Identità tra la musica e le sue tecniche
La caratteristica della seconda concezione fondamentale della musica è l'identità, che essa implica, tra la musica e le sue tecniche. Tale identità fu chiaramente espressa da Aristotele con il riconoscimento della molteplicità delle tecniche musicali."La musica, egli diceva, non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, poiché può servire per l'educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per il riposo, il sollevamento dell'anima e la sospensione dalla fatiche.Da ciò risulta che bisogna far uso di tutte le armonie, ma non di tutte allo stesso modo, impiegando per l'educazione quelle che hanno un maggiore contenuto morale, per l'ascolto della musica eseguite da altri quelle che incitano all'azione o ispirano alla commozione".Queste considerazioni che, nella loro apparente semplicità, sembrano escludere un'interpretazione filosofica della musica, in realtà esprimono il concetto che la musica è un insieme di tecniche espressive, aventi scopi o usi diversi e che possono essere indefinitamente e opportunamente variate.E questo concetto è in realtà il solo che ha aiutato e sorretto lo sviluppo dell'arte musicale.
Esso ritornò nel Rinascimento e veniva così espresso da Vincenzo Galilei: "L'uso della musica fu dagli uomini introdotto per il rispetto e il fine che di comun parere dicono tutti i savi; il quale non da altro principalmente nacque che dall'esprimere con efficacia maggiore i concetti dell'animo loro nel celebrare le lodi degli Dei, dei geni e, degli eroi, come dai canti fermi e piani ecclesiastici, origine di questa nostra a più voci si può in parte comprendere, e d'imprimergli, secondariamente, con pari forza nelle menti dei mortali per utile e comodo loro " (Dialogo della musica antica e della moderna, 1581, ediz. Fano, 947, pag. 95-96). In queste parole di Galilei appare anche chiaramente riconosciuto il carattere espressivo delle tecniche musicali: un carattere che fa della musica un'arte nel senso moderno del termine.
In posizione trasversale rispetto al riconoscimento del carattere espressivo delle tecniche si pone Cartesio, che riportando il piacere (delectatio) alla costituzione dell'oggetto sensibile, concentra l'attenzione su un'analisi meccanicistica dei parametri sonori, smentendo le possibilità di una scienza del gusto attraverso un'ipotesi relativista che lo riduce a un evento psicologico non generalizzabile.Come dovrà chiarire una lettera a Mercenne, "tutti sanno che la quinta è più dolce della quarta, e quest'ultima più della terza maggiore, e la terza maggiore più della terza minore; e tuttavia ci sono dei luoghi in cui la terza minore piacerà di più della quinta,e dove persino una dissonanza potrà essere trovata più gradevole di una consonanza".Nonostante lo scetticismo riguardante il proposito di far corrispondere le strutture musicali a una specifica reazione emotiva, Cartesio dovrà rappresentare un riferimento costante per l'estetica musicale del XVIII secolo.Largamente recepito nelle premesse del Traité de l'harmonie (1722) di Jean-Philipe Rameau, il paradigma epistemologico razionalista rappresenta il terreno sul quale, grazie all'innesto delle tecniche empiriste, si sviluppa il dibattito degli Illuministi, il cui motivo unificatore si lascia riconoscere nell'"affermazione della musica come linguaggio e comunicazione".
Riconducendo il piacere estetico alla "percezione dei rapporti", Diderot si serve della nozione di "geroglifico" al fine di evidenziare una struttura formale sottoponibile alle più vitalistiche proiezioni di senso. A partire dalla comune fonte di riferimento, rappresentata dalla gnoseologia di Condillac, nell'Essai sur l'origine des langues Rousseau riformula una teoria sull'imitazione, fondandola su una ricostruzione congetturale dell'origine comune di musica e linguaggio, che dovrà esercitare una profonda influenza sulla letteratura europea di fine secolo, da Herder allo Sturm und Drang.
