Lo scandalo di "Vestiges of the creation"( 1844-1854)
A cura di Antonella Iovine
1) Conflitti nella comunità scientifica
Con il suo Discours sur les révolutions de la surface du globe (1825), Cuvier aveva ridato indirettamente credibilità al mito biblico del Genesi e alla credenza diffusa che le specie viventi fossero state create una per una nel tempo mediante ripetuti interventi divini. Sul fronte opposto i Principles of Theology di Lyell suscitavano oscure inquietudini di natura etico-religiosa. Quest’ultimo aveva criticato la trasmutazione delle specie ponendo l’accento sulla fantasiosa approssimazione delle argomentazione lamarckiane. Inoltre rispettava le credenze religiose, specialmente il fatto che l’homo sapiens è apparso sulla terra da ultimo tra le altre specie viventi, come narra il Genesi e i reperti fossili confermano.
Nel decennio 1830-1840, mentre prendeva forma l’ipotesi evoluzionistica di Darwin, il quale elaborava le premesse geologiche di Lyell, non pochi studiosi di geologia sollevarono obiezioni contro l’uniformismo. Fra questi, va senz’altro il contributo del matematico Charles Babbage: con il suo Ninth Bridgewater Treatise, a Fragment (1837), egli illustra l’immagine di Dio come ingegnere e meccanico, autore delle leggi matematiche più complesse che all’uomo appaiono miracolose, ma che rientrano in un sistema di previsioni prestabilito all’atto della creazione.
2) Un sensazionale romanzo filosofico
Nel 1844 fu pubblicato in anonimato le Vestiges of the Natural History of the Creation: era un trattato in difesa dell’ipotesi trasformista, ricalcante a modo suo le orme di Lamarck e sfidante le obiezioni degli avversari del trasformismo. Sintetizzando: l’unico input iniziale di un Dio creatore di leggi era stato seguito dal dispiegamento nel tempo di un processo evolutivo graduale, guidato unicamente da leggi. L’immagine del Creatore, privo dei suoi tratti antropomorfi, retrocedeva nel tempo a un’età estremamente remota; come nella cosmogonia di Lucrezio e dei suoi seguaci materialisti, la specie umana non era che un tardo epifenomeno dell’evoluzione cosmica e della vita organica.
Questo “romanzo filosofico” ebbe subito un ottimo riscontro di pubblico. Si scoprì che l’autore era il poligrafo scozzese Robert Chambers (1802-1871), autodidatta, divulgatore di scienza, antiquario, editore. Dopo la prima edizione, Chambers limò, emendò, rifuse, difese a più riprese quello che considerò il proprio capolavoro. Si vantò della prospettiva sintetica e “filosofica” che era riuscito a infondere al libro, che raggiunse tutti gli strati della società.
3) Cosmogonia e trasformismo biologico
Nelle intenzioni di Chambers, l’opera aveva la pretesa di fornire una completa cosmogonia in chiave laica, deista, scientifica: una sorta di surrogato del Genesi. Nel prologo, la formula della gravitazione universale è presentata secondo la vulgata post-newtoniana, come l’archetipo di tutte le leggi della fisica e della meccanica celeste. Dopo l’impulso creativo iniziale, una nebulosa originaria avrebbe prodotto per via meccanica i corpi celesti, la cui disposizione nello spazio e i cui moti dipendevano soltanto dall’attrazione gravitazionale. Questo prologo in cielo introduce il postulato dell’unità e continuità tra le leggi fisiche già conosciute e le leggi ancora mal note della vita organica. Il prodotto della volontà divina non è che un sistema di leggi. La concezione nomologica della creazione si doveva estendere dal mondo inorganico – creato nella prima giornata della metafora biblica – alle leggi della natura organica, dettate non nelle successive giornate, ma simultaneamente. Ai ripetuti interventi creativi (la lettura del Genesi accolta dai catastrofisti) si sostituiva così un processo di graduale ascesa e continuità delle specie viventi, dalla materia inerte fino ai primi composti organici, dagli esseri monocellulari all’uomo.
