.
L'autore è, dunque, consapevole di lasciare fuori da questa analisi parte della produzione cinematografica: per esempio, quella prevalentemente orientata all'innovazione linguistica (pp. 27, 28). Si trova inoltre costretto dai limiti di tale presupposto a non considerare nella rassegna film che, pur avendo alla base storie, sono oscurati da altri elementi quali la preponderanza dello spettacolo scenico o dalla musica. Ecco perché questo piccolo vademecum per filosofia nel cinema o, meglio, di filosofia che nasce dal cinema, non può e non vuole essere, come si legge nell'introduzione, catalogato tra le opere di critica cinematografica.
Umberto Curi sostiene che "il cinema altro non è che filosofia" (p. 30). Seguendo per l'appunto la Poetica di Aristotele bisogna considerare la tragedia come forma di poesia che si caratterizza per l'imitazione, nello specifico ciò che si imita è l'azione dell'uomo (Aristotele, Poetica, pag.9, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1999. "Nell'uomo fin dall'infanzia, è innato l'imitare: in questo differisce dagli altri animali, perché è il più imitativo e mediante imitazione opera le prime conoscenze Continuando lo Stagirita ci dice che "guardare le immagini diletta per il seguente motivo, perché capita di apprendere contemplando (…) la tragedia è, dunque, imitazione di un'azione elevata e conclusa, dotata di grandezza, con parola piacevole separatamente per ciascun aspetto nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite narrazione, la quale tramite pietà e paura porta a compimento la catarsi di tali passioni.."). L'analisi di Curi si fonda, dunque, sul seguente ragionamento: se la tragedia è imitazione e l'imitazione porta alla conoscenza, allora anche il cinema, o almeno quella parte di esso, laddove l'elemento racconto è prevalente, è anch'esso filosofia perché attraverso la mimesis permette di manthanein e sylloghizestai, ovvero di imparare e di ragionare.
Curi, dunque, parte da Aristotele per sostenere l'idea che il cinema come narratore moderno del mythos sollecita il pensiero, attraverso il diletto procurato dall'imitazione di uomini che agiscono. E non solo. Il rapporto cinema e filosofia è intrecciato in modo più saldo. Le trame dei racconti ben strutturati, ovvero intrecciati secondo relazioni di verosimiglianza, dalle quali scaturisce un imprevisto-necessario fanno sì che il racconto risulti thaumaston (Aristotele, Ibidem, pag.25: "Poiché, però,, l'imitazione rigurda non solo un'azione conclusa, ma anche eventi che suscitano paura e pietà, ciò si verifica in particolare[e maggiormente] quando questi si realizzano contro l'aspettativa, gli uni attraverso gli altri: così si otterrà il meraviglioso, più che se si verificasse da sé o per caso, perché anche tra gli eventi casuali sembrano più meravigliosi quanti appaiono essersi realizzati quasi appositamente…"). E la meraviglia e lo stupore altro non sono, a partire da Aristotele e Platone, che il principio del filosofare.
Umberto Curi analizza le opere in base ai paradigmi della Poetica non per emettere giudizi di valore in base allo schema bello/brutto, ma utilizza il presupposto filosofico per cui la mimesis dà conoscenza per far emergere dalle trame dei film alcune delle più famose e dibattute problematiche filosofiche.
Ecco come si possono interpretare alcuni film seguendo questo metodo.Adele H di François Truffaut è il racconto del viaggio, ma soprattutto la narrazione di un itinerarium mentis che porta la protagonista alla ricerca della propria identità che si conclude con la scoperta narcisistica che ciò che noi cerchiamo nell'altro altro non è che noi stessi. "Inutile cercare l'altro. Illusorio immaginare di poterlo raggiungere in quanto altro (…). Fondamentalmente in-transitivo è l'amore. Essenzialmente impossibile il rapporto. Intrinsecamente irrealizzabile la comunicazione" (pp. 41,42). Adele non riconosce Pinson perché come Narciso non vede che se stessa "Pinson altri non è che l'obiettivazione di un'aspirazione, della ricerca di un amore autentico" (p. 42).
Il film di Truffaut narra dunque la storia di questo viaggio. "Ora finalmente è tutto chiaro. Colui che ha preteso di incarnare l'altro si è dileguato. Adele comprende ora con chiarezza che cosa l'abbia spinta a tentare una cosa incredibile, perché abbia avuto la temerarietà di attraversare il mare, quale palingenesi ella cercasse nel passare dal vecchio al nuovo mondo. Il viaggio alla scoperta della natura dell'amore, e quindi di se stessi, può dirsi terminato. Raggiunto l'obiettivo, reso esplicito dalla memorabile sequenza nella quale Adele sorpassa Pinson senza degnarlo di uno sguardo, continuando a guardare fisso davanti a sé, è possibile intraprendere l'anabasi." (p. 43)
Se lo spettatore, attraverso la storia di Adele, ragiona sull'impossibilità dell'amore come rapporto con l'Altro, Anni di Piombo di Margarethe von Trotta ci fa filosofare sul rapporto Stato-individuo (p. 58) mentre con Paris, Texas di Wim Wenders si riflette sul tema comunicazione e potere (p. 71).
Schindler's List è un racconto di guerra narrato dall'abile costruttore di fabulae (p. 103) che è Steven Spielberg. Il capro espiatorio è, invece, il senso filosofico de La vita è bella di Roberto Benigni, dove il protagonista Guido, solutore di indovinelli, incarna il pharmakos che salva i compagni di sventura con il suo sacrificio (p. 111) come fece Edipo il solutore di enigmi e salvatore dei mali della sua città.
The Truman show di Peter Weir non sarebbe un attacco alla televisione come strumento di tecnologia invasiva della realtà ma un'applicazione del Teorema dell'incompletezza di Gödel, una messa in scena del "dramma (…) che scaturisce dallo scacco a cui è esposta ogni pretesa di ricondurre alla trasparenza di una razionalità univoca i molti mondi che convivono nel nostro multiverso" (p. 142).
Il rapporto tra realtà e rappresentazione emerge anche dalle storie di Sliding doors di Peter Howitt (p. 149) o di Shakespeare in Love di John Madden, nel quale troviamo la raffigurazione della vita che imita l'arte (p. 158) .
L'amore e il rapporto con l'altro, la comunicazione o la sua impossibilità, il potere e la guerra, la realtà e la sua rappresentazione. Temi classici della storia della filosofia occidentale affrontati con uno strumento non convenzionale. Con questo approccio, tuttavia non emerge l'aspetto del cinema come grandioso strumento di fare spettacolo con un linguaggio non tradizionale, ma viene sottolineata la sua somiglianza alla rappresentazione teatrale. Non si considera, dunque, la diversità e specificità del cinema rispetto ad altre forme di poesia ma si mette in evidenza l'elemento che lo conserva tra le forme poetiche classiche.
Fonte: Giornale di confine
U. Curi, Ombre delle idee, Pendragon, Bologna 2002
U. Curi, Lo schermo del pensiero: cinema e filosofia, Cortina, Milano 2000
U.Curi, Un filosofo al cinema, Bompiani, 2006
A. Cabrera, Da Aristotele a Spielberg, B. Mondatori, Milano 2002
A. Sani, Il cinema tra storia e filosofia, Le lettere, Firenze 2002
Tutto quello che Socrate direbbe a Woody Allen. Cinema e filosofia, Frassinelli, Milano 2005
E’ infine uscito recentemente :
Esercizi di filosofia al cinema (con R.Battaglin, C.Poncina,N.Rossi, D.Sartori, C.Simonato, P.Vidali), con una prefazione di U. Curi, Pensa MultiMedia, Lecce
Curi, Umberto, Ombre delle idee. Filosofia del cinema da American Beauty a Parla con lei.
Pendragon, 2002, pp. 160. Recensione di Andrea Ruggerini - 1/12/2002
Per tessere l'affascinante ragnatela con cui avvolgere noi lettori, Umberto Curi, professore ordinario di Storia della filosofia presso l'ateneo di Padova, usa otto nodi cruciali, o meglio, corrispondenze biunivoche decisive. Otto domande epistemologicamente fondanti il discorso filosofico: la bellezza, la speranza, la morte, il nichilismo, la guerra, l'arte, il vedere, l'amore, vengono messe in rapporto dialettico con coagulazioni cinematografiche discrete, autosufficienti, organiche. La saggezza di questo lavoro consiste nel porsi sul crinale di questi due versanti e segnarvi un sentiero tanto profondo quanto agilmente percorribile.
