Introduzione alla bioetica
La bioetica (dal greco antico ἔθος (o ήθος), "èthos", carattere o comportamento, costume, consuetudine e βίος, "bìos", vita) è una disciplina che si occupa delle questioni morali collegate alla ricerca biologica e alla medicina.
Nella bioetica sono coinvolte varie discipline come filosofia, filosofia della scienza, medicina, biologia, genetica, epigenetica, embriologia, giusnaturalismo, diritto, così come le problematiche collegate alle varie visioni morali atee, spirituali o religiose ed all'esercizio del potere politico sul corpo dei cittadini (biopolitica). La coniazione del termine bioetica è attribuita a Fritz Jahr, che nel 1927 parlò di «imperativo bioetico» riguardo allo sfruttamento di fauna e flora da parte dell'uomo. I problemi della bioetica, intesa come ramo o sottosezione dell'etica, spaziano dall'ingegneria genetica alla tutela dell'ambiente e presentano uno spiccato carattere interdisciplinare, poiché coinvolgono settori disparati del sapere: dalla biologia alla medicina, dalla psicologia alla sociologia, dal diritto alla teologia. Particolarmente stretto è il legame fra bioetica e filosofia. Infatti, discutere questioni come l'aborto, eutanasia o l'inseminazione artificiale significa imbattersi in taluni quesiti di fondo (circa la vita, il dolore, la morte ecc..) che esulano dalla dimensione puramente scientifica e che risultano di pertinenza della filosofia. Anzi, se la filosofia, come voleva Platone, è la disciplina che si interroga sull'uso del sapere a vantaggio dell'uomo, la bioetica rappresenta una delle maggiori incarnazioni dello spirito filosofico, ossia di un atteggiamento che, invece di limitarsi a ciò che è tecnicamente i legalmente possibile, si interroga su ciò che è moralmente lecito, ovvero intorno a quel "dover essere o dover fare" che costituisce il tratto specifico dell'etica. La vocazione normativa della bioetica non esclude, ma implica, una componente descrittiva. Infatti, se da un lato la bioetica tende a configurassi come un sapere diretto a individuare principi e valori da cui trarre norme concrete atte a definire "le condizioni di liceità degli interventi sulla salute", dall'altro tende a strutturarsi come una riflessione di tipo analitico volta a chiarire i concetti e le posizioni in campo.
Nell'ambito di questa doppia valenza (analitico-descrittiva e normativo-orientativa) del discorso bioetico, il filosofo tende a giocare il ruolo specifico di "geografo dei concetti e dei valori". Dal punto di vista teorico, le discussioni bioetiche odierne si muovono all'interno di due diverse visioni generali del mondo, cioè due opposte "filosofie", una di matrice religiosa e l'altra di matrice laica.a) La prima si concretizza in una molteplicità di posizioni e atteggiamenti che hanno, come comun denominatore teorico, un personalismo ontologico e teologico fondato sul principio della sacralità ed inviolabilità della vita, ovvero sulla dottrina secondo cui l'esistenza, essendo un "dono" di Dio, non appartiene all'uomo ma a colui che lo ha creato e posto al vertice del "disegno" cosmico.
Ad esempio la bioetica cattolica di orientamento tomista, che insiste sulla creaturalità dei viventi e sul carattere metafisico e trascendentale dell'uomo, afferma l'esistenza di un ordine naturale immutabile che si manifesta nell'universo e negli organismi che ne fanno parte, scorgendo, in tale struttura ontologica, un vincolante dover essere etico. Sulla base di questa impostazione, la bioetica cattolico-ortodossa, che è notoriamente avversa a pratiche "contronaturali" come l'aborto, eutanasia ecc.. tende a porsi come un'etica normativa basata sul cosiddetto metodo triangolare, cioè su un procedimento che, sulla scorta di una preliminare informazione scientifica, arriva a dedurre, da principi antropologici universali, delle conclusioni particolari: " Si parte dal punto A che è la descrizione del dato obiettivo da un punto di vista scientifico-sperimentale, per risalire al vertice del triangolo, o punto B, e cioè al livello filosofico antropologico per tornare, infine, al punto C, che è il momento applicativo".