Il concetto di tecnica espressiva è espresso da Kant con la nozione di "bel gioco di sensazioni" di cui egli si avvale per definire sia la musica, sia la tecnica dei colori. Kant osserva che "non si può sapere con certezza se un colore e un suono siano semplici sensazioni piacevoli o se siano già in se stesse un bel gioco di sensazioni e quindi contengano, in questo gioco, un piacere che dipende dalla loro forma nel giudizio estetico". Alcuni fatti, e specialmente la mancanza della sensibilità artistica in alcuni uomini e l'eccellenza di tale sensibilità in altri, convincono a considerare le sensazioni dei due sensi, vista e udito, non come semplici impressioni sensibili, ma come "l'effetto di un giudizio formale nel gioco di molte sensazioni". In ogni caso, "a seconda che si adotterà l'una o l'altra opinione nel giudicare del principio della musica ne sarà diversa la definizione e o si definirà, come noi abbiamo fatto, quale un bel gioco di sensazioni (dell'udito) o come un gioco di sensazioni piacevoli.Secondo la prima definizione, la musica è considerata come arte bella senz'altro, con la seconda è invece considerata, almeno in parte, come arte piacevole".Il concetto di "bel gioco di sensazioni" tende già ad esprimere una nozione sintattica della musica e per di più una nozione per la quale la ricerca sintattica può essere indirizzata liberamente in tutte le direzioni (questo è implicito nella parola "gioco").
Verso la metà dell'800 questa nozione veniva più rigorosamente e chiaramente formulata nello scritto di Eduard Hanslick, "Il bello musicale" (1854) che rimane a tutt'oggi una delle più importanti opere di estetica musicale. Hanslick si schiera polemicamente contro il concetto romantico della musica come "rappresentazione del sentimento". L'oggetto proprio della musica è piuttosto il bello musicale: intendendo con ciò "un bello che, senza dipendere e senza abbisognare di alcun contenuto esteriore, consiste unicamente nei suoni e nel loro artistico collegamento.Le ingegnose combinazioni dei bei suoni, il loro concordare e opporsi, il loro sfuggirsi e raggiungersi, il loro crescere e morire, questo è ciò che in libere forme si presenta alla intuizione del nostro spirito e che ci piace come bello. L'elemento primordiale della musica è l'eufonia, la sua essenza il ritmo".Così intesa la musica s'identifica con la tecnica realizzatrice. Dice Hanslick a questo proposito: "Se non si sa riconoscere tutta la bellezza che vive nell'elemento puramente musicale, molta colpa è da attribuirsi al disprezzo del sensibile che negli antichi esteti troviamo in favore della morale e del sentimento, in Hegel in favore dell'idea. Ogni arte parte dal sensibile e in esso si muove. La teoria del sentimento disconosce questo fatto, trascura completamente l'udire e prende in considerazione immediatamente il sentire. Essi pensano che la musica sia fatta per il cuore e che l'orecchio sia una cosa triviale".
Dall'altro lato Hanslick ha espresso pure con chiarezza il carattere che differenzia il linguaggio musicale dal linguaggio comune. "La differenza, egli dice, consiste in questo, che nel linguaggio il suono è solo un segno cioè un mezzo per esprimere qualcosa di completamente estraneo a questo mezzo, mentre nella musica il suono ha importanza in sé, cioè è scopo a se stesso. La bellezza autonoma delle bellezze sonore qui, e l'assoluto predominio del pensiero sul suono come su un puro e semplice mezzo di espressione là, si contrappongono in maniera così definitiva che una mescolanza dei due princìpi è una impossibilità logica".Questo carattere tuttavia non è proprio soltanto del linguaggio musicale ma di ogni linguaggio artistico, di fronte al comune linguaggio.
Per quanto riguarda la nozione di musica cui esplicitamente hanno fatto e fanno ricorso musicisti, critici, studiosi di estetica musicale sia ancora e sempre quella di "rappresentazione del sentimento", la nozione della musica come tecnica di una sintassi dei suoni le cui regole possono essere indefinitamente variate, è quella che ha prevalso nella pratica della creazione musicale e nella ricerca di nuovi e più liberi modi di tale creazione. L'ultimo e più radicale tentativo di liberazione della lingua musicale della sintassi tradizionale è la cosiddetta musica atonale. Questa non è altro che l'affermazione programmatica della libertà del linguaggio musicale di scegliere la sua propria disciplina: la quale, in qualche caso particolare può essere anche quella tonale.Dice a questo proposito Schonberg: "L'emancipazione della dissonanza, cioè la sua equiparazione con i suoni consonanti (che nella mia Harmonirlrhre spiego con il fatto che la differenza tra consonanza e dissonanza non è una differenza antitetica ma graduale, che cioè le consonanze sono i suoni più vicini al suono fondamentale e le dissonanze quelli più lontani; e che di conseguenza la loro comprensibilità è graduata, essendo i suoni più vicini più facilmente afferrabili di quelli lontani) avvenne inconsapevolmente, con il presupposto che la sua comprensibilità può essere garantita quando venga favorita da determinate circostanze. Non bastando l'orecchio da solo a riconoscere ed a comprendere i rapporti e le funzioni, tali circostanze si trovarono nel campo dell'espressione e in quello, fino allora poco considerato, della sonorità.