Chambers condivideva la geologia uniformitaria e scioglieva a suo modo il dilemma che Lyell aveva lasciato irrisolto. Il processo evolutivo parte dagli invertebrati più elementari e giunge ai pesci, formulando incerte congetture sui rispettivi anelli di connessione; seguono i rettili, dai quali sono fatte derivare sia le piante che gli uccelli; poi i mammiferi, dai più primitivi ai più evoluti, fino all’uomo.
Il problema più ostico riguardava l’esatta natura e i meccanismi fini della trasmutazione delle specie; ma su questo punto Chambers restò nel vago, si accontentò di metafore e si rifece a certe idee matematica di Babbage. Egli non ebbe timore né di considerare la specie umana un epifenomeno del processo evolutivo, né nell’asserire che ogni embrione umano ricapitola le forme adulte dei propri antenati: insetti, pesci, rettili, uccelli e mammiferi inferiori.
Chambers si domanda perfino: «È la nostra razza soltanto l’inizio del grande tipo sovrano?» E continua sostenendo che verranno specie superiori a noi, che in questo non v’è nulla di improbabile.
4) La campagna contro «Vestiges»: Adam Sedgwick
Nella terza edizione dell’Origine della specie, Darwin inserì Vestiges nella lista dei suoi predecessori, con varie critiche e un elogio che poneva l’accento su come l’opera avesse «reso un ottimo servizio al paese, richiamando l’attenzione sul tema, rimuovendo pregiudizi, e preparando il terreno alla recezione di concezioni analoghe».
Il reverendo anglicano Adam Sedgwick, pur non essendo un fondamentalista biblico, aveva sinceramente creduto che, nonostante le diversità dei linguaggi, vi fosse tra il racconto mosaico sul diluvio e la documentazione fossile una perfetta “coincidenza”. Vestiges provocò in lui enorme indignazione, e infatti dedicò ben ottantacinque pagine alla minuziosa stroncatura che ne fece. Critica in particolare l’estrema superficialità, ingenuità e credulità con cui l’autore ha costruito i suoi “castelli in aria”. Passando in rassegna specie per specie i fossili ai quali aveva dedicato anni di studio, quelli del Paleozoico, si ritrovano organismi assai elementari insieme con organismi altamente sviluppati, senza che vi si ritrovi alcuna gradualità di sviluppo. Poi prosegue confutando l’ipotesi nebulare di Laplace di cui si era servito Chambers. Dal punto di vista teologico, la fissità delle specie viventi è un postulato essenziale; secondo il design argument il principio della finalità opera ovunque, la scala naturae ha un ordine gerarchico culminante nell’uomo, e la provvidenza assegna allo spirito umano il compito supremo di riconoscere la gloria di Dio nel creato. Ciò che è fondamentale è ammettere l’origine sovrannaturale delle leggi naturali. E da questo punto di vista non può esservi alcuna differenza ontologica tra regno organico e regno inorganico. Grave peccato di presunzione è limitare l’atto creativo a leggi deterministiche arbitrarie.
Questa reazione di Sedgwick fu del 1845, ma egli aveva respinto il “folle sogno” del trasformismo fin dagli anni Trenta. Nel 1850 Sedgwick ripubblicò il suo Discourse on the Studies of the University (1830), con un’introduzione di oltre quattrocento pagine, dove ripeteva e generalizzava tutte le obiezioni e le accuse contro l’empia ipotesi di Vestiges. Egli, agitando lo spettro di una terribile insidia morale e sociale insita nella concezione “materialistica” delle origini umane, rese espliciti i timori reverenziali che l’intera élite degli scienziati vittoriani nutriva, più o meno implicitamente, di fronte ai possibili sviluppi dell’evoluzionismo.
