L’anima e le forme. Saggi (Lukàcs, 1911)
L’opera, fu tra le più significative dell’estetica del giovane Lukàcs, testimonia del periodo di passaggio da una fase contrassegnata dall’emblema del tragico kierkegaardiano all’apertura utopico- dialettica degli studi sul romanzo (Teoria del romanzo, 1916).
Si tratta di una raccolta redatta in un clima preesistenzialistico e influenzato dalla lettura di Kierkegaard e Dostoevskij. I saggi sono dedicati a diversi soggetti e autori, e incentrati sulle nozioni di anima (intesa come individualità autentica e genuina), vita, arte e forma: le forme costituiscono le strutture di senso attraverso le quali l’uomo cerca di trasformare il caos del flusso vitale in cosmo ordinato (appunto l’arte), in un processo inesausto che tuttavia (secondo l’insegnamento della filosofia della vita, e in particolare di G. Simmel) è costitutivamente destinato al fallimento. Tale processo non si rivela al sapere della scienza positiva, che sul modello delle scienze della natura indaga fatti “oggettivi” e connessioni causali, ma emerge piuttosto nell’opera d’arte, e soprattutto nella tragedia, in cui trova estetico compimento il vissuto umano. Qui l’esistenza si rivela come “anarchia del chiaroscuro: nulla si realizza mai totalmente in essa, mai nulla giunge a compimento (...).
Tutto continua ad affluire e a defluire nel tutto, senza impedimenti, in un indistinto rimescolio”. In particolare il saggio dedicato a P. Ernest (Metafisica della tragedia) insiste sula centralità dell’arte tragica in un’epoca in cui l’uomo sembra non poter più confidare in alcuna mitologia provvidenzialistica: “Il dramma è un gioco; un gioco tra l’uomo e il destino; un gioco dove Dio è lo spettatore. È soltanto spettatore, e la sua parola e il suo gesto non si mescolano mai alle parole e ai gesti dei giocatori”.
Si tratta di una raccolta redatta in un clima preesistenzialistico e influenzato dalla lettura di Kierkegaard e Dostoevskij. I saggi sono dedicati a diversi soggetti e autori, e incentrati sulle nozioni di anima (intesa come individualità autentica e genuina), vita, arte e forma: le forme costituiscono le strutture di senso attraverso le quali l’uomo cerca di trasformare il caos del flusso vitale in cosmo ordinato (appunto l’arte), in un processo inesausto che tuttavia (secondo l’insegnamento della filosofia della vita, e in particolare di G. Simmel) è costitutivamente destinato al fallimento. Tale processo non si rivela al sapere della scienza positiva, che sul modello delle scienze della natura indaga fatti “oggettivi” e connessioni causali, ma emerge piuttosto nell’opera d’arte, e soprattutto nella tragedia, in cui trova estetico compimento il vissuto umano. Qui l’esistenza si rivela come “anarchia del chiaroscuro: nulla si realizza mai totalmente in essa, mai nulla giunge a compimento (...).
Tutto continua ad affluire e a defluire nel tutto, senza impedimenti, in un indistinto rimescolio”. In particolare il saggio dedicato a P. Ernest (Metafisica della tragedia) insiste sula centralità dell’arte tragica in un’epoca in cui l’uomo sembra non poter più confidare in alcuna mitologia provvidenzialistica: “Il dramma è un gioco; un gioco tra l’uomo e il destino; un gioco dove Dio è lo spettatore. È soltanto spettatore, e la sua parola e il suo gesto non si mescolano mai alle parole e ai gesti dei giocatori”.