Da questo punto di vista la tonalità si definisce in modo generalissimo come "tutto ciò che risulta da una serie di note, coordinata sia mediante il diretto riferimento ad un'unica nota fondamentale sia mediante collegamenti più complicati. Alban Berg osservava che "la rinuncia alla tonalità "maggiore", "minore" non implica affatto l'anarchia armonica" perchè "anche se per la perdita del "maggiore" e del "minore", sono venute meno alcune possibilità armoniche, sono però rimasti tutti gli altri elementi essenziali della musica vera ed autentica". Quale sia il giudizio di gusto che si vuol dare sulle opere musicali ispirate da questo programma, non c'è dubbio che il programma stesso non è altro che la liberalizzazione della lingua musicale e delle sue tecniche dalle pastoie della sintassi tradizionale e l'avviamento alla ricerca di nuove forme sintattiche, che possono anche, occasionalmente, coincidere con quelle tradizionali.La musica atonale è pertanto la realizzazione, nel campo della musica, di quella stessa esigenza di liberazione che nel campo della pittura è l'astrattismo: come quest'ultimo intende prescindere dalle forme stabilite o riconosciute della rappresentazione o della percezione, così la musica intende prescindere dalle forme stabilite e riconosciute dell'armonia musicale.L'una e l'altra vanno in cerca di nuove discipline, di nuove forme sintattiche per le loro tecniche espressive. E l'una e l'altra presuppongono (pur senza averne sempre un chiaro concetto) la nozione dell'arte come "tecnica dell'espressione"; intendendosi per espressione le forme libere e finali della sintassi linguistica.
Poichè fu quella nozione di musica che presiedette, sul finire del Medioevo e nel Rinascimento, alla genesi della musica moderna in quanto si presentò fin dall'inizio come ricerca di tecniche espressive, si può scorgere in essa la condizione che garantisce anche oggi alla musica la sua capacità di sviluppo.
In continuità con una linea di interesse che attraversa l'illuminismo e manifesta il suo ampio snodo nell'Ottocento (Schelling, Hegel, Schopenhauer, Kierkegaard), le filosofie del Novecento si concentrano sulla natura essenzialmente temporale ed ante-predicativa della musica, considerata in molti casi come un linguaggio autonomo, più autentico e originario nell'evidenziare il suo legame con l'esperienza, ovvero come l'esempio di un pensiero senza immagine. La panoramica può essere delineata sulla base di alcuni principali modelli teorici.a) il pensiero dialettico. Assorbendo le tematiche dell'espressionismo, in Geist der Utopie (1918-23) Ernst Bloch privilegia l'esperienza dell'ascolto nel formulare l'ipotesi di una temporalità utopica fondata sulla relazione di soggetto/oggetto, spingendosi fino al disegno di una filosofia della storia della musica. Con analoga aspirazione, a partire dalla crisi della forma registrata in Beethoven, Theodor Wiesengrund Adorno indaga gli sviluppi della modernità nella contrapposizione enfatica di Schonberg e Stravinskij, formulando un modello interpretativo che integra l'analisi tecnica con una lettura storico-sociale mirata, hegelianamente, a "esprimere il rapporto della cosa con la verità".La musica viene riportata così al movimento di uno spirito oggettivo storicamente condizionato e "sedimentato nei materiali", sollecitando un'approfondita analisi delle componenti del linguaggio che, a prescindere dalle forzature analogiche, sorregge i risultati dello sforzo ermeneutico.