Darwin percepì benissimo tutto ciò, cosciente dei rischi ai quali era esposta l’ipotesi sulla quale aveva già abbozzato il suo primo Essay del 1844.
5) La critica epistemologica di William Whewell
Le preoccupazioni di carattere etico e teologico stavano molto a cuore anche ad altri protagonisti della comunità scientifica vittoriana: Whewell non considerò Vestiges degno di recensione, ma si limitò a ripubblicare per l’occasione sotto il titolo ammonitore Indications of the Creator (1845) una scelta antologica di pagine tratte dai due trattati gemelli che aveva recentemente dedicato alla filosofia e alla storia del metodo sperimentale. L’autore negava le premesse concettuali del trasformismo; confermava, nella sua ambiziosa impostazione di compromesso fra neoempirismo e neokantismo, le tradizionali argomentazioni della teologia naturale e del design argument.
Come aveva già sentenziato replicando all’uniformismo geologico di Lyell, non era possibile risalire dalle specie attuali degli esseri viventi a una loro presunta origine comune, né stabilire sperimentalmente la discendenza di specie da altre specie, e tanto meno illudersi di comprendere le origini della vita avvolta, per definizione, nella sfera del miracolo.
Chambers replicò alle idee di Whewell, che però passò al contrattacco: argomentò che la cosmogonia della nebulosa originaria era fallace, ed era già stata smentita dall’osservazione astronomica; che la finalità iscritta negli esseri viventi è documentata dall’esperienza immediata, mentre ogni speculazione sulle origini della vita è contraria alle regole dell’induzione, che ammettono ipotesi di lavoro, ma non ipotesi “dogmatiche”. Dogmatico e indimostrabile è il principio che afferma la discendenza delle specie l’una dall’altra. Dunque, l’autore di Vestiges ha teorizzato a vuoto, giungendo a conclusioni “arbitrarie e pericolose”. Whewell ammette, contro le false pretese di Chambers, i limiti della nostra conoscenza, incapace a ottenere, attraverso la scienza, una visione completa della storia dell’universo.
1) Conflitti nella comunità scientifica
Con il suo Discours sur les révolutions de la surface du globe (1825), Cuvier aveva ridato indirettamente credibilità al mito biblico del Genesi e alla credenza diffusa che le specie viventi fossero state create una per una nel tempo mediante ripetuti interventi divini. Sul fronte opposto i Principles of Theology di Lyell suscitavano oscure inquietudini di natura etico-religiosa. Quest’ultimo aveva criticato la trasmutazione delle specie ponendo l’accento sulla fantasiosa approssimazione delle argomentazione lamarckiane. Inoltre rispettava le credenze religiose, specialmente il fatto che l’homo sapiens è apparso sulla terra da ultimo tra le altre specie viventi, come narra il Genesi e i reperti fossili confermano.
Nel decennio 1830-1840, mentre prendeva forma l’ipotesi evoluzionistica di Darwin, il quale elaborava le premesse geologiche di Lyell, non pochi studiosi di geologia sollevarono obiezioni contro l’uniformismo. Fra questi, va senz’altro il contributo del matematico Charles Babbage: con il suo Ninth Bridgewater Treatise, a Fragment (1837), egli illustra l’immagine di Dio come ingegnere e meccanico, autore delle leggi matematiche più complesse che all’uomo appaiono miracolose, ma che rientrano in un sistema di previsioni prestabilito all’atto della creazione.
2) Un sensazionale romanzo filosofico
Nel 1844 fu pubblicato in anonimato le Vestiges of the Natural History of the Creation: era un trattato in difesa dell’ipotesi trasformista, ricalcante a modo suo le orme di Lamarck e sfidante le obiezioni degli avversari del trasformismo. Sintetizzando: l’unico input iniziale di un Dio creatore di leggi era stato seguito dal dispiegamento nel tempo di un processo evolutivo graduale, guidato unicamente da leggi. L’immagine del Creatore, privo dei suoi tratti antropomorfi, retrocedeva nel tempo a un’età estremamente remota; come nella cosmogonia di Lucrezio e dei suoi seguaci materialisti, la specie umana non era che un tardo epifenomeno dell’evoluzione cosmica e della vita organica.