Attingendo con garbata misura alla propria conoscenza della tragedia attica e del repertorio mitologico classico, Curi svela i testi originali delle rappresentazioni filmiche odierne.
Molti hanno visto American beauty, ma chi ha colto il rapporto tra la "bellezza americana" e la "metanoia dello sguardo della quale Odiseo è archetipo"?
Partecipare emotivamente all'avventura robinsoniana di Chuck, in Cast away è la prima reazione, prevista dalla costruzione stessa della fabula, ma per individuare quale essa sia, occorre risalire a Le opere e i giorni di Esiodo, e cogliere la permanenza di elpis, la speranza, "unico antidoto idoneo a rendere gli uomini capaci di affrontare tutte le sventure, senza soccombere di fronte ad esse".
Nel percorrere il sentiero tracciato da Curi non mancano le sorprese. La critica mossa al cinema morettiano illumina "lo scacco non fortuito, ma pienamente corrispondente all'impianto nichilistico della sua poetica" in cui incorre "La stanza del figlio": di fronte alla radice del tragico, la morte del figlio, Moretti misura la propria inadeguatezza, incapacità di produrre metanoia.
L'apparato fantascientifico imponente di Matrix non copre la domanda, attinente al "ti esti, a ciò che esprime l'essenza stessa del pensare, al suo fondamento", che permea tutto il film, snodandosi attraverso il mito platonico della caverna.Una fulgida, ferrea prova di rigore intellettuale Curi la offre cimentandosi con un film complesso, a tratti intrinsecamente irritante quale Black Hawk Down, di Ridley Scott. Nonostante il tema, quello del rapporto tra politica e guerra, sia estrememente articolato e ricco di implicazioni, partendo dalla visione omerica fino a quella più completa di Platone, il filosofo mostra senza sbavature come "l'opera di Scott documenti una fasi di passaggio, nella quale si manifesta pienamente l'afasia della guerra, la sua incapacità di funzionare come grembo di nuovi ordini".L'ingresso nel sesto nodo, quello riguardante l'arte nella sua declinazione cinematografica, attraverso A.I. di Spielberg, è spaesante. La critica qui si fa ironicamente fredda, e sulla scia del Benjamin de L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica palesa la differenza tra un cinema orga, in cui siano ancora presenti segni di vita, anima, pathos e un mecha-movie, neologismo coniato per il film in esame: "un puro prodotto tecnologico, meccanismo autoreferenziale-robot".Dopo l'intreccio fra politica e guerra, quello fra vedere e potere è analizzato attraverso il magistrale film di Hitchcock, La finestra sul cortile, ponendo sullo sfondo l'analisi condotta da Foucault in Sorvegliare e punire e la rilettura platonica del mito di Gige. La doppia funzione della luce, consentire la vita e infliggere la morte, completa l'inquadratura sulla potenza dello sguardo.
L'ultimo svelamento riguarda l'amore. Parla con lei di Almodóvar viene letto come "radicale interrogazione sullo statuto dell'amore". Identificando nelle Metamorfosi di Ovidio il testo di riferimento, scopriamo "l'impossibilità dell'amore come relazione paritetica"; congiungendo la figura di Narciso a questa si completa la visione dell'amore come "luogo di contraddizione e di conflitti, nel quale non sempre ciò che appare corrisponde a ciò che é".Ha radici molto profonde questo lavoro del filosofo padovano. Da un lato è visibile un naturale svolgimento della peculiare analisi filosofica curiana, tesa alla riattivazione delle chiavi ermeneutiche dell'antichità nei confronti dei temi prossimi all'uomo contemporaneo: l'amore, la guerra, la connessione fra identità e alterità, senza trascurare il precedente Lo schermo del pensiero, in cui per la prima volta si affronta il discorso del rapporto tra Cinema e Filosofia. Dall'altro non si può tacere la grande ombra di Deleuze, primo filosofo a entrare in campo nel discorso filmico. Lo scopo di dimostrare in atto l'approccio teorico di come la filosofia possa leggere il cinema è pienamente raggiunto, ciò che lascia perplessi è la singolarità della proposta. In altre parole: leggere unicamente e direttamente questo testo, ignorandone le radici, produce un vago senso di pienezza momentanea: si acquisiscono occhi nuovi per leggere le opere cinematografiche presentate, ma si avverte la mancanza di un discorso più organico, teorico, fondativo, difficilmente rintracciabile nel testo in oggetto. Il problema sussiste anche nei confronti de Lo schermo del pensiero, nel quale alla problematica sollevata si risponde con una trentina di pagine, quasi troppo pressante sia la voglia di recensire filosoficamente alcuni film particolari.Al lettore, comunque appagato, resterà la scelta tra due speranze: continuare a leggere nuovi nuclei tematici, accettando l'estro filosofico di indubbio valore di Curi, o costruirsi, in via personale, un percorso ancora più integrato tra le istanze e analisi tecniche interne al mondo del cinema e quelle filosofiche.
Lo schermo del pensiero di Umberto Curi:
Un accorto gioco di parole che racchiude il senso del breve testo di Umberto Curi edito da Raffaello Cortina. Di fronte ad uno schermo cinematografico impariamo e ragioniamo. Se il cinema racconta, allora l'opera cinematografica è filosofia.
Umberto Curi affronta il rapporto cinema -filosofia a partire da un classico del pensiero occidentale per mostrare la natura filosofica delle opere cinematografiche. Il presupposto dal quale l'autore muove è che il cinema sia la "moderna reincarnazione del mythos classico" (U. Curi, Lo schermo del pensiero. Cinema e Filosofia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. I numeri che seguono le citazioni indicano le pagine di quest'edizione). Il testo che accompagna l'autore attraverso le storie, o fabulae raccontate dal grande schermo, è la Poetica di Aristotele. Tralasciando espressamente le dispute secolari su questo classico del pensiero, l'autore utilizza il testo dello Stagirita come un nuovo strumento di indagine filosofica a partire dai film nei quali l'elemento del mythos, della trama ha un ruolo preponderante rispetto agli altri aspetti dell'opera. Aspetti, che, tuttavia, nel cinema non possono essere considerati secondari o marginali.
L'autore è, dunque, consapevole di lasciare fuori da questa analisi parte della produzione cinematografica: per esempio, quella prevalentemente orientata all'innovazione linguistica (pp. 27, 28). Si trova inoltre costretto dai limiti di tale presupposto a non considerare nella rassegna film che, pur avendo alla base storie, sono oscurati da altri elementi quali la preponderanza dello spettacolo scenico o dalla musica. Ecco perché questo piccolo vademecum per filosofia nel cinema o, meglio, di filosofia che nasce dal cinema, non può e non vuole essere, come si legge nell'introduzione, catalogato tra le opere di critica cinematografica.
Umberto Curi sostiene che "il cinema altro non è che filosofia" (p. 30). Seguendo per l'appunto la Poetica di Aristotele bisogna considerare la tragedia come forma di poesia che si caratterizza per l'imitazione, nello specifico ciò che si imita è l'azione dell'uomo (Aristotele, Poetica, pag.9, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1999. "Nell'uomo fin dall'infanzia, è innato l'imitare: in questo differisce dagli altri animali, perché è il più imitativo e mediante imitazione opera le prime conoscenze Continuando lo Stagirita ci dice che "guardare le immagini diletta per il seguente motivo, perché capita di apprendere contemplando (…) la tragedia è, dunque, imitazione di un'azione elevata e conclusa, dotata di grandezza, con parola piacevole separatamente per ciascun aspetto nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite narrazione, la quale tramite pietà e paura porta a compimento la catarsi di tali passioni.."). L'analisi di Curi si fonda, dunque, sul seguente ragionamento: se la tragedia è imitazione e l'imitazione porta alla conoscenza, allora anche il cinema, o almeno quella parte di esso, laddove l'elemento racconto è prevalente, è anch'esso filosofia perché attraverso la mimesis permette di manthanein e sylloghizestai, ovvero di imparare e di ragionare.
