Il romanzo filosofico
L'espressione "romanzo filosofico" individua tradizionalmente un ristretto gruppo di contes philosophiques dell'illuminismo francese, fra i quali il Candido di Voltaire (1759) e Giacomo il fatalista e il suo padrone di Diderot (1796). Ma poiché questa nozione, anche a causa dell'estensione del termine "romanzo", non è mai divenuta una categoria definita dalla critica letteraria, essa viene abitualmente applicata a testi eterogenei, dall'Utopia di T. Moro (1516) ai romanzi di M. Proust, H. James e R. Musil.
Che in questa flessibilità non sia in gioco soltanto un'ambiguità lessicale è suggerito dalla storia del termine "romanzo", la cui accezione moderna, a indicare una struttura letteraria totalizzante in grado di inglobare ogni altra forma letteraria, deriva dalle riflessioni estetiche di F. Schlegel (Lettera sul romanzo in Dialogo sulla poesia, 1800) e di Hegel (Estetica, 1835).
In parallelo alla diffusione di una filosofia del romanzo, il "romanzo di formazione" inaugurato da Goethe con Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1795-96) diventa un paradigma di narrazione romanzesca a cui si richiamano le forme romantiche di narrazione filosofica: dalla metafisica dell'amore libertino della Lucinda (1798-99) di Schlegel al romanzo epistolare di Holderlin, Iperione (1797-99), all'Heinrich von Ofterdingen di Novalis (1802). Mediante la sua complessità formale - che include narrazioni realistiche ed epistolari, motivi allegorici, strutture poetiche e riferimenti autobiografici - il romanzo di formazione esplora i temi della filosofia romantica: la formazione della soggettività, la relazione tra finito e infinito, l'irriducibilità dell'immaginazione alla civiltà moderna, il rapporto fra il mondo classico e cristianesimo profetico.
Nella tradizione romantica, il romanzo filosofico in quanto si attribuisce la funzione speculativa della filosofia, proponendosi come l'espressione più avanzata della modernità: da qui l'abitudine di considerare come filosofici i romanzi di Melville, Dostoevskij, Flaubert, james, Strindberg, Proust, Th. Mann, Joyce, Kafka, Borges, Beckett e Calvino.
I romanzi filosofici dell'illuminismo francese prediligono invece l'espediente del racconto a tesi, della personificazione delle idee. Eredi dei procedimenti narrativi del dialogo filosofico (Il nipote di Rameau di Diderot, 1760-61; la filosofia nel boudoir di Sade, 1795), del genere epistolare (Giulia o la nuova Eloisa di Rousseau, 1761; le Lettere persiane di Voltaire, 1721) e delle utopie filosofiche rinascimentali (Micromega di Voltaire, 1752; Aline e Valcour di Sade, 1795), le fables philosophiques illuministiche combattono la metafisica e il dogmatismo sfruttando il registro satirico (Voltaire), ironico ( Diderot) o emotivo (Rousseau). I confini che separano i generi chiusi del romanzo filosofico voltairiano dall'espansione immaginativo-concettuale del romanzo romantico sono tuttavia molto labili, e l'andamento filosofico della narrazione fa capolino anche nelle migliori opere illuministiche, per esempio in Giacomo il fatalista e il suo padrone (1796) di Diderot e nella Nuova Justine seguita dalla storia di Juliette, sua sorella (1797) di Sade, che introducono forme letterarie in grado di gettare luce sulla natura della soggettività, del libero arbitrio e della morale.
Tradotta in modelli lontani dal conte philosophique illuministico, l'ispirazione romanzesca caratterizza anche alcune fra le più significative opere filosofiche del sec. XIX, per esempio Aut-aut (1843) di Kierkegaard e Così parlò Zarathustra (1883-85) di Nietzsche. In queste ultime, attraverso digressioni e frammenti, pseudonimi (Kierkegaard) e personaggi filosofici (Nietzsche), si afferma una concezione asistematica della filosofia, che contesta la legittimità di contenuti filosofici autonomi e universali.
Nel Novecento, la tradizione francese del romanzo filosofico prosegue con la letteratura di ispirazione surrealista e metafisica di M. Blanchot (Thomas l'oscuro, 1941) e G. bataille (L'esperienza interiore, 1943).
In conclusione, poiché la stessa pratica romanzesca è intrecciata alla teorizzazione estetica, sarebbe riduttivo attribuire un mero significato stilistico al romanzo filosofico: la rilevanza del romanzo per la modernità deriva piuttosto dalla sua capacità di reinventare il rapporto fra letteratura e filosofia, fra linguaggio e concetto.
Esempi novecenteschi di romanzo filosofico possono essere considerati pertanto sia racconti a tesi come quelli di Th. H. Huxely (Il mondo nuovo, 1932), J. P. Sartre (La nausea, 1938), G. Orwell (la fattoria degli animali, 1945), U. Eco (Il nome della rosa, 1980), sia forme sperimentali di scrittura filosofica, contraddistinte da modalità comunicative ironiche ( R. Rorty) o poligrafiche (J. Derrida).
Bibliografia:
Dizionario filosofico Abbagnano
L'Universale. filosofia garzantine