b) La seconda, di tipo laico - intendendo, con questo termine, non un semplice metodo di coesistenza e di ricerca, ma l'atteggiamento di chi ragiona indipendentemente dall'ipotesi di Dio (tesi Deus non daretur) e dall'adesione, implicita o esplicita, ad un determinato credo religioso - si specifica in una molteplicità di posizioni che hanno, come comune denominatore teorico, il principio della qualità della vita.Ritenendo che la morale sia un'impresa umana e che sia l'uomo (anziché Dio o la natura) a stabilire le norme comportamentali, tale concezione a) contrappone l'idea di cultura a quella di natura, sostenendo che "non vi è nulla di più culturale della stessa idea di natura". b) nega l'esistenza di doveri assoluti indipendenti dalla volontà degli individui e pone, come criterio di scelta, non la vita in quanto tale, ma la "qualità" della vita, ovvero il benessere e la progettualità degli individui singoli e associati. Qualità che non può essere stabilita dall'alto e una volta per tutte, ma solo tramite un "dialogo" democratico basato su argomentazioni logiche ed empiriche dalle conclusioni "aperte", cioè suscettibili di revisione e modifica.
Per sua stessa struttura, la bioetica la religiosa, indipendentemente dal credo specifico cui fa riferimento, tende a porsi - almeno a livello di opzione prevalente - alla stregua di un'etica deontologica fondata su una gerarchia di principi e valoriche non ammettono eccezioni e che esigono di essere salvaguardati in linea di diritto e di fatto. Viceversa, la bioetica laica tende a porsi, almeno a livello di opzione prevalente, come un'etica deontologica "prima facie", basata su una serie di principi e valori che ammettono eccezioni. Inoltre, in caso di conflitto fra i doveri, tende ad ispirarsi al principio utilitarista di benevolenza, ossia a preferire il dovere che, rispetto alla società in cui si vive, massimizza i benefici e minimizza i danni.
Ciascuno di questi modelli - che parlano "lingue morali diverse" - presenta peculiari punti di forza. Il primo sembra fornire un quadro normativo autorevole e coerente, in grado di esibire, alle incerte coscienze del nostro tempo, sicuri punti di riferimento, cioè divieti a priori tramite cui "frenare" gli abusi di una prassi biomedica che rischia di diventare incontrollabile.
Il secondo, facendo appello ad una struttura di razionalità aperta e flessibile, sembra rispettare in modo più marcato la pluralità delle opzioni etiche e il potere decisionale degli individui, ossia quei tipici valori "moderni" che sono la tolleranza e l'autodeterminazione. Ciascuno di essi presenta, nel contempo, peculiari punti di debolezza.
Il primo sembra presupporre che ci sia un'unica teoria etica valida e che sola la religione (o una religione) - e la filosofia che ad essa si ispira - posseggano il monopolio della verità: "l'etica di ispirazione cristiana (...) è lo svelamento all'uomo di ciò che egli è, della verità dell'essere"; "non è esagerato affermare che la bioetica è solo cattolica".Il secondo, per il fatto di rinunciare a principi assoluti, sembra aprire le porte al relativismo. Tant'è vero che l'etica "forte" della sacralità della vita accusa l'etica laica di "soggettivismo", mentre l'etica "debole" della qualità della vita accusa l'etica religiosa di "dogmatismo" e di essere pronta a difendere, in nome di una scala prefissata di valori, un'esistenza priva di requisiti umani. E questo in aperto contrasto con il carattere "complesso" della società tardomoderna, nella quale l'uniformità metafisica, religiosa e morale ha ceduto il passo ad un pluralismo etico irriducibile. Da ciò la persistente spaccatura teorica, ribadita da dibattiti recenti, fra i due orientamenti alla base della bioetica tardonovecentesca. Spaccatura che non sembra scoraggiare coloro che continuano a credere in una piattaformaminimale di regole e principi capaci di mettere d'accordo credenti e non - credenti. E che non sembra imbarazzare un teologo dissidente come H. Kung, il quale, in antitesi all'insegnamento ufficiale della Chiesa e ad una secolare tradizione teologica, condivide, con i laici, l'immagine dell'uomo come autoprogetto: "Mi si dice che la vita umana è "un dono dell'amore di Dio", e perciò l'uomo non può disporne. Ma è vero anche quest'altro aspetto: la vita è per volontà di Dio anche compito dell'uomo e perciò è rimessa alla nostra propria decisione responsabile ( e a nessun'altra) in un'autonomia che si fonda sulla teogonia".A questo punto, la vera contrapposizione non sarebbe (più) fra bioetica religiosa e bioetica laica, ma fra coloro che vogliono mantenere la forma attuale dell'uomo, anche a costo di frenare la ricerca e la sperimentazione scientifica, e coloro che mirano ad un oltrepassamento di essa, con tutte le responsabilità e i rischi (in termini antropologici ed etici) che tale scelta comporta.