Curi, dunque, parte da Aristotele per sostenere l'idea che il cinema come narratore moderno del mythos sollecita il pensiero, attraverso il diletto procurato dall'imitazione di uomini che agiscono. E non solo. Il rapporto cinema e filosofia è intrecciato in modo più saldo. Le trame dei racconti ben strutturati, ovvero intrecciati secondo relazioni di verosimiglianza, dalle quali scaturisce un imprevisto-necessario fanno sì che il racconto risulti thaumaston (Aristotele, Ibidem, pag.25: "Poiché, però,, l'imitazione rigurda non solo un'azione conclusa, ma anche eventi che suscitano paura e pietà, ciò si verifica in particolare[e maggiormente] quando questi si realizzano contro l'aspettativa, gli uni attraverso gli altri: così si otterrà il meraviglioso, più che se si verificasse da sé o per caso, perché anche tra gli eventi casuali sembrano più meravigliosi quanti appaiono essersi realizzati quasi appositamente…"). E la meraviglia e lo stupore altro non sono, a partire da Aristotele e Platone, che il principio del filosofare.
Umberto Curi analizza le opere in base ai paradigmi della Poetica non per emettere giudizi di valore in base allo schema bello/brutto, ma utilizza il presupposto filosofico per cui la mimesis dà conoscenza per far emergere dalle trame dei film alcune delle più famose e dibattute problematiche filosofiche.
Ecco come si possono interpretare alcuni film seguendo questo metodo.Adele H di François Truffaut è il racconto del viaggio, ma soprattutto la narrazione di un itinerarium mentis che porta la protagonista alla ricerca della propria identità che si conclude con la scoperta narcisistica che ciò che noi cerchiamo nell'altro altro non è che noi stessi. "Inutile cercare l'altro. Illusorio immaginare di poterlo raggiungere in quanto altro (…). Fondamentalmente in-transitivo è l'amore. Essenzialmente impossibile il rapporto. Intrinsecamente irrealizzabile la comunicazione" (pp. 41,42). Adele non riconosce Pinson perché come Narciso non vede che se stessa "Pinson altri non è che l'obiettivazione di un'aspirazione, della ricerca di un amore autentico" (p. 42).
Il film di Truffaut narra dunque la storia di questo viaggio. "Ora finalmente è tutto chiaro. Colui che ha preteso di incarnare l'altro si è dileguato. Adele comprende ora con chiarezza che cosa l'abbia spinta a tentare una cosa incredibile, perché abbia avuto la temerarietà di attraversare il mare, quale palingenesi ella cercasse nel passare dal vecchio al nuovo mondo. Il viaggio alla scoperta della natura dell'amore, e quindi di se stessi, può dirsi terminato. Raggiunto l'obiettivo, reso esplicito dalla memorabile sequenza nella quale Adele sorpassa Pinson senza degnarlo di uno sguardo, continuando a guardare fisso davanti a sé, è possibile intraprendere l'anabasi." (p. 43)
Se lo spettatore, attraverso la storia di Adele, ragiona sull'impossibilità dell'amore come rapporto con l'Altro, Anni di Piombo di Margarethe von Trotta ci fa filosofare sul rapporto Stato-individuo (p. 58) mentre con Paris, Texas di Wim Wenders si riflette sul tema comunicazione e potere (p. 71).
Schindler's List è un racconto di guerra narrato dall'abile costruttore di fabulae (p. 103) che è Steven Spielberg. Il capro espiatorio è, invece, il senso filosofico de La vita è bella di Roberto Benigni, dove il protagonista Guido, solutore di indovinelli, incarna il pharmakos che salva i compagni di sventura con il suo sacrificio (p. 111) come fece Edipo il solutore di enigmi e salvatore dei mali della sua città.
The Truman show di Peter Weir non sarebbe un attacco alla televisione come strumento di tecnologia invasiva della realtà ma un'applicazione del Teorema dell'incompletezza di Gödel, una messa in scena del "dramma (…) che scaturisce dallo scacco a cui è esposta ogni pretesa di ricondurre alla trasparenza di una razionalità univoca i molti mondi che convivono nel nostro multiverso" (p. 142).
Il rapporto tra realtà e rappresentazione emerge anche dalle storie di Sliding doors di Peter Howitt (p. 149) o di Shakespeare in Love di John Madden, nel quale troviamo la raffigurazione della vita che imita l'arte (p. 158) .
L'amore e il rapporto con l'altro, la comunicazione o la sua impossibilità, il potere e la guerra, la realtà e la sua rappresentazione. Temi classici della storia della filosofia occidentale affrontati con uno strumento non convenzionale. Con questo approccio, tuttavia non emerge l'aspetto del cinema come grandioso strumento di fare spettacolo con un linguaggio non tradizionale, ma viene sottolineata la sua somiglianza alla rappresentazione teatrale. Non si considera, dunque, la diversità e specificità del cinema rispetto ad altre forme di poesia ma si mette in evidenza l'elemento che lo conserva tra le forme poetiche classiche.
Fonte: Giornale di confine
Da Aristotele a Spielberg:
Capire la filosofia attraverso i film:
100 anni di cinema per ripensare in modo intelligente e divertente 2500 anni di pensiero. Cartesio e La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock (“il dubbio e il problema della conoscenza”), Hegel e Paris, Texas di Wim Wenders (“la riconciliazione hegeliana di una famiglia distrutta”), Tommaso d'Aquino e Rosemary's Baby di Roman Polanski (“esiste anche una Provvidenza Diabolica?”), Nietzsche e I magnifici sette di John Sturges… Luis Buñuel (“lo Schopenhauer del cinema”) e Michelangelo Antonioni (“l'Heidegger delle immagini”), e poi Steven Spielberg, Vittorio De Sica, Quentin Tarantino, e tanti altri grandi registi convocati a spiegare i grandi della filosofia. E un po', anche, viceversa.
INDICE:
Cinema e filosofia. Per una critica della ragion logopatica. Pensatori “patici” e pensatori “apatici”.
Due attitudini dinanzi alle emergenze del cinema
“Concettidea” e “Concettimmagine”
Come fa una Finzione particolare ad avere qualcosa a che fare con la Verità universale?
Ancora su cinema e filosofia
I. Platone alla guerra (la teoria delle idee)
Introduzione
Il cacciatore di Michael Cimino e Tornando a casa di Hal Ashby. Due film sulla guerra per domandarci: i film di guerra riescono a cogliere l’Idea universale della guerra?
Chi era Platone?
Testi platonici
II. La questione del verosimile: Aristotele e i ladri di biciclette
Introduzione
Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, ovvero: è possibile ritrarre la realtà “in quanto tale”?
Chi era Aristotele?
Testi aristotelici
III. Filosofia e soprannaturale: San Tommaso e il bambino di Rosemary
Introduzione
Rosemary’s Baby di Roman Polanski: esiste anche una Provvidenza Diabolica?
Chi era Tommaso d’Aquino?
Testi tomisti
IV. Il rapporto dell’uomo con la natura: Bacon, Steven Spielberg e il genere catastrofico
Introduzione
Notizie dalla catastrofe: Lo squalo e Jurassic Park di Steven Spielberg, ovvero che cosa succede quando le ineludibili necessità animali vengono ignorate
Piccolo promemoria sulle catastrofi
Chi erano i “fisiologi” greci e Francis Bacon?
Testi antichi e moderni sulla natura
V. Il dubbio e il problema della conoscenza: Descartes e la finestra sul cortile
Introduzione
a) Blow-up di Michelangelo Antonioni, ovvero: si deve credere a tutto quello che si vede?
b) Come catturare un assassino trascurando Descartes: La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock
c) Istantanee di Jocelyn Moorhouse, o la prova morale dell’esistenza del mondo
Chi era Descartes?
Testi cartesiani
VI. La causalità e i critici empiristi del concetto di sostanza: John Locke e David Hume. L’identità di Batman e Quentin Tarantino
Introduzione
a) Sostanze, accidenti e contiguità alterate: i due Batman di Tim Burton, ovvero: esiste una sostanza comune a Batman e Bruce Wayne?
b) Quando il “poi” precede il “prima”: Pulp fiction di Quentin Tarantino e Breve film sull’uccidere di Krzysztof Kieslowski, ovvero le ambiguità della catena causale
Chi erano Locke e Hume?
Testi sulla sostanza e sulla causalità
VII. Teoria e prassi: Kant, Tommaso Moro e l’attimo fuggente
Introduzione
a) Un uomo per tutte le stagioni di Fred Zinnemann e Il mio piede sinistro di Jim Sheridan, ovvero: la libertà è in grado di superare i limiti imposti dalla natura e dalla società?
b) L’attimo fuggente di Peter Weir, ovvero: nel suo conflitto con l’autorità, l’affermazione della libertà può condurre alla morte?