Questo “romanzo filosofico” ebbe subito un ottimo riscontro di pubblico. Si scoprì che l’autore era il poligrafo scozzese Robert Chambers (1802-1871), autodidatta, divulgatore di scienza, antiquario, editore. Dopo la prima edizione, Chambers limò, emendò, rifuse, difese a più riprese quello che considerò il proprio capolavoro. Si vantò della prospettiva sintetica e “filosofica” che era riuscito a infondere al libro, che raggiunse tutti gli strati della società.
3) Cosmogonia e trasformismo biologico
Nelle intenzioni di Chambers, l’opera aveva la pretesa di fornire una completa cosmogonia in chiave laica, deista, scientifica: una sorta di surrogato del Genesi. Nel prologo, la formula della gravitazione universale è presentata secondo la vulgata post-newtoniana, come l’archetipo di tutte le leggi della fisica e della meccanica celeste. Dopo l’impulso creativo iniziale, una nebulosa originaria avrebbe prodotto per via meccanica i corpi celesti, la cui disposizione nello spazio e i cui moti dipendevano soltanto dall’attrazione gravitazionale. Questo prologo in cielo introduce il postulato dell’unità e continuità tra le leggi fisiche già conosciute e le leggi ancora mal note della vita organica. Il prodotto della volontà divina non è che un sistema di leggi. La concezione nomologica della creazione si doveva estendere dal mondo inorganico – creato nella prima giornata della metafora biblica – alle leggi della natura organica, dettate non nelle successive giornate, ma simultaneamente. Ai ripetuti interventi creativi (la lettura del Genesi accolta dai catastrofisti) si sostituiva così un processo di graduale ascesa e continuità delle specie viventi, dalla materia inerte fino ai primi composti organici, dagli esseri monocellulari all’uomo.
Chambers condivideva la geologia uniformitaria e scioglieva a suo modo il dilemma che Lyell aveva lasciato irrisolto. Il processo evolutivo parte dagli invertebrati più elementari e giunge ai pesci, formulando incerte congetture sui rispettivi anelli di connessione; seguono i rettili, dai quali sono fatte derivare sia le piante che gli uccelli; poi i mammiferi, dai più primitivi ai più evoluti, fino all’uomo.
Il problema più ostico riguardava l’esatta natura e i meccanismi fini della trasmutazione delle specie; ma su questo punto Chambers restò nel vago, si accontentò di metafore e si rifece a certe idee matematica di Babbage. Egli non ebbe timore né di considerare la specie umana un epifenomeno del processo evolutivo, né nell’asserire che ogni embrione umano ricapitola le forme adulte dei propri antenati: insetti, pesci, rettili, uccelli e mammiferi inferiori.
Chambers si domanda perfino: «È la nostra razza soltanto l’inizio del grande tipo sovrano?» E continua sostenendo che verranno specie superiori a noi, che in questo non v’è nulla di improbabile.
4) La campagna contro «Vestiges»: Adam Sedgwick
Nella terza edizione dell’Origine della specie, Darwin inserì Vestiges nella lista dei suoi predecessori, con varie critiche e un elogio che poneva l’accento su come l’opera avesse «reso un ottimo servizio al paese, richiamando l’attenzione sul tema, rimuovendo pregiudizi, e preparando il terreno alla recezione di concezioni analoghe».