Fonte: Storia della filosofia, dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano
Nella bioetica sono coinvolte varie discipline come filosofia, filosofia della scienza, medicina, biologia, genetica, epigenetica, embriologia, giusnaturalismo, diritto, così come le problematiche collegate alle varie visioni morali atee, spirituali o religiose ed all'esercizio del potere politico sul corpo dei cittadini (biopolitica). La coniazione del termine bioetica è attribuita a Fritz Jahr, che nel 1927 parlò di «imperativo bioetico» riguardo allo sfruttamento di fauna e flora da parte dell'uomo. I problemi della bioetica, intesa come ramo o sottosezione dell'etica, spaziano dall'ingegneria genetica alla tutela dell'ambiente e presentano uno spiccato carattere interdisciplinare, poiché coinvolgono settori disparati del sapere: dalla biologia alla medicina, dalla psicologia alla sociologia, dal diritto alla teologia. Particolarmente stretto è il legame fra bioetica e filosofia. Infatti, discutere questioni come l'aborto, eutanasia o l'inseminazione artificiale significa imbattersi in taluni quesiti di fondo (circa la vita, il dolore, la morte ecc..) che esulano dalla dimensione puramente scientifica e che risultano di pertinenza della filosofia. Anzi, se la filosofia, come voleva Platone, è la disciplina che si interroga sull'uso del sapere a vantaggio dell'uomo, la bioetica rappresenta una delle maggiori incarnazioni dello spirito filosofico, ossia di un atteggiamento che, invece di limitarsi a ciò che è tecnicamente i legalmente possibile, si interroga su ciò che è moralmente lecito, ovvero intorno a quel "dover essere o dover fare" che costituisce il tratto specifico dell'etica. La vocazione normativa della bioetica non esclude, ma implica, una componente descrittiva. Infatti, se da un lato la bioetica tende a configurassi come un sapere diretto a individuare principi e valori da cui trarre norme concrete atte a definire "le condizioni di liceità degli interventi sulla salute", dall'altro tende a strutturarsi come una riflessione di tipo analitico volta a chiarire i concetti e le posizioni in campo.
Nell'ambito di questa doppia valenza (analitico-descrittiva e normativo-orientativa) del discorso bioetico, il filosofo tende a giocare il ruolo specifico di "geografo dei concetti e dei valori". Dal punto di vista teorico, le discussioni bioetiche odierne si muovono all'interno di due diverse visioni generali del mondo, cioè due opposte "filosofie", una di matrice religiosa e l'altra di matrice laica.a) La prima si concretizza in una molteplicità di posizioni e atteggiamenti che hanno, come comun denominatore teorico, un personalismo ontologico e teologico fondato sul principio della sacralità ed inviolabilità della vita, ovvero sulla dottrina secondo cui l'esistenza, essendo un "dono" di Dio, non appartiene all'uomo ma a colui che lo ha creato e posto al vertice del "disegno" cosmico.
Ad esempio la bioetica cattolica di orientamento tomista, che insiste sulla creaturalità dei viventi e sul carattere metafisico e trascendentale dell'uomo, afferma l'esistenza di un ordine naturale immutabile che si manifesta nell'universo e negli organismi che ne fanno parte, scorgendo, in tale struttura ontologica, un vincolante dover essere etico. Sulla base di questa impostazione, la bioetica cattolico-ortodossa, che è notoriamente avversa a pratiche "contronaturali" come l'aborto, eutanasia ecc.. tende a porsi come un'etica normativa basata sul cosiddetto metodo triangolare, cioè su un procedimento che, sulla scorta di una preliminare informazione scientifica, arriva a dedurre, da principi antropologici universali, delle conclusioni particolari: " Si parte dal punto A che è la descrizione del dato obiettivo da un punto di vista scientifico-sperimentale, per risalire al vertice del triangolo, o punto B, e cioè al livello filosofico antropologico per tornare, infine, al punto C, che è il momento applicativo".