Chi era Kant?
Testi kantiani
VIII. Tempo e pensiero: Hegel, Paris, Texas e il turista per caso
Introduzione
a) La riconciliazione hegeliana di una famiglia distrutta: Paris, Texas di Wim Wenders, un’esperienza dialettica
b) Perdersi per ritrovarsi: L’impero del sole di Steven Spielberg e Turista per caso di Lawrence Kasdan
c) Hiroshima mon amour di Alain Resnais, ovvero la temporalità inseparabile dall’immagine
Chi era Hegel?
Testi hegeliani
IX. Il valore della vita: Schopenhauer, Buñuel e Frank Capra
Introduzione
a) Viridiana di Luis Buñuel (lo Schopenhauer del cinema), ovvero: vale la pena spendersi per gli altri?
b) La vita è meravigliosa di Frank Capra (l’“ottimista a oltranza” dei registi cinematografici), ovvero: si può veramente contare sull’aiuto altrui in caso di bisogno?
Chi era Schopenhauer?
Testi schopenhaueriani
X. Pensiero e politica: Karl Marx, Costa-Gavras, Oliver Stone e il cinema impegnato
Introduzione
a) In politica si può rimanere obiettivi? Z-L’orgia del potere di Konstantin Costa-Gavras, capolavoro tendenzioso
b) Una società quanta verità può sopportare? JFK – Un caso ancora aperto di Oliver Stone
c) Rovistando nel passato: La storia ufficiale di Luis Puenzo
Chi era Marx?
Testi marxiani
XI. Eroismo e violenza: Nietzsche, lo spietato Clint Eastwood e gli assassini nati Introduzione a) Il conflitto fra eroismo e morale: I magnifici sette di John Sturges
b) Il fantastico ritorno dell’ex pistolero: Gli spietati di Clint Eastwood
c) La violenza come modo di essere: Assassini nati di Oliver Stone
Chi era Nietzsche?
Testi nietzschiani
XII. L’essere e l’umana condizione: Martin Heidegger, Michelangelo Antonioni, il tedio e le balene d’agosto
Introduzione
a) L’Heidegger delle immagini: L’eclisse, Deserto rosso e Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, il regista dell’essere
b) Due atteggiamenti nei confronti della vecchiaia e dell’umana condizione: Le balene d’agosto di Lindsay Anderson
Chi era Heidegger?
Testi heideggeriani
XIII. Esistenza e libertà: Jean-Paul Sartre, Thelma, Louise e l’inferno di un matrimonio svedese
Introduzione
a) Thelma & Louise di Ridley Scott, ovvero: c’è un legame implicito tra la libertà e la morte?
b) La libertà non è un semplice fatto “interiore” ma deve anche trasformare il mondo: Le ali della libertà di Frank Darabont
c) Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, o l’irriducibile precarietà dell’esistenza
Chi era Sartre?
Testi sartriani
XIV. I confini del linguaggio: Wittgenstein, il cinema muto e le ombre rosse, ovvero ciò che si dice e ciò che viene effettivamente mostrato
Introduzione
a) Il caso del cinema muto: L’ultima risata di Friedrich W. Murnau e Il cantante di jazz di Alan Crosland, ovvero: il silenzio può esprimere qualcosa?
b) Un western realizzato all’epoca di Wittgenstein: Ombre rosse di John Ford, ovvero: ciò che non può essere detto, un film di cowboy può benissimo riuscire a mostrarlo
Chi era Wittgenstein?
Testi wittgensteiniani
Cos'è la guerra? Un conflitto armato che inizia dove finisce la mediazione politica, potrebbe essere la risposta del filosofo. Definizione ineccepibile. Ma se ne afferra davvero l'essenza? No, perché per cogliere fino in fondo cosa sia la guerra ci vuole qualcosa di più. Ci vuole una risonanza emotiva. Sangue e carne. Speranze distrutte a vent'anni. Sacrificio, terrore, tradimento. Ci vuole, cioè, quello che alla massima potenza esprime soltanto uno strumento relativamente recente: il cinema. In altre parole, l'idea platonica di "guerra" assume un significato molto più chiaro in film come Il cacciatore o Tornando a casa che non in pensosi trattati accademici.
Tra i tanti modi di essere del cinema, infatti, c'è proprio quello di offrire una verifica empirica alle conquiste del pensiero, ai problemi filosofici che hanno attraversato nei secoli l'umanità. E' con questa intuizione che il filosofo argentino Julio Cabrera propone Da Aristotele a Spielberg (Bruno Mondadori), una cavalcata attraverso 2.500 anni di filosofia e un secolo di cinema.
Filosoficamente, spiega Cabrera, il cinema è "concettimmagine", qualcosa cioè che si oppone, per ampliarlo, al "concettidea" del testo scritto. Detta in parole più semplici, il cinema è un mettersi in cammino verso una direzione dedotta "alla buona", indicata dalla nostra bussola con approssimazione, ma senza che si debba per questo svalutarla rispetto ai tracciati ufficiali. Anzi. E così, mentre la filosofia tende spesso a sottomettere la vita a istanze organizzatrici, riparatrici, giustificative o cosmetiche, il cinema fa da antenna all'esperienza. Che, il più delle volte, è demoniaca, fuori controllo, sconcertante. Ma vera.
Da questa premessa anche il pensiero dei grandi filosofi sembra assumere valenze nuove. Si trasforma, in qualche modo, sotto i colpi della pellicola. Il soprannaturale di San Tommaso, per esempio: Cabrera lo legge attraverso Rosemary's Baby di Roman Polanski. Esiste la prova dell'esistenza divina? Certo, sembra rispondere il film, che racconta la consegna di un neonato a una setta satanica. Ma, come la maggior parte delle pellicole, il trascendente è espresso con maggiore forza nella sua forma negativa, quella diabolica.
Argomentazione teorica stringente che si sposa con l'esperienza vissuta sulla pelle dallo spettatore. Anche quando questo non è d'accordo con l'analisi del filosofo o del regista, osserva Cabrera, ciò che conta è il piacere di una rivelazione che di rado il ragionamento scritto riesce a offrire. Tutti i più importanti nodi della storia della filosofia, da Platone a Wittgenstein, sono visitati nel libro con la lente dello studioso-cinefilo. Ecco allora Aristotele, la cui teoria della verosimiglianza nella Poetica è messa a confronto con un film neorealista come Ladri di biciclette: può l'arte riprodurre la realtà del mondo in quanto tale? "Lo spettatore - si legge nel libro - non vuole la verità, ma il possibile, il verosimile, ciò che può riuscire a credere. Vogliamo essere sì ingannati, ma con qualcosa che assomigli alla verità. Che spesso non possiede questo requisito". E secondo Cabrera, anche il film di De Sica, malgrado il pedinamento realistico dei protagonisti, non sfugge a questa sapiente manipolazione artistica.
Il rapporto dell'uomo con la natura, descritto dai presocratici e da Francesco Bacone, è rappresentato invece da film come Lo squalo e Jurassic Park di Steven Spielberg. Cosa succede quando le ineludibili necessità animali vengono ignorate?
Acute poi le osservazioni su Cartesio, filosofo e matematico che attraverso il dubbio esprimeva il massimo anelito alla ricerca di una verità assoluta. A seconda del film che Cabrera analizza, il pensiero cartesiano genera nuove domande: ecco allora Blow-up di Antonioni (si può credere a tutto quello che si vede?), La finestra sul cortile di Hitchcock (come catturare un assassino trascurando Descartes),Istantanee di Jocelyn Moorhouse (esiste una prova morale dell'esistenza del mondo?).
Pulp fiction, con la sua struttura temporale ambigua, sembra invece mandare in frantumi i principi della causalità dell'empirismo di Locke e Hume: il succedersi degli eventi secondo un rigoroso legame tra cause ed effetti, visto il film di Tarantino, diventa un concetto molto più elastico. E ancora, il rapporto tra teoria e prassi studiato da Kant rivive negli esempi dell'Attimo fuggente di Weir e di Un uomo per tutte le stagioni di Zinnemann. L'idea del tempo di Hegel trova conferme di diverso tipo in Paris, Texas di Wenders (la riconciliazione hegeliana di una famiglia distrutta) e in L'impero del sole di Spielberg (il perdersi per ritrovarsi). Il valore della vita si esalta conViridiana di Buñuel (lo Schopenhauer del cinema) e La vita è meravigliosa di Capra (l'ottimista a oltranza).
