La nostalgia dell'universale
I N T R O D U Z I O N E
di FRANCESCO CUCCARO
La ragione di ciò che esiste sorregge tutta la scienza fenomenologica. Anche il più minuzioso e quasi irrilevante dei ‘fenomeni naturali’ o degli ‘eventi storici’, se non si richiama a un principio essenziale, risulta privo di senso, ingiustificato ed inaccettabile per la nostra ragione. Ovviamente non si tratta di un principio « dato e/o presupposto » — e tantomeno regolativo del nostro agire e delle nostre cognizioni ( come lo intende Kant ) —, denotando invece un proces so che è anche risultato e viceversa. L’essenza, tuttavia, « si rivela » essere lo spirito autoconsapevole.
L’esame del tema della religione, affrontato nel capitolo settimo della Fenomenologia dello spirito di G.W.F. Hegel, si sforza di comprendere questo processo rivelativo, espresso sotto forma di r a p p r e s e n t a z i o n e, ma ancora non compreso concettualmente. Tuttavia l’esperienza religiosa è implicita già nei primi stadi della f e n o m e n o l o g i a d e l l o s p i r i t o, dove viene, per così dire, « preavvertito » il senso del tutto o del divino.
La successiva figura della religione — alla quale rinviano i momenti precedenti della coscien za, dell’autocoscienza, della ragione e dello spirito immediato — perviene alla coscienza dell’Intero o, per meglio dire, è la figura entro la quale lo spirito universale consegue la propria a u t o c o n s a p e v o l e z z a, attraverso la sua a u t o r a p p r e s e n t a z i o n e, la quale si costruisce entro gli schemi dell’intelletto astraente che non ci consente di intendere l’unità e l’identità profonde dell’essenza assoluta e dello spirito autoconsapevole. La c o s c i e n z a r e l i g i o s a poggia su una ‘intuizione’ che viene tradotta in chiave di ‘rappresentazione’, « immaginando » una realtà supposta estranea e distante da noi. Per l’autore della Fenomenologia si tratta di un pregiudizio fuorviante da non poter conseguire il convincimento, in forza del quale la c o s c i e n z a r e l i g i o s a « preavverte » non una realtà data ed esterna ad essa, quanto piuttosto una ‘realizzazione’ della quale ignoriamo il « senso complessivo ». Insomma : la realizzazione di un p r i n c i p i o.
La religione nasconde il paradosso di una ‘unità’ che deve fare i conti con una ‘separazione’, vale a dire, l’intuizione dell’Assoluto come sostanza e dell’Assoluto come soggetto. La nozione di una « divinità personale » si regge proprio su questa intuizione dell’unità tra il Sé universale e l’essenza assoluta ma « idealizzata » in una figura che chiamiamo D i o, separata dal soggetto umano conoscente ed agente, e non ancora intesa come ‘unità da realizzarsi’.
Perché poi questa unificazione si realizzi, occorra che il Sé singolo « si ri - conosca » nel Sé universale, « autotrascendendosi » nella storia. Nel contesto di una essenza assoluta che non si è ancora « realizzata » e che non è divenuta realtà effettiva, acquisisce il suo senso la nozione di d e s t i n o.
Già nel suo « primo esperire » la sostanza spirituale, a partire dalla certezza sensibile, la coscienza ha la sua prima intuizione del divino. Il nostro intelletto scopre nel fenomeno sensibile un ‘interno soprasensibile’, come dire una e s s e n z a m e t a f e n o m e n i c a, la « ragione » per cui una cosa avvertita dai nostri sensi è tale. Alludendo a un ‘interno soprasensibile’ sperimentato dalla c o s c i e n z a nella forma dell’intelletto, la Fenomenologia intende un i n t e r n o che ancora non « si autoriflette », come “privo del Sé della coscienza ». Dunque, si suppone un « interno » delle cose ( o ad esse trascendente quale sarebbe la d i v i n i t à ) considerate estranee al ‘sog getto conoscente’. Si scoprirà lungo l’esposizione della Fenomenologia che l’essenza non concerne più il ‘pensato’, ma che in essa « si rivela » il pensar - si, nel quale si risolve il Sé, cioè lo spirito autoconsapevole.