b) il Bergsonismo. Nel secondo dopoguerra, la riflessione sulla musica in Francia si raccoglie all'insegna di alcune nozioni cardinali della filosofia di Bergson. Gisèle Brelet (Le temps musical, 1949) indica il fondamento dell'espressione nella durée che pertiene ontologicamente alla vita della coscienza, facendo attenzione a salvaguardare l'autonomia delle componenti del linguaggio. Negando che la musica possa riflettere le modalità dello sviluppo discorsivo, Vladimir Jankélévitch la riconduce a un vissuto di cui sostiene l'essenziale ineffabilità, individuando il suo manifestarsi come flusso temporale continuo nell'opera di Fauré, e impegnandosi in un'interpretazione, modulata all'incrocio fra tematiche simboliste ed esistenzialiste, delle discontinuità prodotte dall'opera di Debussy.Persuaso che l'analisi tecnica non sia altro che "un modo di rifiutare quell'abbandono spontaneo alla grazia che lo charme esige", Jankélévitch attribuisce alla musica "un je-ne-sais-quoi inafferrabile quanto il mistero dell'atto creativo".
c) La fenomenologia. Suggestioni tratte dalla prospettiva fenomenologica vengono associate alle innovazioni tecniche del linguaggio musicale da René Leibowitz e Luigi Rognoni, portati ad evidenziare nel serialismo, rispettivamente si Schonberg e di Webern, il risultati di un processo analogo a quello teorizzato da Husserl.A risultati diametralmente opposti giunge Ernest Ansermet con Les fondements de la musique dans la conscience humaine (1961), impegnato a dimostrare che "la legge della coscienza musicale è la sua legge tonale".
Meno racchiuse entro l'orizzonte di uno specifico linguaggio appaiono le annotazioni con cui Alfred Schutz indica le possibilità di considerare la musica "come fenomeno della nostra vita di coscienza". Ulteriori esiti dell'applicazione di questa prospettiva al campo dell'analisi si sviluppano, a partire dalla fine degli anni Sessanta, nell'ambito della musicologia statunitense (Clifton, Ferrara, Smith, Bartholomew).Con più sicuro impegno teorico, Giovanni Piana (Filosofia della musica, 1991) indaga le componenti del fenomeno sonoro spingendosi fino all'ipotesi di un livello simbolico che apre l'analisi della relazione di esperienza ai "dinamismi immaginativi latenti". Nozioni della fenomenologia entrano anche nel dibattito sulla teoria e la storia della ricezione, fornendo un apporto concettuale utile a ridimensionare gli obiettivi e la portata delle ipotesi ricostruttive di orientamento storico e filologico.Esemplare in proposito un saggio degli anni Cinquanta (L'opera musicale e il problema della sua identità, 1966), in cui Roman Ingarden imposta il problema della permanenza dell'opera musicale nel tempo storico, configurandola nei termini di un "oggetto intenzionale con le proprietà di una tonalità unitaria".
Fonte: Storia della filosofia e dizionario di filosofia di N.A.
Esso ritornò nel Rinascimento e veniva così espresso da Vincenzo Galilei: "L'uso della musica fu dagli uomini introdotto per il rispetto e il fine che di comun parere dicono tutti i savi; il quale non da altro principalmente nacque che dall'esprimere con efficacia maggiore i concetti dell'animo loro nel celebrare le lodi degli Dei, dei geni e, degli eroi, come dai canti fermi e piani ecclesiastici, origine di questa nostra a più voci si può in parte comprendere, e d'imprimergli, secondariamente, con pari forza nelle menti dei mortali per utile e comodo loro " (Dialogo della musica antica e della moderna, 1581, ediz. Fano, 947, pag. 95-96). In queste parole di Galilei appare anche chiaramente riconosciuto il carattere espressivo delle tecniche musicali: un carattere che fa della musica un'arte nel senso moderno del termine.
In posizione trasversale rispetto al riconoscimento del carattere espressivo delle tecniche si pone Cartesio, che riportando il piacere (delectatio) alla costituzione dell'oggetto sensibile, concentra l'attenzione su un'analisi meccanicistica dei parametri sonori, smentendo le possibilità di una scienza del gusto attraverso un'ipotesi relativista che lo riduce a un evento psicologico non generalizzabile.Come dovrà chiarire una lettera a Mercenne, "tutti sanno che la quinta è più dolce della quarta, e quest'ultima più della terza maggiore, e la terza maggiore più della terza minore; e tuttavia ci sono dei luoghi in cui la terza minore piacerà di più della quinta,e dove persino una dissonanza potrà essere trovata più gradevole di una consonanza".Nonostante lo scetticismo riguardante il proposito di far corrispondere le strutture musicali a una specifica reazione emotiva, Cartesio dovrà rappresentare un riferimento costante per l'estetica musicale del XVIII secolo.Largamente recepito nelle premesse del Traité de l'harmonie (1722) di Jean-Philipe Rameau, il paradigma epistemologico razionalista rappresenta il terreno sul quale, grazie all'innesto delle tecniche empiriste, si sviluppa il dibattito degli Illuministi, il cui motivo unificatore si lascia riconoscere nell'"affermazione della musica come linguaggio e comunicazione".
