La metafisica nell'Ottocento
L'idealismo si fa interprete e continuatore del pensiero kantiano, recuperandone alcune implicazioni e suggestioni, ma arrivando a risultati molto diversi che ne segnano un innegabile distanziamento.
I suoi promotori accolgono la critica kantiana alla metafisica, eppure costruiscono sistemi di conoscenza dell'Assoluto che sono di fatto sistemi metafisici. La ragione per cui l'idealismo rifiutò la denominazione di "metafisica" è da rintracciare nelle implicazioni associate a questo termine che supponeva una visione del mondo articolata in due piani, quello dell'immanenza e quello degli oggetti trascendenti. Per l'idealismo si dà invece una sola realtà, quella dello Spirito, cui tutto è in ultima analisi riconducibile; la distinzione in due o più piani è dunque falsa, perché lede l'unicità del principio assoluto. Se dunque si definisce la metafisica come scienza dell'essere in quanto essere, la filosofia non è questa scienza dell'essere, perché ciò che è reale non è l'essere ma lo Spirito. Se il primo è al massimo la determinazione più povera del principio assoluto, se l'essere è qualcosa di derivato dallo Spirito, allora la metafisica in quanto scienza dell'essere, in quanto ontologia, non può essere la scienza suprema.
Tuttavia Hegel recupera all'interno della sua Logica la metafisica affermando che la sua prima parte, intesa come scienza dell'idea, può anche essere chiamata "metafisica"; in questa prospettiva la logica non è soltanto scienza delle forme del pensiero, ma anche dei principi dell'Assoluto (qualcosa di vicino più alla logica trascendentale kantiana che a quella formale), è l'esposizione dei movimenti dell'Assoluto prima che questo si alieni in quell'altro da sé che è la natura.
Schopenhauer recupera in chiave anti - idealistica una concezione più tradizionale della metafisica, che tuttavia nei suoi risvolti si dimostra attraversata da decisivi motivi moderni. Nel saggio Sul bisogno metafisico dell'uomo si riconosce l'eco aristotelica: alla base della conoscenza si rinviene il sentimento della meraviglia che però Schopenhauer caratterizza secondo sfumature propriamente moderne, estranee all'orizzonte greco. Ciò che infatti suscita nell'uomo il bisogno di metafisica, quello che lo rende un vero e proprio animal metaphysicum è la conoscenza, e quindi la consapevolezza, del proprio essere mortale e finito: l'uomo si meraviglia del suo essere, si interroga sulla propria condizione e comprende che non è qualcosa che si giustifica da sé, divenendo così consapevole che quanto a una lettura superficialmente abituale e quotidiana appare scontato e non problematico, a una riflessione più profonda smarrisce la tranquillizzante e ovvia tonalità che prima lo ricopriva. Ci si sorprende di fronte alla scoperta che l'essere che ci appartiene nella sua finitudine non è scontato e da ciò proviene un turbamento che trasforma il non problematico in problema. Per Aristotele questo movimento era legato alla non comprensione dei fenomeni - come ad esempio le eclissi - che in seguito il processo d'indagine chiariva, portando all'eliminazione della meraviglia iniziale; in Schopenhauer lo stupore non è legato a un deficit di conoscenza, ma piuttosto a uno stato di angoscia esistenziale, derivante dalla presa di coscienza della mortalità, della finitezza, dell'inanità dello sforzo che inseriscono al nostro essere. Se l'uomo fosse felice della e nella sua condizione, non sarebbe attanagliato dai problemi e nulla lo spingerebbe a filosofare: la filosofia è la testimonianza della mancanza umana, dell'insoddisfazione dell'uomo nei confronti del proprio essere di cui angosciosamente si meraviglia. In questo senso Schopenhauer avvicina metafisica e religione: entrambe rispondono in modi diversi e con diverse strategie all'indigenza umana, alla domanda di senso che l'uomo pone.
Si riscontra qui una concezione della metafisiche indirizzata, con Aristotele, a ciò che va oltre l'esperienza e che tuttavia, diversamente che in questi, assume una tonalità negativa; il bisogno metafisico nasce dal dolore dello scacco e il suo oggetto non è tanto l'essere ma qualcosa che è oltre l'essere, che Schopenhauer individua nella volontà.
Ponendo come oggetto della propria riflessione un principio diverso dall'essere, egli si riavvicina suo malgrado al panorama idealistico che intendeva combattere, poiché anche nella sua lettura l'oggetto primo della metafisica è una realtà comunque spirituale.
Kierkegaard invece non tematica esplicitamente la questione metafisica e tuttavia apre una via per una possibile ripresa e trasformazione della metafisica, in riferimento a un pensiero dell'originario e del trascendente mediato dall'esistenza; questa prospettiva verrà successivamente ripresa e approfondita, andando incontro a notevoli e significativi sviluppi.
Nietzsche, come del resto Marx e la filosofia positivista, si impegneranno in una critica serrata della metafisica che tuttavia risorgerà in senso tradizionale già negli ultimi anni del XIX secolo, nella cosiddetta rinascita del pensiero tomista, come sostegno teorico a posizioni ecclesiastiche; oggi questa prospettiva permane nella rivisitazione neotomista che ha avuto importanti rappresentanti in Francia (Maritain), in Italia e in Germania. Ma la metafisica si conferma anche secondo direttrici non tradizionali, quali lo spiritualismo e in particolare la filosofia di Bergson, per il quale essa è conoscenza dell'assoluto fondata sull'intuizione, capace di corrispondergli come vita creativa.