La carrellata di domande filosofiche prosegue: in politica si può rimanere obiettivi (Marx contro Costa-Gavras e Oliver Stone)? Che rapporto c'è tra eroismo e violenza (Nietzsche contro Clint Eastwood)? Cosa sono l'essere e la condizione umana (Heidegger contro Antonioni e Anderson)? C'è un legame tra libertà e morte (Sartre e Thelma & Louise)? Si chiude con Wittgenstein, dal cui repertorio di citazioni Cabrera adatta una bella metafora per spiegare la poetica di John Ford: "Ciò che non può essere detto, un film di cowboy può benissimo riuscire a mostrarlo".
Fonte: Caffè Europa
Capire la filosofia attraverso i film:
100 anni di cinema per ripensare in modo intelligente e divertente 2500 anni di pensiero. Cartesio e La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock (“il dubbio e il problema della conoscenza”), Hegel e Paris, Texas di Wim Wenders (“la riconciliazione hegeliana di una famiglia distrutta”), Tommaso d'Aquino e Rosemary's Baby di Roman Polanski (“esiste anche una Provvidenza Diabolica?”), Nietzsche e I magnifici sette di John Sturges… Luis Buñuel (“lo Schopenhauer del cinema”) e Michelangelo Antonioni (“l'Heidegger delle immagini”), e poi Steven Spielberg, Vittorio De Sica, Quentin Tarantino, e tanti altri grandi registi convocati a spiegare i grandi della filosofia. E un po', anche, viceversa.
INDICE:
Cinema e filosofia. Per una critica della ragion logopatica. Pensatori “patici” e pensatori “apatici”.
Due attitudini dinanzi alle emergenze del cinema
“Concettidea” e “Concettimmagine”
Come fa una Finzione particolare ad avere qualcosa a che fare con la Verità universale?
Ancora su cinema e filosofia
I. Platone alla guerra (la teoria delle idee)
Introduzione
Il cacciatore di Michael Cimino e Tornando a casa di Hal Ashby. Due film sulla guerra per domandarci: i film di guerra riescono a cogliere l’Idea universale della guerra?
Chi era Platone?
Testi platonici
II. La questione del verosimile: Aristotele e i ladri di biciclette
Introduzione
Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, ovvero: è possibile ritrarre la realtà “in quanto tale”?
Chi era Aristotele?
Testi aristotelici
III. Filosofia e soprannaturale: San Tommaso e il bambino di Rosemary
Introduzione
Rosemary’s Baby di Roman Polanski: esiste anche una Provvidenza Diabolica?
Chi era Tommaso d’Aquino?
Testi tomisti
IV. Il rapporto dell’uomo con la natura: Bacon, Steven Spielberg e il genere catastrofico
Introduzione
Notizie dalla catastrofe: Lo squalo e Jurassic Park di Steven Spielberg, ovvero che cosa succede quando le ineludibili necessità animali vengono ignorate
Piccolo promemoria sulle catastrofi
Chi erano i “fisiologi” greci e Francis Bacon?
Testi antichi e moderni sulla natura
V. Il dubbio e il problema della conoscenza: Descartes e la finestra sul cortile
Introduzione
a) Blow-up di Michelangelo Antonioni, ovvero: si deve credere a tutto quello che si vede?
b) Come catturare un assassino trascurando Descartes: La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock
c) Istantanee di Jocelyn Moorhouse, o la prova morale dell’esistenza del mondo
Chi era Descartes?
Testi cartesiani
VI. La causalità e i critici empiristi del concetto di sostanza: John Locke e David Hume. L’identità di Batman e Quentin Tarantino
Introduzione
a) Sostanze, accidenti e contiguità alterate: i due Batman di Tim Burton, ovvero: esiste una sostanza comune a Batman e Bruce Wayne?
b) Quando il “poi” precede il “prima”: Pulp fiction di Quentin Tarantino e Breve film sull’uccidere di Krzysztof Kieslowski, ovvero le ambiguità della catena causale
Chi erano Locke e Hume?
Testi sulla sostanza e sulla causalità
VII. Teoria e prassi: Kant, Tommaso Moro e l’attimo fuggente
Introduzione
a) Un uomo per tutte le stagioni di Fred Zinnemann e Il mio piede sinistro di Jim Sheridan, ovvero: la libertà è in grado di superare i limiti imposti dalla natura e dalla società?
b) L’attimo fuggente di Peter Weir, ovvero: nel suo conflitto con l’autorità, l’affermazione della libertà può condurre alla morte?
Chi era Kant?
Testi kantiani
VIII. Tempo e pensiero: Hegel, Paris, Texas e il turista per caso
Introduzione
a) La riconciliazione hegeliana di una famiglia distrutta: Paris, Texas di Wim Wenders, un’esperienza dialettica
b) Perdersi per ritrovarsi: L’impero del sole di Steven Spielberg e Turista per caso di Lawrence Kasdan
c) Hiroshima mon amour di Alain Resnais, ovvero la temporalità inseparabile dall’immagine
Chi era Hegel?
Testi hegeliani
IX. Il valore della vita: Schopenhauer, Buñuel e Frank Capra
Introduzione
a) Viridiana di Luis Buñuel (lo Schopenhauer del cinema), ovvero: vale la pena spendersi per gli altri?
b) La vita è meravigliosa di Frank Capra (l’“ottimista a oltranza” dei registi cinematografici), ovvero: si può veramente contare sull’aiuto altrui in caso di bisogno?
Chi era Schopenhauer?
Testi schopenhaueriani
X. Pensiero e politica: Karl Marx, Costa-Gavras, Oliver Stone e il cinema impegnato
Introduzione
a) In politica si può rimanere obiettivi? Z-L’orgia del potere di Konstantin Costa-Gavras, capolavoro tendenzioso
b) Una società quanta verità può sopportare? JFK – Un caso ancora aperto di Oliver Stone
c) Rovistando nel passato: La storia ufficiale di Luis Puenzo
Chi era Marx?
Testi marxiani
XI. Eroismo e violenza: Nietzsche, lo spietato Clint Eastwood e gli assassini nati Introduzione a) Il conflitto fra eroismo e morale: I magnifici sette di John Sturges
b) Il fantastico ritorno dell’ex pistolero: Gli spietati di Clint Eastwood
c) La violenza come modo di essere: Assassini nati di Oliver Stone
Chi era Nietzsche?
Testi nietzschiani
XII. L’essere e l’umana condizione: Martin Heidegger, Michelangelo Antonioni, il tedio e le balene d’agosto
Introduzione
a) L’Heidegger delle immagini: L’eclisse, Deserto rosso e Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, il regista dell’essere
b) Due atteggiamenti nei confronti della vecchiaia e dell’umana condizione: Le balene d’agosto di Lindsay Anderson
Chi era Heidegger?
Testi heideggeriani
XIII. Esistenza e libertà: Jean-Paul Sartre, Thelma, Louise e l’inferno di un matrimonio svedese
Introduzione
a) Thelma & Louise di Ridley Scott, ovvero: c’è un legame implicito tra la libertà e la morte?
b) La libertà non è un semplice fatto “interiore” ma deve anche trasformare il mondo: Le ali della libertà di Frank Darabont
c) Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, o l’irriducibile precarietà dell’esistenza
Chi era Sartre?
Testi sartriani
XIV. I confini del linguaggio: Wittgenstein, il cinema muto e le ombre rosse, ovvero ciò che si dice e ciò che viene effettivamente mostrato
Introduzione
a) Il caso del cinema muto: L’ultima risata di Friedrich W. Murnau e Il cantante di jazz di Alan Crosland, ovvero: il silenzio può esprimere qualcosa?
b) Un western realizzato all’epoca di Wittgenstein: Ombre rosse di John Ford, ovvero: ciò che non può essere detto, un film di cowboy può benissimo riuscire a mostrarlo
Chi era Wittgenstein?