Il reverendo anglicano Adam Sedgwick, pur non essendo un fondamentalista biblico, aveva sinceramente creduto che, nonostante le diversità dei linguaggi, vi fosse tra il racconto mosaico sul diluvio e la documentazione fossile una perfetta “coincidenza”. Vestiges provocò in lui enorme indignazione, e infatti dedicò ben ottantacinque pagine alla minuziosa stroncatura che ne fece. Critica in particolare l’estrema superficialità, ingenuità e credulità con cui l’autore ha costruito i suoi “castelli in aria”. Passando in rassegna specie per specie i fossili ai quali aveva dedicato anni di studio, quelli del Paleozoico, si ritrovano organismi assai elementari insieme con organismi altamente sviluppati, senza che vi si ritrovi alcuna gradualità di sviluppo. Poi prosegue confutando l’ipotesi nebulare di Laplace di cui si era servito Chambers. Dal punto di vista teologico, la fissità delle specie viventi è un postulato essenziale; secondo il design argument il principio della finalità opera ovunque, la scala naturae ha un ordine gerarchico culminante nell’uomo, e la provvidenza assegna allo spirito umano il compito supremo di riconoscere la gloria di Dio nel creato. Ciò che è fondamentale è ammettere l’origine sovrannaturale delle leggi naturali. E da questo punto di vista non può esservi alcuna differenza ontologica tra regno organico e regno inorganico. Grave peccato di presunzione è limitare l’atto creativo a leggi deterministiche arbitrarie.
Questa reazione di Sedgwick fu del 1845, ma egli aveva respinto il “folle sogno” del trasformismo fin dagli anni Trenta. Nel 1850 Sedgwick ripubblicò il suo Discourse on the Studies of the University (1830), con un’introduzione di oltre quattrocento pagine, dove ripeteva e generalizzava tutte le obiezioni e le accuse contro l’empia ipotesi di Vestiges. Egli, agitando lo spettro di una terribile insidia morale e sociale insita nella concezione “materialistica” delle origini umane, rese espliciti i timori reverenziali che l’intera élite degli scienziati vittoriani nutriva, più o meno implicitamente, di fronte ai possibili sviluppi dell’evoluzionismo.
Darwin percepì benissimo tutto ciò, cosciente dei rischi ai quali era esposta l’ipotesi sulla quale aveva già abbozzato il suo primo Essay del 1844.
5) La critica epistemologica di William Whewell
Le preoccupazioni di carattere etico e teologico stavano molto a cuore anche ad altri protagonisti della comunità scientifica vittoriana: Whewell non considerò Vestiges degno di recensione, ma si limitò a ripubblicare per l’occasione sotto il titolo ammonitore Indications of the Creator (1845) una scelta antologica di pagine tratte dai due trattati gemelli che aveva recentemente dedicato alla filosofia e alla storia del metodo sperimentale. L’autore negava le premesse concettuali del trasformismo; confermava, nella sua ambiziosa impostazione di compromesso fra neoempirismo e neokantismo, le tradizionali argomentazioni della teologia naturale e del design argument.
Come aveva già sentenziato replicando all’uniformismo geologico di Lyell, non era possibile risalire dalle specie attuali degli esseri viventi a una loro presunta origine comune, né stabilire sperimentalmente la discendenza di specie da altre specie, e tanto meno illudersi di comprendere le origini della vita avvolta, per definizione, nella sfera del miracolo.
Chambers replicò alle idee di Whewell, che però passò al contrattacco: argomentò che la cosmogonia della nebulosa originaria era fallace, ed era già stata smentita dall’osservazione astronomica; che la finalità iscritta negli esseri viventi è documentata dall’esperienza immediata, mentre ogni speculazione sulle origini della vita è contraria alle regole dell’induzione, che ammettono ipotesi di lavoro, ma non ipotesi “dogmatiche”. Dogmatico e indimostrabile è il principio che afferma la discendenza delle specie l’una dall’altra. Dunque, l’autore di Vestiges ha teorizzato a vuoto, giungendo a conclusioni “arbitrarie e pericolose”. Whewell ammette, contro le false pretese di Chambers, i limiti della nostra conoscenza, incapace a ottenere, attraverso la scienza, una visione completa della storia dell’universo.