Introduzione all'antropologia filosofica

Il termine antropologia indica l'esposizione sistematica delle conoscenze che si hanno intorno all'uomo. In filosofia, il termine antropologia rispecchia il significato etimologico (il lemma è composto dal prefisso antropo-, dal greco άνθρωπος ànthropos - "uomo" - più il suffisso -logia, dal greco λόγος, lògos - "parola, discorso") di scienza o di insieme delle scienze riguardanti la natura umana.
L'origine dell'espressione antropologia filosofica è nell'opera La posizione dell'uomo nel cosmo (1927) di Max Scheler, che osserva come
(FR)
« Jamais dans l'histoire telle que nous la connaissons, l'homme n'a été autant qu'aujourd'hui un problème pour lui-même.»
Scheler a sua volta nello sviluppare l'antropologia filosofica si rifà indirettamente alla filosofia della natura e all'ontologia della persona di Schelling.
Una prima apparizione dell'antropologia, considerata genericamente nel significato di studio dell'uomo, può essere riportata a Ludwig Feuerbach nel saggio L'essenza del cristianesimo (1841), dove l'autore afferma di «voler ridurre la religione ad antropologia»
« Abbiamo dimostrato che il contenuto e l'oggetto della religione sono assolutamente umani, che il mistero della teologia è l'antropologia. ».
L'opera non vuole essere una critica al cristianesimo di stampo illuministico, inteso come antireligioso o anticlericale, ossia di ridurlo a un cumulo di menzogne, falsificazioni, errori e superstizioni. Feuerbach invece ritiene che la religione, in particolare quella cristiana, abbia un contenuto positivo che consente di scoprire quale sia l'essenza dell'uomo. Dalle tesi di Schleiermacher, secondo cui la religione consiste nel sentimento dell'infinito, egli trae la conclusione che tale infinito non esprime altro che l'essenza dell'uomo. La religione ha dunque un'origine antropologica: l'uomo avverte la propria insicurezza e cerca la salvezza in un essere personale, infinito, immortale e beato, cioè in Dio che non è altro che l'oggettivazione ideale dell'essenza dell'uomo che in Dio rispecchia se stesso. La religione è appunto l'oggettivazione dei bisogni e delle aspirazioni dell'uomo.
Nell'ambito dell'antropologia culturale, intesa come studio delle cause sociali che determinano il comportamento dell'uomo, è stato inserito da alcuni storici della filosofia il pensiero politico del giovane Marx, dove lo stesso uso e significato feurbachiano del termine si ritrova nei suoi Manoscritti economico-filosofici (1844).
Di vera e propria antropologia filosofica si tratta nel XX secolo quando, dopo la nascita nella seconda metà dell'Ottocento dell'antropologia fisica come scienza zoologica, e lo sviluppo della psicologia, della sociologia e dell'etnologia, la filosofia non ha più l'esclusiva, come per il passato, dello studio dell'uomo ma nello stesso tempo si ritiene la più adatta a sintetizzare e a dare un'interpretazione teorica dei risultati delle nuove scienze.
In La posizione dell'uomo nel cosmo del 1927 Scheler considera l'uomo come un essere diverso da tutti gli altri animali per la sua capacità di uscire dalla chiusura ambientale di Jakob Johann von Uexküll nel «dire di no» alla realtà sensibile per aprirsi al mondo sovrasensibile(Weltofenheit).
« [A paragone] degli animali, che dicono sempre di sì alla realtà [...] l’uomo è “colui-che-può-dire-di-no”, “l’asceta della vita”, l’eterno protestante nei confronti della semplice realtà» »« L'uomo di Scheler è dunque un essere a cui è toccata in sorte una scintilla divina, una briciola di assoluto, un'impronta di quello spirito che lo rende capace di "dire di no", di "trascendere la realtà data", a differenza dell'animale.» »Secondo Scheler l'uomo si differenzia dall'animale non per l'intelligenza, ma per essere una direzione aperta priva di un'essenza predefinita, un essere quindi che nell'esporsi all'apertura al mondo e alla ricerca di una seconda natura si scopre bisognoso di un processo di formazione (Bildung) .