Testi wittgensteiniani
Cos'è la guerra? Un conflitto armato che inizia dove finisce la mediazione politica, potrebbe essere la risposta del filosofo. Definizione ineccepibile. Ma se ne afferra davvero l'essenza? No, perché per cogliere fino in fondo cosa sia la guerra ci vuole qualcosa di più. Ci vuole una risonanza emotiva. Sangue e carne. Speranze distrutte a vent'anni. Sacrificio, terrore, tradimento. Ci vuole, cioè, quello che alla massima potenza esprime soltanto uno strumento relativamente recente: il cinema. In altre parole, l'idea platonica di "guerra" assume un significato molto più chiaro in film come Il cacciatore o Tornando a casa che non in pensosi trattati accademici.
Tra i tanti modi di essere del cinema, infatti, c'è proprio quello di offrire una verifica empirica alle conquiste del pensiero, ai problemi filosofici che hanno attraversato nei secoli l'umanità. E' con questa intuizione che il filosofo argentino Julio Cabrera propone Da Aristotele a Spielberg (Bruno Mondadori), una cavalcata attraverso 2.500 anni di filosofia e un secolo di cinema.
Filosoficamente, spiega Cabrera, il cinema è "concettimmagine", qualcosa cioè che si oppone, per ampliarlo, al "concettidea" del testo scritto. Detta in parole più semplici, il cinema è un mettersi in cammino verso una direzione dedotta "alla buona", indicata dalla nostra bussola con approssimazione, ma senza che si debba per questo svalutarla rispetto ai tracciati ufficiali. Anzi. E così, mentre la filosofia tende spesso a sottomettere la vita a istanze organizzatrici, riparatrici, giustificative o cosmetiche, il cinema fa da antenna all'esperienza. Che, il più delle volte, è demoniaca, fuori controllo, sconcertante. Ma vera.
Da questa premessa anche il pensiero dei grandi filosofi sembra assumere valenze nuove. Si trasforma, in qualche modo, sotto i colpi della pellicola. Il soprannaturale di San Tommaso, per esempio: Cabrera lo legge attraverso Rosemary's Baby di Roman Polanski. Esiste la prova dell'esistenza divina? Certo, sembra rispondere il film, che racconta la consegna di un neonato a una setta satanica. Ma, come la maggior parte delle pellicole, il trascendente è espresso con maggiore forza nella sua forma negativa, quella diabolica.
Argomentazione teorica stringente che si sposa con l'esperienza vissuta sulla pelle dallo spettatore. Anche quando questo non è d'accordo con l'analisi del filosofo o del regista, osserva Cabrera, ciò che conta è il piacere di una rivelazione che di rado il ragionamento scritto riesce a offrire. Tutti i più importanti nodi della storia della filosofia, da Platone a Wittgenstein, sono visitati nel libro con la lente dello studioso-cinefilo. Ecco allora Aristotele, la cui teoria della verosimiglianza nella Poetica è messa a confronto con un film neorealista come Ladri di biciclette: può l'arte riprodurre la realtà del mondo in quanto tale? "Lo spettatore - si legge nel libro - non vuole la verità, ma il possibile, il verosimile, ciò che può riuscire a credere. Vogliamo essere sì ingannati, ma con qualcosa che assomigli alla verità. Che spesso non possiede questo requisito". E secondo Cabrera, anche il film di De Sica, malgrado il pedinamento realistico dei protagonisti, non sfugge a questa sapiente manipolazione artistica.
Il rapporto dell'uomo con la natura, descritto dai presocratici e da Francesco Bacone, è rappresentato invece da film come Lo squalo e Jurassic Park di Steven Spielberg. Cosa succede quando le ineludibili necessità animali vengono ignorate?
Acute poi le osservazioni su Cartesio, filosofo e matematico che attraverso il dubbio esprimeva il massimo anelito alla ricerca di una verità assoluta. A seconda del film che Cabrera analizza, il pensiero cartesiano genera nuove domande: ecco allora Blow-up di Antonioni (si può credere a tutto quello che si vede?), La finestra sul cortile di Hitchcock (come catturare un assassino trascurando Descartes),Istantanee di Jocelyn Moorhouse (esiste una prova morale dell'esistenza del mondo?).
Pulp fiction, con la sua struttura temporale ambigua, sembra invece mandare in frantumi i principi della causalità dell'empirismo di Locke e Hume: il succedersi degli eventi secondo un rigoroso legame tra cause ed effetti, visto il film di Tarantino, diventa un concetto molto più elastico. E ancora, il rapporto tra teoria e prassi studiato da Kant rivive negli esempi dell'Attimo fuggente di Weir e di Un uomo per tutte le stagioni di Zinnemann. L'idea del tempo di Hegel trova conferme di diverso tipo in Paris, Texas di Wenders (la riconciliazione hegeliana di una famiglia distrutta) e in L'impero del sole di Spielberg (il perdersi per ritrovarsi). Il valore della vita si esalta conViridiana di Buñuel (lo Schopenhauer del cinema) e La vita è meravigliosa di Capra (l'ottimista a oltranza).
La carrellata di domande filosofiche prosegue: in politica si può rimanere obiettivi (Marx contro Costa-Gavras e Oliver Stone)? Che rapporto c'è tra eroismo e violenza (Nietzsche contro Clint Eastwood)? Cosa sono l'essere e la condizione umana (Heidegger contro Antonioni e Anderson)? C'è un legame tra libertà e morte (Sartre e Thelma & Louise)? Si chiude con Wittgenstein, dal cui repertorio di citazioni Cabrera adatta una bella metafora per spiegare la poetica di John Ford: "Ciò che non può essere detto, un film di cowboy può benissimo riuscire a mostrarlo".
Fonte: Caffè Europa
Tutto quello che Socrate direbbe a Woody Allen:
Rivera prende spunto da situazioni e sviluppi di film tra i più classici della storia del cinema (Scarpette rosse, Fronte del porto, Casablanca, Arancia meccanica tra gli altri) per illustrare problemi filosofici afferenti all'area morale ed etica; con la particolarità che anche Platone, Agostino e Hobbes vengono visti tramite la lente terminologica di pensatori (anche viventi) della seconda metà del Novecento, prendendo quindi in prestito parole originate nella psicologia e nelle scienze sociali.
È spiegata la natura di sottoprodotto della felicità, nei termini in cui essa non è ottenibile per mezzo di uno sforzo ad essa direttamente o indirettamente finalizzato, ma si manifesta solo come effetto collaterale di altre attività, del superamento di un ostacolo, o come passaggio da uno stato di malessere ad uno di benessere, o ancora come anticipazione di un momento desiderato (in senso leopardiano); è illustrato il problema delle metapreferenze morali e del possibile scarto nella loro attuazione in dipendenza della forza di volontà dell'individuo, mettendo in evidenza contemporaneamente come la lente temporale tenda a rimpicciolire, al momento della scelta, i mali e i beni più distanti nel futuro, facendo sì che all'individuo appaiano come più grandi i beni e mali vicini, pur magari conoscendo razionalmente il vero peso di ciascuno dei termini della scelta; sono confrontati i sistemi etici di tipo utilitaristico, nei quali si raffrontano vantaggi e svantaggi di ogni scelta, tendendo ad assumere la posizione che presenta il maggior numero di beni/vantaggi (o il minor numero di mali/svantaggi) per tutti, con i sistemi di tipo deontologico (kantiano), dove ogni scelta è regolata dalla sua intrinseca rispondenza ad un principio trascendente di giustizia (che proprio per questa caratteristica di assolutezza escludono automaticamente la pietà).
La parte finale del libro è dedicata al problema faustiano delle conseguenze delle scelte, delle vite possibili (e per estensione, dei mondi possibili) costituiti dalle varie possibili alternative presenti al momento della scelta, degli effetti farfalla orizzontali e verticali che legano consequenzialmente le nostre scelte tra loro e alle vite degli altri, ed alle limitazioni poste in partenza dal cosiddetto caso naturale (l'essere nato in un dato luogo e tempo, in un dato contesto sociale e con date caratteristiche genetiche), con tutti i problemi etici che deriverebbero dalle interferenze, anche virtuali, con esso.
Rivera prende spunto da situazioni e sviluppi di film tra i più classici della storia del cinema (Scarpette rosse, Fronte del porto, Casablanca, Arancia meccanica tra gli altri) per illustrare problemi filosofici afferenti all'area morale ed etica; con la particolarità che anche Platone, Agostino e Hobbes vengono visti tramite la lente terminologica di pensatori (anche viventi) della seconda metà del Novecento, prendendo quindi in prestito parole originate nella psicologia e nelle scienze sociali.