b) La seconda, di tipo laico - intendendo, con questo termine, non un semplice metodo di coesistenza e di ricerca, ma l'atteggiamento di chi ragiona indipendentemente dall'ipotesi di Dio (tesi Deus non daretur) e dall'adesione, implicita o esplicita, ad un determinato credo religioso - si specifica in una molteplicità di posizioni che hanno, come comune denominatore teorico, il principio della qualità della vita.Ritenendo che la morale sia un'impresa umana e che sia l'uomo (anziché Dio o la natura) a stabilire le norme comportamentali, tale concezione a) contrappone l'idea di cultura a quella di natura, sostenendo che "non vi è nulla di più culturale della stessa idea di natura". b) nega l'esistenza di doveri assoluti indipendenti dalla volontà degli individui e pone, come criterio di scelta, non la vita in quanto tale, ma la "qualità" della vita, ovvero il benessere e la progettualità degli individui singoli e associati. Qualità che non può essere stabilita dall'alto e una volta per tutte, ma solo tramite un "dialogo" democratico basato su argomentazioni logiche ed empiriche dalle conclusioni "aperte", cioè suscettibili di revisione e modifica.
Per sua stessa struttura, la bioetica la religiosa, indipendentemente dal credo specifico cui fa riferimento, tende a porsi - almeno a livello di opzione prevalente - alla stregua di un'etica deontologica fondata su una gerarchia di principi e valoriche non ammettono eccezioni e che esigono di essere salvaguardati in linea di diritto e di fatto. Viceversa, la bioetica laica tende a porsi, almeno a livello di opzione prevalente, come un'etica deontologica "prima facie", basata su una serie di principi e valori che ammettono eccezioni. Inoltre, in caso di conflitto fra i doveri, tende ad ispirarsi al principio utilitarista di benevolenza, ossia a preferire il dovere che, rispetto alla società in cui si vive, massimizza i benefici e minimizza i danni.
Ciascuno di questi modelli - che parlano "lingue morali diverse" - presenta peculiari punti di forza. Il primo sembra fornire un quadro normativo autorevole e coerente, in grado di esibire, alle incerte coscienze del nostro tempo, sicuri punti di riferimento, cioè divieti a priori tramite cui "frenare" gli abusi di una prassi biomedica che rischia di diventare incontrollabile.
Il secondo, facendo appello ad una struttura di razionalità aperta e flessibile, sembra rispettare in modo più marcato la pluralità delle opzioni etiche e il potere decisionale degli individui, ossia quei tipici valori "moderni" che sono la tolleranza e l'autodeterminazione. Ciascuno di essi presenta, nel contempo, peculiari punti di debolezza.
Il primo sembra presupporre che ci sia un'unica teoria etica valida e che sola la religione (o una religione) - e la filosofia che ad essa si ispira - posseggano il monopolio della verità: "l'etica di ispirazione cristiana (...) è lo svelamento all'uomo di ciò che egli è, della verità dell'essere"; "non è esagerato affermare che la bioetica è solo cattolica".Il secondo, per il fatto di rinunciare a principi assoluti, sembra aprire le porte al relativismo. Tant'è vero che l'etica "forte" della sacralità della vita accusa l'etica laica di "soggettivismo", mentre l'etica "debole" della qualità della vita accusa l'etica religiosa di "dogmatismo" e di essere pronta a difendere, in nome di una scala prefissata di valori, un'esistenza priva di requisiti umani. E questo in aperto contrasto con il carattere "complesso" della società tardomoderna, nella quale l'uniformità metafisica, religiosa e morale ha ceduto il passo ad un pluralismo etico irriducibile. Da ciò la persistente spaccatura teorica, ribadita da dibattiti recenti, fra i due orientamenti alla base della bioetica tardonovecentesca. Spaccatura che non sembra scoraggiare coloro che continuano a credere in una piattaformaminimale di regole e principi capaci di mettere d'accordo credenti e non - credenti. E che non sembra imbarazzare un teologo dissidente come H. Kung, il quale, in antitesi all'insegnamento ufficiale della Chiesa e ad una secolare tradizione teologica, condivide, con i laici, l'immagine dell'uomo come autoprogetto: "Mi si dice che la vita umana è "un dono dell'amore di Dio", e perciò l'uomo non può disporne. Ma è vero anche quest'altro aspetto: la vita è per volontà di Dio anche compito dell'uomo e perciò è rimessa alla nostra propria decisione responsabile ( e a nessun'altra) in un'autonomia che si fonda sulla teogonia".A questo punto, la vera contrapposizione non sarebbe (più) fra bioetica religiosa e bioetica laica, ma fra coloro che vogliono mantenere la forma attuale dell'uomo, anche a costo di frenare la ricerca e la sperimentazione scientifica, e coloro che mirano ad un oltrepassamento di essa, con tutte le responsabilità e i rischi (in termini antropologici ed etici) che tale scelta comporta.
Fonte: Storia della filosofia, dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano