L’epigono del Medioevo al tramonto o il primo interprete dell’Età moderna ?
di Francesco Cuccaro
L’editto imperiale di Augusta del 1555 caratterizzò, dai punti di vista politico e giuridico, la frattura dell’unità religiosa dell’Europa tra due mondi contrapposti, obbligando i sudditi di qualsiasi principato tedesco ad uniformarsi alla fe de del governante o, in caso contrario, ad emigrare. Il principio informatore di questo provvedimento di Carlo V d’Asburgo si riassumeva in una locuzione latina : “cuius regio et eius religio”. Esso avrebbe trovato la sua sanzione defi nitiva nella Pace di Westfalia del 1648, ponendo fine alla sanguinosa e deva stante Guerra dei Trent’anni.
Non si trattò solo di una contingenza di fatto ispirata alla più razionale e cinica « realpolitik », ma dell’espressione di una svolta epocale. Pensiamo alla sconfessione, sul piano etico e giuridico, dell’idea di ‘monarchia universale’ ba sata su un solo re, una sola legge e una sola fede, tanto da indurre Carlo V ad abdicare al trono imperiale un anno dopo il suo intervento. Tuttavia si può intravvedere una svolta epocale sul piano delle coscienze, ravvisando, in un evento così carico di valenza simbolica, nientemeno, la fine del Medioevo.
L’editto di Augusta fu il segno della postuma vittoria di Martin Lutero ( 1483 - 1546 ). Nessuno di noi, uomini del XXI secolo intenderebbe rinunciare all’esercizio della libertà di coscienza, delle libertà di parola, di associazione, ecc.; ma, a ben riflettere, i contemporanei di Lutero ebbero la percezione del carattere drammatico della libertà individuale che avrebbe messo in discussione tutto. Non si può negare che possa trattarsi di un’osservazione di « appa rente » ovvietà — e diciamo « apparente » — per il semplice motivo che viviamo in un mondo mutato all’insegna del relativismo delle opinioni che mette la verità e l’errore sullo stesso piano.
Paradossalmente l’editto imperiale riuscì a garantire, per una sessantina d’anni circa, una illusoria « pax » civile, ma fallì il suo tanto perseguito obiettivo : l’unità del Sacro Romano Impero.
Nella « forma mentis » di Lutero e dei suoi contemporanei, il Medioevo non era ancora separato dall’Età moderna, e questa aporìa era espressa dalla coesi stenza conflittuale e tormentata della sottomissione assolutistica e della aspi razione all’esercizio completo della propria libertà personale. Insomma, il di vario tra l’Assoluto di Dio, della Sacra Scrittura, dell’imperatore, del principe, del magistrato cittadino, e l’autonomia del singolo soggetto, era così bene sot tolineato dallo scritto La libertà del cristiano ( 1520 ) e dall’editto di Augusta. Per la prima volta, l’intervento imperiale riconosceva al suddito una istanza di libertà che, però, pagava a caro prezzo con l’emigrazione forzata ( e non più con la vita o con il carcere ) qualora non si fosse ottemperato alla fede del suo signore, l’insopportabile pena della separazione da tutto, dalla famiglia, dalla comunità alla quale si apparteneva, dalla terra natìa, e l’essere assegnato a se stesso, soprattutto se povero e non garantito da nessun vincolo protettivo. L’emigrazione equivaleva, infatti, allo « sradicamento ».
Contrariamente a coloro che emigrarono ( dovettero essere pochi, se conside riamo anche l’avversione crescente, nella popolazione germanica, al rapace fi scalismo della Curia pontificia, e alla sua ammirazione per l’audacia e il corag gio ostentati dall’agostiniano ribelle ), Lutero non rischiò nulla, sfuggendo al rogo dell’Inquisizione, perché protetto dai duchi di Sassonia, e alle fiamme del l’inferno ultraterreno, in forza del suo tenacissimo convincimento circa la giu stificazione per la sola fede. Ma gli eventi avrebbero messo alla prova le potenzialità « eversive » insite nel suo concetto della libertà del cristiano nel suo rapporto diretto con Dio senza l’intermediazione ecclesiastica. Ne avrebbero fatto le spese gli insorti, tra i contadini svevi, vittime della violenta repressio ne feudale del 1525. Fin dove essi si spinsero oltre nell’osservanza di tale concetto ? Lo stesso Lutero si spaventò alla consapevolezza che la « rivoluzione » potesse essere resa esplicita dalla sua idea della libertà del cristiano. Forse non aveva torto Karl Marx quando sostenne che il riformatore tedesco aveva sostituito alla “servitù per devozione” la “servitù per convinzione” ? Concludendo allora : Lutero è l’epigono di un Medioevo ormai al tramonto o è il pri mo interprete dell’Età moderna ? Ci piace credere che sia l’uno e l’altro, perché il Medioevo e l’Età moderna convissero conflittualmente e contraddittoriamente nella sua anima.