È spiegata la natura di sottoprodotto della felicità, nei termini in cui essa non è ottenibile per mezzo di uno sforzo ad essa direttamente o indirettamente finalizzato, ma si manifesta solo come effetto collaterale di altre attività, del superamento di un ostacolo, o come passaggio da uno stato di malessere ad uno di benessere, o ancora come anticipazione di un momento desiderato (in senso leopardiano); è illustrato il problema delle metapreferenze morali e del possibile scarto nella loro attuazione in dipendenza della forza di volontà dell'individuo, mettendo in evidenza contemporaneamente come la lente temporale tenda a rimpicciolire, al momento della scelta, i mali e i beni più distanti nel futuro, facendo sì che all'individuo appaiano come più grandi i beni e mali vicini, pur magari conoscendo razionalmente il vero peso di ciascuno dei termini della scelta; sono confrontati i sistemi etici di tipo utilitaristico, nei quali si raffrontano vantaggi e svantaggi di ogni scelta, tendendo ad assumere la posizione che presenta il maggior numero di beni/vantaggi (o il minor numero di mali/svantaggi) per tutti, con i sistemi di tipo deontologico (kantiano), dove ogni scelta è regolata dalla sua intrinseca rispondenza ad un principio trascendente di giustizia (che proprio per questa caratteristica di assolutezza escludono automaticamente la pietà).
La parte finale del libro è dedicata al problema faustiano delle conseguenze delle scelte, delle vite possibili (e per estensione, dei mondi possibili) costituiti dalle varie possibili alternative presenti al momento della scelta, degli effetti farfalla orizzontali e verticali che legano consequenzialmente le nostre scelte tra loro e alle vite degli altri, ed alle limitazioni poste in partenza dal cosiddetto caso naturale (l'essere nato in un dato luogo e tempo, in un dato contesto sociale e con date caratteristiche genetiche), con tutti i problemi etici che deriverebbero dalle interferenze, anche virtuali, con esso.
Un filosofo al cinema:
Un libro che interpreta il cinema alla ricerca di risposte alle questioni fondamentali dell'esistenza umana. Tanti esercizi di lettura, in cui cinema e filosofia instaurano un'interessante conversazione.
Nel Preludio con cui apre il suo libro Un filosofo al cinema, Umberto Curi definisce l’assunto di partenza del proprio lavoro. L’idea di leggere il cinema del panorama internazionale degli ultimi anni, con gli strumenti offerti dalla riflessione filosofica, nasce dall’esigenza di riconoscere nei film di cui siamo spettatori delle possibili risposte a problemi fondamentali del vivere quotidiano.Professore ordinario di Storia della Filosofia dell’Università di Padova, Curi sostiene che per apprezzare fino in fondo il valore di un film e godere veramente di esso si debba ascoltare quello che il film ci dice sulle grandi questioni della nostra esistenza. Non limitarsi dunque ad assistere ad una rappresentazione, ma confrontarsi con il film e dialogare con esso. Per descrivere il suo progetto, l’autore cita Deleuze, che afferma di aver iniziato a scrivere di cinema quando «dei problemi filosofici mi hanno spinto a cercare queste risposte nel cinema, anche se queste risposte mettevano sul tappeto altri problemi».Ed è proprio su questi problemi che si concentra l’analisi di Curi. Il saggio si divide in sei parti, ognuna delle quali affronta una delle grandi domande su cui si è interrogata la filosofia. Si va dal tema dello straniero a quello del rapporto tra vita e morte, dal doppio alla meditazione sulla fragilità dell’esistenza umana, dalla violenza alla concezione del tempo. L’autore pone la questione, analizzandola con vari riferimenti alla storia della filosofia, per poi indagare le possibili risposte in una scelta di film, che offrono uno spettro ampio di soluzioni. Si instaura così un confronto dialettico, mirato a offrire una critica cinematografica che, per usare ancora le parole del Deleuze citato da Curi, non «si rinchiude nel cinema come in un ghetto», spingendosi anche oltre il valore artistico del film e la sua rilevanza nella storia del cinema.Per osservare il tema dello Straniero che ci abita, e quindi del rapporto con l’altro, con il diverso e con l’identità, questione centrale nella tradizione del pensiero occidentale, Curi sceglie per esempio L’uomo del treno (2002). Il film di Patrice Leconte offre una rappresentazione della diversità, vissuta come possibilità di riconoscersi. L’incontro tra i due protagonisti, un bandito e un anziano professore di francese che vive solo in una dimora in decadenza, si rivela uno scambio di identità. L’incrociarsi dei loro percorsi esistenziali non altera la loro diversità, perché «l’uno finisce per occupare la “posizione” dell’altro». Mentre il Million Dollar Baby di Clint Eastwood viene letto come rappresentazione dell’eros che si libera «da ogni identità circoscritta, mostrandone [...] l’incancellabile relazione con thanatos», Buongiorno notte di Marco Bellocchio è interpretato come «una vera e propria meditatio mortis», in cui la dimensione notturna allude all’incapacità di razionalizzare la tragedia. Curi sceglie film che tematizzano i problemi da diverse angolazioni, come nel caso della Morfogenesi della violenza, introdotta con riferimento a René Girard, e analizzata grazie alla ricostruzione della violenza nelle metropoli americane di Gangs of New York (2001) di Martin Scorsese, o alla violenza come vendetta del Collateral (2004) di Michael Mann, o ancora alla banalità del male dipinta da Gus Van Sant in Elephant(2003). Senza voler fare storia del cinema, né tantomeno proporre una teoria, Curi offre degli esercizi di lettura, una «perlustrazione nel vivo dei testi», nel tentativo «di renderne più compiutamente leggibile la filigrana concettuale».
Un libro che interpreta il cinema alla ricerca di risposte alle questioni fondamentali dell'esistenza umana. Tanti esercizi di lettura, in cui cinema e filosofia instaurano un'interessante conversazione.
Nel Preludio con cui apre il suo libro Un filosofo al cinema, Umberto Curi definisce l’assunto di partenza del proprio lavoro. L’idea di leggere il cinema del panorama internazionale degli ultimi anni, con gli strumenti offerti dalla riflessione filosofica, nasce dall’esigenza di riconoscere nei film di cui siamo spettatori delle possibili risposte a problemi fondamentali del vivere quotidiano.Professore ordinario di Storia della Filosofia dell’Università di Padova, Curi sostiene che per apprezzare fino in fondo il valore di un film e godere veramente di esso si debba ascoltare quello che il film ci dice sulle grandi questioni della nostra esistenza. Non limitarsi dunque ad assistere ad una rappresentazione, ma confrontarsi con il film e dialogare con esso. Per descrivere il suo progetto, l’autore cita Deleuze, che afferma di aver iniziato a scrivere di cinema quando «dei problemi filosofici mi hanno spinto a cercare queste risposte nel cinema, anche se queste risposte mettevano sul tappeto altri problemi».Ed è proprio su questi problemi che si concentra l’analisi di Curi. Il saggio si divide in sei parti, ognuna delle quali affronta una delle grandi domande su cui si è interrogata la filosofia. Si va dal tema dello straniero a quello del rapporto tra vita e morte, dal doppio alla meditazione sulla fragilità dell’esistenza umana, dalla violenza alla concezione del tempo. L’autore pone la questione, analizzandola con vari riferimenti alla storia della filosofia, per poi indagare le possibili risposte in una scelta di film, che offrono uno spettro ampio di soluzioni. Si instaura così un confronto dialettico, mirato a offrire una critica cinematografica che, per usare ancora le parole del Deleuze citato da Curi, non «si rinchiude nel cinema come in un ghetto», spingendosi anche oltre il valore artistico del film e la sua rilevanza nella storia del cinema.Per osservare il tema dello Straniero che ci abita, e quindi del rapporto con l’altro, con il diverso e con l’identità, questione centrale nella tradizione del pensiero occidentale, Curi sceglie per esempio L’uomo del treno (2002). Il film di Patrice Leconte offre una rappresentazione della diversità, vissuta come possibilità di riconoscersi. L’incontro tra i due protagonisti, un bandito e un anziano professore di francese che vive solo in una dimora in decadenza, si rivela uno scambio di identità. L’incrociarsi dei loro percorsi esistenziali non altera la loro diversità, perché «l’uno finisce per occupare la “posizione” dell’altro». Mentre il Million Dollar Baby di Clint Eastwood viene letto come rappresentazione dell’eros che si libera «da ogni identità circoscritta, mostrandone [...] l’incancellabile relazione con thanatos», Buongiorno notte di Marco Bellocchio è interpretato come «una vera e propria meditatio mortis», in cui la dimensione notturna allude all’incapacità di razionalizzare la tragedia. Curi sceglie film che tematizzano i problemi da diverse angolazioni, come nel caso della Morfogenesi della violenza, introdotta con riferimento a René Girard, e analizzata grazie alla ricostruzione della violenza nelle metropoli americane di Gangs of New York (2001) di Martin Scorsese, o alla violenza come vendetta del Collateral (2004) di Michael Mann, o ancora alla banalità del male dipinta da Gus Van Sant in Elephant(2003). Senza voler fare storia del cinema, né tantomeno proporre una teoria, Curi offre degli esercizi di lettura, una «perlustrazione nel vivo dei testi», nel tentativo «di renderne più compiutamente leggibile la filigrana concettuale».