Riconducendo il piacere estetico alla "percezione dei rapporti", Diderot si serve della nozione di "geroglifico" al fine di evidenziare una struttura formale sottoponibile alle più vitalistiche proiezioni di senso. A partire dalla comune fonte di riferimento, rappresentata dalla gnoseologia di Condillac, nell'Essai sur l'origine des langues Rousseau riformula una teoria sull'imitazione, fondandola su una ricostruzione congetturale dell'origine comune di musica e linguaggio, che dovrà esercitare una profonda influenza sulla letteratura europea di fine secolo, da Herder allo Sturm und Drang.
Il concetto di tecnica espressiva è espresso da Kant con la nozione di "bel gioco di sensazioni" di cui egli si avvale per definire sia la musica, sia la tecnica dei colori. Kant osserva che "non si può sapere con certezza se un colore e un suono siano semplici sensazioni piacevoli o se siano già in se stesse un bel gioco di sensazioni e quindi contengano, in questo gioco, un piacere che dipende dalla loro forma nel giudizio estetico". Alcuni fatti, e specialmente la mancanza della sensibilità artistica in alcuni uomini e l'eccellenza di tale sensibilità in altri, convincono a considerare le sensazioni dei due sensi, vista e udito, non come semplici impressioni sensibili, ma come "l'effetto di un giudizio formale nel gioco di molte sensazioni". In ogni caso, "a seconda che si adotterà l'una o l'altra opinione nel giudicare del principio della musica ne sarà diversa la definizione e o si definirà, come noi abbiamo fatto, quale un bel gioco di sensazioni (dell'udito) o come un gioco di sensazioni piacevoli.Secondo la prima definizione, la musica è considerata come arte bella senz'altro, con la seconda è invece considerata, almeno in parte, come arte piacevole".Il concetto di "bel gioco di sensazioni" tende già ad esprimere una nozione sintattica della musica e per di più una nozione per la quale la ricerca sintattica può essere indirizzata liberamente in tutte le direzioni (questo è implicito nella parola "gioco").
Verso la metà dell'800 questa nozione veniva più rigorosamente e chiaramente formulata nello scritto di Eduard Hanslick, "Il bello musicale" (1854) che rimane a tutt'oggi una delle più importanti opere di estetica musicale. Hanslick si schiera polemicamente contro il concetto romantico della musica come "rappresentazione del sentimento". L'oggetto proprio della musica è piuttosto il bello musicale: intendendo con ciò "un bello che, senza dipendere e senza abbisognare di alcun contenuto esteriore, consiste unicamente nei suoni e nel loro artistico collegamento.Le ingegnose combinazioni dei bei suoni, il loro concordare e opporsi, il loro sfuggirsi e raggiungersi, il loro crescere e morire, questo è ciò che in libere forme si presenta alla intuizione del nostro spirito e che ci piace come bello. L'elemento primordiale della musica è l'eufonia, la sua essenza il ritmo".Così intesa la musica s'identifica con la tecnica realizzatrice. Dice Hanslick a questo proposito: "Se non si sa riconoscere tutta la bellezza che vive nell'elemento puramente musicale, molta colpa è da attribuirsi al disprezzo del sensibile che negli antichi esteti troviamo in favore della morale e del sentimento, in Hegel in favore dell'idea. Ogni arte parte dal sensibile e in esso si muove. La teoria del sentimento disconosce questo fatto, trascura completamente l'udire e prende in considerazione immediatamente il sentire. Essi pensano che la musica sia fatta per il cuore e che l'orecchio sia una cosa triviale".
Dall'altro lato Hanslick ha espresso pure con chiarezza il carattere che differenzia il linguaggio musicale dal linguaggio comune. "La differenza, egli dice, consiste in questo, che nel linguaggio il suono è solo un segno cioè un mezzo per esprimere qualcosa di completamente estraneo a questo mezzo, mentre nella musica il suono ha importanza in sé, cioè è scopo a se stesso. La bellezza autonoma delle bellezze sonore qui, e l'assoluto predominio del pensiero sul suono come su un puro e semplice mezzo di espressione là, si contrappongono in maniera così definitiva che una mescolanza dei due princìpi è una impossibilità logica".Questo carattere tuttavia non è proprio soltanto del linguaggio musicale ma di ogni linguaggio artistico, di fronte al comune linguaggio.
Per quanto riguarda la nozione di musica cui esplicitamente hanno fatto e fanno ricorso musicisti, critici, studiosi di estetica musicale sia ancora e sempre quella di "rappresentazione del sentimento", la nozione della musica come tecnica di una sintassi dei suoni le cui regole possono essere indefinitamente variate, è quella che ha prevalso nella pratica della creazione musicale e nella ricerca di nuovi e più liberi modi di tale creazione. L'ultimo e più radicale tentativo di liberazione della lingua musicale della sintassi tradizionale è la cosiddetta musica atonale. Questa non è altro che l'affermazione programmatica della libertà del linguaggio musicale di scegliere la sua propria disciplina: la quale, in qualche caso particolare può essere anche quella tonale.Dice a questo proposito Schonberg: "L'emancipazione della dissonanza, cioè la sua equiparazione con i suoni consonanti (che nella mia Harmonirlrhre spiego con il fatto che la differenza tra consonanza e dissonanza non è una differenza antitetica ma graduale, che cioè le consonanze sono i suoni più vicini al suono fondamentale e le dissonanze quelli più lontani; e che di conseguenza la loro comprensibilità è graduata, essendo i suoni più vicini più facilmente afferrabili di quelli lontani) avvenne inconsapevolmente, con il presupposto che la sua comprensibilità può essere garantita quando venga favorita da determinate circostanze. Non bastando l'orecchio da solo a riconoscere ed a comprendere i rapporti e le funzioni, tali circostanze si trovarono nel campo dell'espressione e in quello, fino allora poco considerato, della sonorità.
Da questo punto di vista la tonalità si definisce in modo generalissimo come "tutto ciò che risulta da una serie di note, coordinata sia mediante il diretto riferimento ad un'unica nota fondamentale sia mediante collegamenti più complicati. Alban Berg osservava che "la rinuncia alla tonalità "maggiore", "minore" non implica affatto l'anarchia armonica" perchè "anche se per la perdita del "maggiore" e del "minore", sono venute meno alcune possibilità armoniche, sono però rimasti tutti gli altri elementi essenziali della musica vera ed autentica". Quale sia il giudizio di gusto che si vuol dare sulle opere musicali ispirate da questo programma, non c'è dubbio che il programma stesso non è altro che la liberalizzazione della lingua musicale e delle sue tecniche dalle pastoie della sintassi tradizionale e l'avviamento alla ricerca di nuove forme sintattiche, che possono anche, occasionalmente, coincidere con quelle tradizionali.La musica atonale è pertanto la realizzazione, nel campo della musica, di quella stessa esigenza di liberazione che nel campo della pittura è l'astrattismo: come quest'ultimo intende prescindere dalle forme stabilite o riconosciute della rappresentazione o della percezione, così la musica intende prescindere dalle forme stabilite e riconosciute dell'armonia musicale.L'una e l'altra vanno in cerca di nuove discipline, di nuove forme sintattiche per le loro tecniche espressive. E l'una e l'altra presuppongono (pur senza averne sempre un chiaro concetto) la nozione dell'arte come "tecnica dell'espressione"; intendendosi per espressione le forme libere e finali della sintassi linguistica.
Poichè fu quella nozione di musica che presiedette, sul finire del Medioevo e nel Rinascimento, alla genesi della musica moderna in quanto si presentò fin dall'inizio come ricerca di tecniche espressive, si può scorgere in essa la condizione che garantisce anche oggi alla musica la sua capacità di sviluppo.