Le conclusioni di Scheler hanno influenzato diversi autori (Helmuth Plessner, Arnold Gehlen, Erich Rothacker, Adolf Portmann, Hans Jonas, Maurice Merleau-Ponty, ecc.), che tuttavia hanno preso le distanze dalla sporgenza metafisica del suo pensiero, pur concordando sulla specificità dell'uomo come capace di opporsi alle forze istintuali.
In questo senso generale l'antropologia è stata ed è una parte di ogni filosofia; ma come disciplina specifica e relativamente autonoma essa è nata solo in tempi moderni.
Kant distinse un'antropologia fisiologica che considera quel che la natura da dell'uomo da un'antropologia pragmatica che considera invece quello che l'uomo come essere libero da, oppure può e deve fare, di se stesso.
Questa distinzione è rimasta e oggi si parla di un'antropologia fisica che considera l'uomo dal punto di vista biologico e cioè nella sua struttura somatica, nei suoi rapporti con l'ambiente, nelle sue classificazioni razziali ecc.., e un'antropologia culturale che considera l'uomo nelle caratteristiche che gli derivano dai suoi rapporti sociali.
L'antropologia fisica si suole a sua volta dividere in paleontologia umana e somatologia.
La paleontologia umana tratta dell'origine e dell'evoluzione della specie umana, specialmente in base a ciò che è rivelato dai fossili.
La somatologia tratta di tutti gli aspetti fisici dell'uomo.
L'archeologia e l'etnologia corrispondono, nel campo culturale, alle due scienze precedenti; e la linguistica ha il suo oggetto proprio non solo nell'analisi e nella classificazione dei linguaggi ma nella comprensione, attraverso i linguaggi, della psicologia individuale e di gruppo.
Secondo Lévi -Strauss l'antropologia si distingue dalla sociologia in quanto tende ad essere la scienza sociale dell'osservato mentre la sociologia tende ad essere la scienza sociale dell'osservatore.
I filosofi hanno spesso sottolineato l'importanza dell'antropologia come scienza filosofica, cioè come determinazione di ciò che l'uomo deve essere, nei confronti di ciò che è.
Humboldt, per esempio, voleva che l'antropologia, pur morendo a determinare le condizioni naturali dell'uomo (temperamento, razza, nazionalità, ecc...) mirasse a scoprire, attraverso di esse, l'ideale stesso dell'umanità, la forma incondizionata, alla quale nessun individuo si adegua mai perfettamente ma che rimane lo scopo cui tutti gli individui tendono ad avvicinarsi ( Schriften, I, pag.388 sgg.).
In tal senso l'antropologia è stata intesa da Scheler (Il posto dell'uomo nel cosmo, 1928) che perciò la colloca in un posto intermedio tra la scienza positiva e la metafisica. - Più specificamente il compito dell'antropologia filosofica dovrebbe essere quello di considerare l'uomo non già semplicemente come natura, come vita, come volontà, come spirito ecc..., ma precisamente come uomo e cioè di riportare il complesso delle condizioni o degli elementi che lo costituiscono al suo modo di esistenza specifico.
Tale è l'esigenza prospettata, per esempio, da Binswanger (Ausgewahlte Vortrage und Ausatze, I, pag.176).
E in questo senso il Saggio sull'uomo (1944) di Cassirer è una ricerca di antropologia filosofica che si accentra intorno al concetto dell'uomo come animal symbolicum, cioè come animale che parla e crea l'universo simbolico della lingua, del mito e della religione.
L'antropologia filosofica ha trovato significativi sviluppi nel pensiero di A. Gehlen (L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, 1940, ediz. riv. 1957, 1978).
Rifacendosi a M. Scheler e a H. Plessner- che in I Gradi del mondo organico e l'uomo (1928) aveva opposto la "posizionalità eccentrica" dell'uomo alla "centratezza" dell'animale - Gehlen ha concepito l'uomo come un essere "agente" e "plastico", ovvero come un ente che, essendo "incompiuto" e "indefinito", risulta per natura aperto al mondo e quindi capace di autoprodursi culturalmente in modo ricco e variegato: "Povero di apparato sensoriale, privo di armi, nudo, embrionale in tutto il suo habitus, malsicuro nei suoi istinti, e gli è l'essere che dipende essenzialmente dall'azione" (Die Seele im technischen Zeitalter, trad. ital. L'uomo nell'era della tecnica, Sugarco, Milano 1984, pag. 10-11).