L’esperienza religiosa è implicita anche nelle successive figurazioni dello spirito. Si pensi al rilievo assunto dalla c o s c i e n z a i n f e l i c e che denota l’aspirazione soggettiva all’unità oggettiva tra il S è e l ’ e s s e n z a a s s o l u t ada « realizzar - si », ma che viene « idealizzata » in D i o. Come pure si mediti sulla “religione del mondo infero” — a proposito dell’e t i c i t à — nel la quale si profila la nozione di d e s t i n o — spesso immaginato quale « forza » sovrastante le aspettative dei « mortali » — che emerge dalla percezione della contraddizione tra gli scopi pre fissati e i risultati effettivamente conseguiti e trascendenti l’intenzionalità cosciente dei singoli individui. Con la figura della c o s c i e n z i o s i t à si realizza l ’ a u t o c o s c i e n z a d e l l o s p i r i t o nel “puro riconoscere sé nell’altro”. A questo riconoscimento è legata la nozione della genesi dell’idea di d i v i n i t à. In ultima analisi, lo spirito è “il dio che appare in mezzo a loro”. Nella pluralità e nella successione delle ‘religioni’ si realizza la storia del s a p e r e s é da parte dello s p i r i t o o, per meglio dire, la storia di un s a p e r e che è quello dello s p i r i t o d e l m o n d o. È come asserire che lo spirito non conosce altri che se stesso.
Perché la Fenomenologia parla di spirito effettuale della storia ? Le ‘religioni’, nella loro pluralità e nella loro successione, si riferiscono alla storia del sapere sé da parte dello spirito. La co scienza religiosa esprime un sapere imperfetto perché carica il mondo della nostra vita ordinaria di una valenza simbolica, rendendolo atto a « rappresentare » lo spirito assoluto. Lo spirito effettuale della storia è quello che si produce in un ‘oggetto’, ma non si identifica con l’es senza della religione. Ridotto a un « simbolo », un oggetto si dimostra — come osserva Jean Hyppolite — “inadeguato a ciò che esso pretende di rappresentare” ( J. Hyppolite, Genesi e struttura della Fenomenologia dello spirito di Hegel, Bompiani Il Pensiero Occidentale 2005, p. 664 ). La differenza che si dà tra lo spirito effettuale della storia e lo spirito della religione — come dire tra lo spirito e se stesso — è quella tra la c o s c i e n z a e l ’ a u t o c o s c i e n z a : la religione sperimenta il divario tra il s a p e r e s é d a p a r t e d e l l o s p i r i t o e la c o s c i e n z a con cui lo s p i r i t o « si rappresenta a sé ».
La religione, nei suoi stadi inferiori o intermedi, sperimenta il divario tra l’autocoscienza dello spirito — che si esprime nell’affermazione “lo spirito si sa come spirito” — e la coscienza dello spirito attraverso la quale lo spirito « si rappresenta a sé » come oggetto, Per dirla in al tri termini : la c o s c i e n z a d e l l o s p i r i t o non è adeguata a « ri - conoscer - si » nella / co me a u t o c o s c i e n z a d e l l o s p i r i t o. Traducendo questa meditazione speculativa di He gel in termini meno oscuri, possiamo asserire che, nella religione, lo spirito del mondo, nella sua effettualità, non è conciliato con lo spirito infinito. Al riguar do la Fenomenologia asserisce :
“Siccome nella religione lo spirito si rappresenta a lui stesso, esso è coscienza, e l’effettualità implicita nella religione è la forma e la veste della sua rappresentazione. Ma in questa rappresentazione l’effettualità non incontra il suo pieno diritto, quello cioè di non essere soltanto veste, ma esistenza indipendente e libera; e viceversa, mancandole il compimento in lei stessa, essa è una figura determinata, che non consegue ciò che deve rappresentare, cioè lo spirito consapevole di se stesso. Per poter esprimere lo spirito di sé consapevole, la sua figura non dovrebbe essere altro da lui, ed esso così dovrebbe apparire o essere effettuale a sé com’è nella sua essenza” ( G.W.F. HEGEL, La Fenomeno logia dello spirito, secondo la traduzione di J. Hyppolite, vol. II, p. 206 ).
Mi sembra che questa nota della Fenomenologia sia una riflessione sull’annuncio di Cristo, secondo il quale “i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” ( Gv. 4,21-24 ). L ’ e f f e t t u a l i t à — vale a dire l’autoproduzione dello S p i r i t o nella r e l i g i o n e — non può essere limitata ed « ingabbiata » in una ‘figura determinata’, inidonea all’autorappresentazione dello s p i r i t o. Si evince che una pianta o una pietra ( e finanche un tempio ) o una medaglia o una edicola votiva esprimono, in maniera imperfetta, lo spirito effettuale della religione.
Occorre pertanto una religione rivelata dove lo spirito del mondo « si rivela » a se stesso nella sua ‘essenza’ quale spirito assoluto, senza più rinvio ad una realtà superiore. Se lo spirito del mondo si rivelasse in un ‘singolo esserci’, la coscienza dello spirito e l’autocoscienza dello spirito non si « riconoscerebbero » l’una come l’altra, l’una nell’altra. La riconciliazione dello s p i r i t o f i n i t o con l ’ i n f i n i t o si produce nella c o m u n i t à nella quale D i o « s’incarna », « muore » e « risorge », ma non risulta una riconciliazione definitiva — a motivo dell’elemento della r a p p r e s e n t a z i o n e — che si otterrà con il sapere assoluto.
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