L’editto imperiale di Augusta del 1555 caratterizzò, dai punti di vista politico e giuridico, la frattura dell’unità religiosa dell’Europa tra due mondi contrapposti, obbligando i sudditi di qualsiasi principato tedesco ad uniformarsi alla fe de del governante o, in caso contrario, ad emigrare. Il principio informatore di questo provvedimento di Carlo V d’Asburgo si riassumeva in una locuzione latina : “cuius regio et eius religio”. Esso avrebbe trovato la sua sanzione defi nitiva nella Pace di Westfalia del 1648, ponendo fine alla sanguinosa e deva stante Guerra dei Trent’anni.
Non si trattò solo di una contingenza di fatto ispirata alla più razionale e cinica « realpolitik », ma dell’espressione di una svolta epocale. Pensiamo alla sconfessione, sul piano etico e giuridico, dell’idea di ‘monarchia universale’ ba sata su un solo re, una sola legge e una sola fede, tanto da indurre Carlo V ad abdicare al trono imperiale un anno dopo il suo intervento. Tuttavia si può intravvedere una svolta epocale sul piano delle coscienze, ravvisando, in un evento così carico di valenza simbolica, nientemeno, la fine del Medioevo.
L’editto di Augusta fu il segno della postuma vittoria di Martin Lutero ( 1483 - 1546 ). Nessuno di noi, uomini del XXI secolo intenderebbe rinunciare all’esercizio della libertà di coscienza, delle libertà di parola, di associazione, ecc.; ma, a ben riflettere, i contemporanei di Lutero ebbero la percezione del carattere drammatico della libertà individuale che avrebbe messo in discussione tutto. Non si può negare che possa trattarsi di un’osservazione di « appa rente » ovvietà — e diciamo « apparente » — per il semplice motivo che viviamo in un mondo mutato all’insegna del relativismo delle opinioni che mette la verità e l’errore sullo stesso piano.
Paradossalmente l’editto imperiale riuscì a garantire, per una sessantina d’anni circa, una illusoria « pax » civile, ma fallì il suo tanto perseguito obiettivo : l’unità del Sacro Romano Impero.
Nella « forma mentis » di Lutero e dei suoi contemporanei, il Medioevo non era ancora separato dall’Età moderna, e questa aporìa era espressa dalla coesi stenza conflittuale e tormentata della sottomissione assolutistica e della aspi razione all’esercizio completo della propria libertà personale. Insomma, il di vario tra l’Assoluto di Dio, della Sacra Scrittura, dell’imperatore, del principe, del magistrato cittadino, e l’autonomia del singolo soggetto, era così bene sot tolineato dallo scritto La libertà del cristiano ( 1520 ) e dall’editto di Augusta. Per la prima volta, l’intervento imperiale riconosceva al suddito una istanza di libertà che, però, pagava a caro prezzo con l’emigrazione forzata ( e non più con la vita o con il carcere ) qualora non si fosse ottemperato alla fede del suo signore, l’insopportabile pena della separazione da tutto, dalla famiglia, dalla comunità alla quale si apparteneva, dalla terra natìa, e l’essere assegnato a se stesso, soprattutto se povero e non garantito da nessun vincolo protettivo. L’emigrazione equivaleva, infatti, allo « sradicamento ».
Contrariamente a coloro che emigrarono ( dovettero essere pochi, se conside riamo anche l’avversione crescente, nella popolazione germanica, al rapace fi scalismo della Curia pontificia, e alla sua ammirazione per l’audacia e il corag gio ostentati dall’agostiniano ribelle ), Lutero non rischiò nulla, sfuggendo al rogo dell’Inquisizione, perché protetto dai duchi di Sassonia, e alle fiamme del l’inferno ultraterreno, in forza del suo tenacissimo convincimento circa la giu stificazione per la sola fede. Ma gli eventi avrebbero messo alla prova le potenzialità « eversive » insite nel suo concetto della libertà del cristiano nel suo rapporto diretto con Dio senza l’intermediazione ecclesiastica. Ne avrebbero fatto le spese gli insorti, tra i contadini svevi, vittime della violenta repressio ne feudale del 1525. Fin dove essi si spinsero oltre nell’osservanza di tale concetto ? Lo stesso Lutero si spaventò alla consapevolezza che la « rivoluzione » potesse essere resa esplicita dalla sua idea della libertà del cristiano. Forse non aveva torto Karl Marx quando sostenne che il riformatore tedesco aveva sostituito alla “servitù per devozione” la “servitù per convinzione” ? Concludendo allora : Lutero è l’epigono di un Medioevo ormai al tramonto o è il pri mo interprete dell’Età moderna ? Ci piace credere che sia l’uno e l’altro, perché il Medioevo e l’Età moderna convissero conflittualmente e contraddittoriamente nella sua anima.