Fonte:
Storia della filosofia e dizionario filosofico di Nicola Abbagnano
L'origine dell'espressione antropologia filosofica è nell'opera La posizione dell'uomo nel cosmo (1927) di Max Scheler, che osserva come
(FR)
« Jamais dans l'histoire telle que nous la connaissons, l'homme n'a été autant qu'aujourd'hui un problème pour lui-même.»
Scheler a sua volta nello sviluppare l'antropologia filosofica si rifà indirettamente alla filosofia della natura e all'ontologia della persona di Schelling.
Una prima apparizione dell'antropologia, considerata genericamente nel significato di studio dell'uomo, può essere riportata a Ludwig Feuerbach nel saggio L'essenza del cristianesimo (1841), dove l'autore afferma di «voler ridurre la religione ad antropologia»
« Abbiamo dimostrato che il contenuto e l'oggetto della religione sono assolutamente umani, che il mistero della teologia è l'antropologia. ».
L'opera non vuole essere una critica al cristianesimo di stampo illuministico, inteso come antireligioso o anticlericale, ossia di ridurlo a un cumulo di menzogne, falsificazioni, errori e superstizioni. Feuerbach invece ritiene che la religione, in particolare quella cristiana, abbia un contenuto positivo che consente di scoprire quale sia l'essenza dell'uomo. Dalle tesi di Schleiermacher, secondo cui la religione consiste nel sentimento dell'infinito, egli trae la conclusione che tale infinito non esprime altro che l'essenza dell'uomo. La religione ha dunque un'origine antropologica: l'uomo avverte la propria insicurezza e cerca la salvezza in un essere personale, infinito, immortale e beato, cioè in Dio che non è altro che l'oggettivazione ideale dell'essenza dell'uomo che in Dio rispecchia se stesso. La religione è appunto l'oggettivazione dei bisogni e delle aspirazioni dell'uomo.
Nell'ambito dell'antropologia culturale, intesa come studio delle cause sociali che determinano il comportamento dell'uomo, è stato inserito da alcuni storici della filosofia il pensiero politico del giovane Marx, dove lo stesso uso e significato feurbachiano del termine si ritrova nei suoi Manoscritti economico-filosofici (1844).
Di vera e propria antropologia filosofica si tratta nel XX secolo quando, dopo la nascita nella seconda metà dell'Ottocento dell'antropologia fisica come scienza zoologica, e lo sviluppo della psicologia, della sociologia e dell'etnologia, la filosofia non ha più l'esclusiva, come per il passato, dello studio dell'uomo ma nello stesso tempo si ritiene la più adatta a sintetizzare e a dare un'interpretazione teorica dei risultati delle nuove scienze.
In La posizione dell'uomo nel cosmo del 1927 Scheler considera l'uomo come un essere diverso da tutti gli altri animali per la sua capacità di uscire dalla chiusura ambientale di Jakob Johann von Uexküll nel «dire di no» alla realtà sensibile per aprirsi al mondo sovrasensibile(Weltofenheit).
« [A paragone] degli animali, che dicono sempre di sì alla realtà [...] l’uomo è “colui-che-può-dire-di-no”, “l’asceta della vita”, l’eterno protestante nei confronti della semplice realtà» »« L'uomo di Scheler è dunque un essere a cui è toccata in sorte una scintilla divina, una briciola di assoluto, un'impronta di quello spirito che lo rende capace di "dire di no", di "trascendere la realtà data", a differenza dell'animale.» »Secondo Scheler l'uomo si differenzia dall'animale non per l'intelligenza, ma per essere una direzione aperta priva di un'essenza predefinita, un essere quindi che nell'esporsi all'apertura al mondo e alla ricerca di una seconda natura si scopre bisognoso di un processo di formazione (Bildung) .
Le conclusioni di Scheler hanno influenzato diversi autori (Helmuth Plessner, Arnold Gehlen, Erich Rothacker, Adolf Portmann, Hans Jonas, Maurice Merleau-Ponty, ecc.), che tuttavia hanno preso le distanze dalla sporgenza metafisica del suo pensiero, pur concordando sulla specificità dell'uomo come capace di opporsi alle forze istintuali.