In continuità con una linea di interesse che attraversa l'illuminismo e manifesta il suo ampio snodo nell'Ottocento (Schelling, Hegel, Schopenhauer, Kierkegaard), le filosofie del Novecento si concentrano sulla natura essenzialmente temporale ed ante-predicativa della musica, considerata in molti casi come un linguaggio autonomo, più autentico e originario nell'evidenziare il suo legame con l'esperienza, ovvero come l'esempio di un pensiero senza immagine. La panoramica può essere delineata sulla base di alcuni principali modelli teorici.a) il pensiero dialettico. Assorbendo le tematiche dell'espressionismo, in Geist der Utopie (1918-23) Ernst Bloch privilegia l'esperienza dell'ascolto nel formulare l'ipotesi di una temporalità utopica fondata sulla relazione di soggetto/oggetto, spingendosi fino al disegno di una filosofia della storia della musica. Con analoga aspirazione, a partire dalla crisi della forma registrata in Beethoven, Theodor Wiesengrund Adorno indaga gli sviluppi della modernità nella contrapposizione enfatica di Schonberg e Stravinskij, formulando un modello interpretativo che integra l'analisi tecnica con una lettura storico-sociale mirata, hegelianamente, a "esprimere il rapporto della cosa con la verità".La musica viene riportata così al movimento di uno spirito oggettivo storicamente condizionato e "sedimentato nei materiali", sollecitando un'approfondita analisi delle componenti del linguaggio che, a prescindere dalle forzature analogiche, sorregge i risultati dello sforzo ermeneutico.
b) il Bergsonismo. Nel secondo dopoguerra, la riflessione sulla musica in Francia si raccoglie all'insegna di alcune nozioni cardinali della filosofia di Bergson. Gisèle Brelet (Le temps musical, 1949) indica il fondamento dell'espressione nella durée che pertiene ontologicamente alla vita della coscienza, facendo attenzione a salvaguardare l'autonomia delle componenti del linguaggio. Negando che la musica possa riflettere le modalità dello sviluppo discorsivo, Vladimir Jankélévitch la riconduce a un vissuto di cui sostiene l'essenziale ineffabilità, individuando il suo manifestarsi come flusso temporale continuo nell'opera di Fauré, e impegnandosi in un'interpretazione, modulata all'incrocio fra tematiche simboliste ed esistenzialiste, delle discontinuità prodotte dall'opera di Debussy.Persuaso che l'analisi tecnica non sia altro che "un modo di rifiutare quell'abbandono spontaneo alla grazia che lo charme esige", Jankélévitch attribuisce alla musica "un je-ne-sais-quoi inafferrabile quanto il mistero dell'atto creativo".
c) La fenomenologia. Suggestioni tratte dalla prospettiva fenomenologica vengono associate alle innovazioni tecniche del linguaggio musicale da René Leibowitz e Luigi Rognoni, portati ad evidenziare nel serialismo, rispettivamente si Schonberg e di Webern, il risultati di un processo analogo a quello teorizzato da Husserl.A risultati diametralmente opposti giunge Ernest Ansermet con Les fondements de la musique dans la conscience humaine (1961), impegnato a dimostrare che "la legge della coscienza musicale è la sua legge tonale".
Meno racchiuse entro l'orizzonte di uno specifico linguaggio appaiono le annotazioni con cui Alfred Schutz indica le possibilità di considerare la musica "come fenomeno della nostra vita di coscienza". Ulteriori esiti dell'applicazione di questa prospettiva al campo dell'analisi si sviluppano, a partire dalla fine degli anni Sessanta, nell'ambito della musicologia statunitense (Clifton, Ferrara, Smith, Bartholomew).Con più sicuro impegno teorico, Giovanni Piana (Filosofia della musica, 1991) indaga le componenti del fenomeno sonoro spingendosi fino all'ipotesi di un livello simbolico che apre l'analisi della relazione di esperienza ai "dinamismi immaginativi latenti". Nozioni della fenomenologia entrano anche nel dibattito sulla teoria e la storia della ricezione, fornendo un apporto concettuale utile a ridimensionare gli obiettivi e la portata delle ipotesi ricostruttive di orientamento storico e filologico.Esemplare in proposito un saggio degli anni Cinquanta (L'opera musicale e il problema della sua identità, 1966), in cui Roman Ingarden imposta il problema della permanenza dell'opera musicale nel tempo storico, configurandola nei termini di un "oggetto intenzionale con le proprietà di una tonalità unitaria".
Fonte: Storia della filosofia e dizionario di filosofia di N.A.