Il concetto di anfibolia
Il termine anfibolia originariamente, indica ambiguità di tipo sintattico, dovuta cioè alla costruzione equivoca di un'espressione o di una frase, tale che il senso ne risulta oscuro e interpretabile in modi diversi od opposti: per es. l'espressione "la paura dei nemici" può significare sia la paura che si ha dei nemici (cosiddetto genitivo oggettivo), sia la paura che i nemici hanno di noi (genitivo soggettivo); e la frase "Lucia disse a Mario di darle il suo gatto" ha un senso diverso a seconda che "suo" sia riferito a Lucia oppure a Mario.
In greco e in latino l'anfibola caratteristica è quella delle frasi all'infinito che hanno soggetto e oggetto entrambi all'accusativo: per es. "Dico che tu Eacida, vincerai i Romani"; "Dico che i Romani ti vinceranno Eacida", detto enigmaticamente dalla Pizia a Pirro.
Aristotele considera l'anfibolia un paralogismo o fallacia sofistica in dizione dipendente dalla difettosa costruzione grammaticale, distinta dall'omonimia o equivocità lessicale di un termine che può significare due o più cose (Confutazioni sofistiche 4, 165b 23 sgg.).
In Kant , l'anfibolia designa invece un'ambiguità di tipo concettuale ed è termine tecnico della Critica della ragion pura, dove è introdotto in appendice all'Analitica trascendentale.
L'anfibolia riguarda i concetti di riflessione, cioè consiste nell'uso equivoco di identità e differenza, accordo e contrasto, interno ed esterno, materia e forma, quando tali concetti siano riferiti non ai fenomeni, ma all'"oggetto puro" dell'intelletto (come avviene, secondo Kant, nel sistema di Leibniz, "che intellettualizzò le apparenze" a differenza di Locke che "aveva sensualizzato tutti quanti i concetti dell'intelletto).
L'anfibolia trascendentale è dunque un "inganno della riflessione trascendentale" dovuto alla "confusione dell'uso empirico dell'intelletto con l'uso trascendentale".
Bibliografia:
L'Universale Filosofia Garzantine
In greco e in latino l'anfibola caratteristica è quella delle frasi all'infinito che hanno soggetto e oggetto entrambi all'accusativo: per es. "Dico che tu Eacida, vincerai i Romani"; "Dico che i Romani ti vinceranno Eacida", detto enigmaticamente dalla Pizia a Pirro.
Aristotele considera l'anfibolia un paralogismo o fallacia sofistica in dizione dipendente dalla difettosa costruzione grammaticale, distinta dall'omonimia o equivocità lessicale di un termine che può significare due o più cose (Confutazioni sofistiche 4, 165b 23 sgg.).
In Kant , l'anfibolia designa invece un'ambiguità di tipo concettuale ed è termine tecnico della Critica della ragion pura, dove è introdotto in appendice all'Analitica trascendentale.
L'anfibolia riguarda i concetti di riflessione, cioè consiste nell'uso equivoco di identità e differenza, accordo e contrasto, interno ed esterno, materia e forma, quando tali concetti siano riferiti non ai fenomeni, ma all'"oggetto puro" dell'intelletto (come avviene, secondo Kant, nel sistema di Leibniz, "che intellettualizzò le apparenze" a differenza di Locke che "aveva sensualizzato tutti quanti i concetti dell'intelletto).
L'anfibolia trascendentale è dunque un "inganno della riflessione trascendentale" dovuto alla "confusione dell'uso empirico dell'intelletto con l'uso trascendentale".
Bibliografia:
L'Universale Filosofia Garzantine