In questo senso generale l'antropologia è stata ed è una parte di ogni filosofia; ma come disciplina specifica e relativamente autonoma essa è nata solo in tempi moderni.
Kant distinse un'antropologia fisiologica che considera quel che la natura da dell'uomo da un'antropologia pragmatica che considera invece quello che l'uomo come essere libero da, oppure può e deve fare, di se stesso.
Questa distinzione è rimasta e oggi si parla di un'antropologia fisica che considera l'uomo dal punto di vista biologico e cioè nella sua struttura somatica, nei suoi rapporti con l'ambiente, nelle sue classificazioni razziali ecc.., e un'antropologia culturale che considera l'uomo nelle caratteristiche che gli derivano dai suoi rapporti sociali.
L'antropologia fisica si suole a sua volta dividere in paleontologia umana e somatologia.
La paleontologia umana tratta dell'origine e dell'evoluzione della specie umana, specialmente in base a ciò che è rivelato dai fossili.
La somatologia tratta di tutti gli aspetti fisici dell'uomo.
L'archeologia e l'etnologia corrispondono, nel campo culturale, alle due scienze precedenti; e la linguistica ha il suo oggetto proprio non solo nell'analisi e nella classificazione dei linguaggi ma nella comprensione, attraverso i linguaggi, della psicologia individuale e di gruppo.
Secondo Lévi -Strauss l'antropologia si distingue dalla sociologia in quanto tende ad essere la scienza sociale dell'osservato mentre la sociologia tende ad essere la scienza sociale dell'osservatore.
I filosofi hanno spesso sottolineato l'importanza dell'antropologia come scienza filosofica, cioè come determinazione di ciò che l'uomo deve essere, nei confronti di ciò che è.
Humboldt, per esempio, voleva che l'antropologia, pur morendo a determinare le condizioni naturali dell'uomo (temperamento, razza, nazionalità, ecc...) mirasse a scoprire, attraverso di esse, l'ideale stesso dell'umanità, la forma incondizionata, alla quale nessun individuo si adegua mai perfettamente ma che rimane lo scopo cui tutti gli individui tendono ad avvicinarsi ( Schriften, I, pag.388 sgg.).
In tal senso l'antropologia è stata intesa da Scheler (Il posto dell'uomo nel cosmo, 1928) che perciò la colloca in un posto intermedio tra la scienza positiva e la metafisica. - Più specificamente il compito dell'antropologia filosofica dovrebbe essere quello di considerare l'uomo non già semplicemente come natura, come vita, come volontà, come spirito ecc..., ma precisamente come uomo e cioè di riportare il complesso delle condizioni o degli elementi che lo costituiscono al suo modo di esistenza specifico.
Tale è l'esigenza prospettata, per esempio, da Binswanger (Ausgewahlte Vortrage und Ausatze, I, pag.176).
E in questo senso il Saggio sull'uomo (1944) di Cassirer è una ricerca di antropologia filosofica che si accentra intorno al concetto dell'uomo come animal symbolicum, cioè come animale che parla e crea l'universo simbolico della lingua, del mito e della religione.
L'antropologia filosofica ha trovato significativi sviluppi nel pensiero di A. Gehlen (L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, 1940, ediz. riv. 1957, 1978).
Rifacendosi a M. Scheler e a H. Plessner- che in I Gradi del mondo organico e l'uomo (1928) aveva opposto la "posizionalità eccentrica" dell'uomo alla "centratezza" dell'animale - Gehlen ha concepito l'uomo come un essere "agente" e "plastico", ovvero come un ente che, essendo "incompiuto" e "indefinito", risulta per natura aperto al mondo e quindi capace di autoprodursi culturalmente in modo ricco e variegato: "Povero di apparato sensoriale, privo di armi, nudo, embrionale in tutto il suo habitus, malsicuro nei suoi istinti, e gli è l'essere che dipende essenzialmente dall'azione" (Die Seele im technischen Zeitalter, trad. ital. L'uomo nell'era della tecnica, Sugarco, Milano 1984, pag. 10-11).
Fonte:
Storia della filosofia e dizionario filosofico di Nicola Abbagnano