I suoi promotori accolgono la critica kantiana alla metafisica, eppure costruiscono sistemi di conoscenza dell'Assoluto che sono di fatto sistemi metafisici. La ragione per cui l'idealismo rifiutò la denominazione di "metafisica" è da rintracciare nelle implicazioni associate a questo termine che supponeva una visione del mondo articolata in due piani, quello dell'immanenza e quello degli oggetti trascendenti. Per l'idealismo si dà invece una sola realtà, quella dello Spirito, cui tutto è in ultima analisi riconducibile; la distinzione in due o più piani è dunque falsa, perché lede l'unicità del principio assoluto. Se dunque si definisce la metafisica come scienza dell'essere in quanto essere, la filosofia non è questa scienza dell'essere, perché ciò che è reale non è l'essere ma lo Spirito. Se il primo è al massimo la determinazione più povera del principio assoluto, se l'essere è qualcosa di derivato dallo Spirito, allora la metafisica in quanto scienza dell'essere, in quanto ontologia, non può essere la scienza suprema.
Tuttavia Hegel recupera all'interno della sua Logica la metafisica affermando che la sua prima parte, intesa come scienza dell'idea, può anche essere chiamata "metafisica"; in questa prospettiva la logica non è soltanto scienza delle forme del pensiero, ma anche dei principi dell'Assoluto (qualcosa di vicino più alla logica trascendentale kantiana che a quella formale), è l'esposizione dei movimenti dell'Assoluto prima che questo si alieni in quell'altro da sé che è la natura.
Schopenhauer recupera in chiave anti - idealistica una concezione più tradizionale della metafisica, che tuttavia nei suoi risvolti si dimostra attraversata da decisivi motivi moderni. Nel saggio Sul bisogno metafisico dell'uomo si riconosce l'eco aristotelica: alla base della conoscenza si rinviene il sentimento della meraviglia che però Schopenhauer caratterizza secondo sfumature propriamente moderne, estranee all'orizzonte greco. Ciò che infatti suscita nell'uomo il bisogno di metafisica, quello che lo rende un vero e proprio animal metaphysicum è la conoscenza, e quindi la consapevolezza, del proprio essere mortale e finito: l'uomo si meraviglia del suo essere, si interroga sulla propria condizione e comprende che non è qualcosa che si giustifica da sé, divenendo così consapevole che quanto a una lettura superficialmente abituale e quotidiana appare scontato e non problematico, a una riflessione più profonda smarrisce la tranquillizzante e ovvia tonalità che prima lo ricopriva. Ci si sorprende di fronte alla scoperta che l'essere che ci appartiene nella sua finitudine non è scontato e da ciò proviene un turbamento che trasforma il non problematico in problema. Per Aristotele questo movimento era legato alla non comprensione dei fenomeni - come ad esempio le eclissi - che in seguito il processo d'indagine chiariva, portando all'eliminazione della meraviglia iniziale; in Schopenhauer lo stupore non è legato a un deficit di conoscenza, ma piuttosto a uno stato di angoscia esistenziale, derivante dalla presa di coscienza della mortalità, della finitezza, dell'inanità dello sforzo che inseriscono al nostro essere. Se l'uomo fosse felice della e nella sua condizione, non sarebbe attanagliato dai problemi e nulla lo spingerebbe a filosofare: la filosofia è la testimonianza della mancanza umana, dell'insoddisfazione dell'uomo nei confronti del proprio essere di cui angosciosamente si meraviglia. In questo senso Schopenhauer avvicina metafisica e religione: entrambe rispondono in modi diversi e con diverse strategie all'indigenza umana, alla domanda di senso che l'uomo pone.
Si riscontra qui una concezione della metafisiche indirizzata, con Aristotele, a ciò che va oltre l'esperienza e che tuttavia, diversamente che in questi, assume una tonalità negativa; il bisogno metafisico nasce dal dolore dello scacco e il suo oggetto non è tanto l'essere ma qualcosa che è oltre l'essere, che Schopenhauer individua nella volontà.
Ponendo come oggetto della propria riflessione un principio diverso dall'essere, egli si riavvicina suo malgrado al panorama idealistico che intendeva combattere, poiché anche nella sua lettura l'oggetto primo della metafisica è una realtà comunque spirituale.
Kierkegaard invece non tematica esplicitamente la questione metafisica e tuttavia apre una via per una possibile ripresa e trasformazione della metafisica, in riferimento a un pensiero dell'originario e del trascendente mediato dall'esistenza; questa prospettiva verrà successivamente ripresa e approfondita, andando incontro a notevoli e significativi sviluppi.
Nietzsche, come del resto Marx e la filosofia positivista, si impegneranno in una critica serrata della metafisica che tuttavia risorgerà in senso tradizionale già negli ultimi anni del XIX secolo, nella cosiddetta rinascita del pensiero tomista, come sostegno teorico a posizioni ecclesiastiche; oggi questa prospettiva permane nella rivisitazione neotomista che ha avuto importanti rappresentanti in Francia (Maritain), in Italia e in Germania. Ma la metafisica si conferma anche secondo direttrici non tradizionali, quali lo spiritualismo e in particolare la filosofia di Bergson, per il quale essa è conoscenza dell'assoluto fondata sull'intuizione, capace di corrispondergli come vita creativa.