Il cinema: tra storia e filosofia
Il volume di Andrea Sani legge il cinema come vasto campo di rappresentazioni - di immagini, ma soprattutto di temi e racconti - in cui ricercare nessi, corispondenze e richiami a problemi di ordine storico e filosofico.
In campo filosofico i modelli teorici a cui l'autore si richiama sono i recenti contributi di U. Curi (Lo schermo del pensiero. Cinema e filosofia, Milano, Cortina editore, 2000) e J. Cabrera (Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film, Milano, Bruno Mondadori, 2000), oltre che l'ormai classica e imprescindibile prospettiva deleuziana (G. Deleuze, L'immagine-movimento, Milano, Ubulibri, 1989; id., L'immagine-tempo, Milano, Ubulibri, 1989). Su queste tracce Sani propone una lettura delle immagini filmiche come "concettualizzazioni immaginative", ovvero come icone in grado di restituire un'idea filosofica in modo immediato e diretto grazie a un maggiore impatto emotivo rispetto alla parola scritta. Il cinema appare come un commento e quasi un'illustrazione di nozioni cardine della filosofia occidentale: così l'opera di Kubrick è accostata al pensiero di Nietzsche e Jung, mentre L'uomo che sapeva troppo ePsycho di Hitchcock illustrano passi della Poetica di Aristotele.Sul terreno storico Sani vede nel cinema una fonte sia per lo studio dell'epoca rappresentata - così accade ad esempio per La caduta degli dèi di Visconti - sia per una lettura del periodo in cui il film stesso è stato realizzato (è il caso delle pellicole sul Vietnam girate negli Stati Uniti in tempi diversi e fondate perciò su ottiche contraddittorie), recuperando in questo modo le impostazioni degli studiosi francesi Marc Ferro (Cinema e storia. Linee per una ricerca, Milano, Feltrinelli, 1980) e Pierre Sorlin (La storia nei film. Interpretazioni del passato, Firenze, La Nuova Italia, 1984).Il volume apre così una prospettiva allargata sul cinema, visto come agente comunicatore di filosofia e fonte per la storia, in grado di portare un contributo rinnovato al dibattito sulle idee.
Il volume di Andrea Sani legge il cinema come vasto campo di rappresentazioni - di immagini, ma soprattutto di temi e racconti - in cui ricercare nessi, corispondenze e richiami a problemi di ordine storico e filosofico.
In campo filosofico i modelli teorici a cui l'autore si richiama sono i recenti contributi di U. Curi (Lo schermo del pensiero. Cinema e filosofia, Milano, Cortina editore, 2000) e J. Cabrera (Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film, Milano, Bruno Mondadori, 2000), oltre che l'ormai classica e imprescindibile prospettiva deleuziana (G. Deleuze, L'immagine-movimento, Milano, Ubulibri, 1989; id., L'immagine-tempo, Milano, Ubulibri, 1989). Su queste tracce Sani propone una lettura delle immagini filmiche come "concettualizzazioni immaginative", ovvero come icone in grado di restituire un'idea filosofica in modo immediato e diretto grazie a un maggiore impatto emotivo rispetto alla parola scritta. Il cinema appare come un commento e quasi un'illustrazione di nozioni cardine della filosofia occidentale: così l'opera di Kubrick è accostata al pensiero di Nietzsche e Jung, mentre L'uomo che sapeva troppo ePsycho di Hitchcock illustrano passi della Poetica di Aristotele.Sul terreno storico Sani vede nel cinema una fonte sia per lo studio dell'epoca rappresentata - così accade ad esempio per La caduta degli dèi di Visconti - sia per una lettura del periodo in cui il film stesso è stato realizzato (è il caso delle pellicole sul Vietnam girate negli Stati Uniti in tempi diversi e fondate perciò su ottiche contraddittorie), recuperando in questo modo le impostazioni degli studiosi francesi Marc Ferro (Cinema e storia. Linee per una ricerca, Milano, Feltrinelli, 1980) e Pierre Sorlin (La storia nei film. Interpretazioni del passato, Firenze, La Nuova Italia, 1984).Il volume apre così una prospettiva allargata sul cinema, visto come agente comunicatore di filosofia e fonte per la storia, in grado di portare un contributo rinnovato al dibattito sulle idee.
Esercizi di filosofia al cinema:
Il rapporto tra il cinema e la filosofia è cosa nuova: quasi neonata è la possibilità di espressione dell’esperienza umana attraverso le tecniche cinematografiche; antiche ma in fase di profondo ripensamento sono le modalità di elaborazione del pensiero attraverso la concettualizzazione filosofica. Mettere insieme cinema e filosofia, pertanto, è cosa recente ed estremamente problematica.
Partendo da un’esperienza di lavoro comune – la presentazione a un pubblico eterogeneo di alcuni cicli di film, spesso privi di un contenuto filosofico esplicitamente dichiarato – un gruppo di docenti di filosofia ha costruito una serie di percorsi filosofici con e attraverso il cinema: ogni lettura dei film proposti è un tentativo, un particolare esercizio di filosofia al cinema. Lontani dall’idea di proporre dei saggi di critica cinematografica, gli autori hanno inteso sondare e attraversare il territorio di confine (di unione e di separazione insieme) tra cinema e filosofia considerando questo ambito come un caso particolare della relazione tra immagine e concetto, tra rappresentazione sensibile e concettualizzazione, condividendo la ricerca dei significati di una simile esperienza.
Insieme a questa idea è sempre operante, alla base di questo lavoro, la convinzione che il divertimento regalato da un film meriti la riconoscenza del pensiero, non solo il suo accanimento critico o il desiderio di una fuga estemporanea dalla concretezza della vita: compito della filosofia al cinema è sia lasciarsi ammaliare dalla fiction che imparare a discostarsi e ad avvicinarsi in modo riflessivo, non ingenuo, ai miti e alle visioni del nostro momento storico.
Il rapporto tra il cinema e la filosofia è cosa nuova: quasi neonata è la possibilità di espressione dell’esperienza umana attraverso le tecniche cinematografiche; antiche ma in fase di profondo ripensamento sono le modalità di elaborazione del pensiero attraverso la concettualizzazione filosofica. Mettere insieme cinema e filosofia, pertanto, è cosa recente ed estremamente problematica.
Partendo da un’esperienza di lavoro comune – la presentazione a un pubblico eterogeneo di alcuni cicli di film, spesso privi di un contenuto filosofico esplicitamente dichiarato – un gruppo di docenti di filosofia ha costruito una serie di percorsi filosofici con e attraverso il cinema: ogni lettura dei film proposti è un tentativo, un particolare esercizio di filosofia al cinema. Lontani dall’idea di proporre dei saggi di critica cinematografica, gli autori hanno inteso sondare e attraversare il territorio di confine (di unione e di separazione insieme) tra cinema e filosofia considerando questo ambito come un caso particolare della relazione tra immagine e concetto, tra rappresentazione sensibile e concettualizzazione, condividendo la ricerca dei significati di una simile esperienza.
Insieme a questa idea è sempre operante, alla base di questo lavoro, la convinzione che il divertimento regalato da un film meriti la riconoscenza del pensiero, non solo il suo accanimento critico o il desiderio di una fuga estemporanea dalla concretezza della vita: compito della filosofia al cinema è sia lasciarsi ammaliare dalla fiction che imparare a discostarsi e ad avvicinarsi in modo riflessivo, non ingenuo, ai miti e alle visioni del nostro momento storico.