Trattato
Il termine latino Tractatus (dal verbo tractare) indica in generale l'occuparsi di qualcosa, ovvero lo studio o l'esame di una questione particolare.
Poiché nel latino ecclesiastico dei padri della chiesa tractare significa anche predicare, a volte nel senso di spiegare un passo della Scrittura, tractatus può anche assumere il significato di sermone o predica.
Trattato può quindi essere uno scritto esegetico o un commento relativo alla Sacra Scrittura, o anche, come nel medioevo, un discorso diretto al popolo da parte di un vescovo o di un sacerdote.
A partire soprattutto dal sec. XVIII il termine "trattato" comincia a designare opere che si allontanano dal modo di esporre i problemi tipico della quaestio (assai diffusa nella cultura medievale) e che sono caratterizzate da una certa brevità, unita però alla sistematicità e all'esaustività, nell'esaminare un preciso punto dottrinale. Appartengono a questo genere di scritti come il De ente et essentia (1252-53) e il De unitate intellectus contra Averroistas (1270) di Tommaso d'Aquino.
In generale si può affermare che la caratteristica principale del trattato sia proprio l'esposizione sistematica di un problema, come avviene nelle opere, tipiche della patristica e della scolastica, il cui titolo inizia con la preposizione latina de seguita dall'argomento oggetto di studio.
In diversi casi, il trattato mira addirittura a definire un ambito disciplinare specifico. In tal senso si possono considerare come trattati diverse opere dell'antichità, a partire dalla Poetica di Aristotele, o alcune opere di Cicerone, come il De republica (54 a.C.), il De Legibus (52-44 a.C.) e il De officiis (44 a.C.), trattazioni classiche che, per la loro chiarezza, sono divenute punti di riferimento essenziali per gli autori che, almeno fino al Seicento, si sono occupati di questioni etiche e politiche, come il Principe (1513) di Machiavelli, Della ragion di stato (1589) di G. Botero e la Politica methodice digesta (1603) di J. Althusis, nonché il De jure natura et gentium (1672) di S. Pufendorf (articolato in maniera sistematica, cioè more geometrico, secondo definizioni, deduzioni e corollari). Il trattato in questo caso riflette la necessità di procedere in modo dimostrativo e stringente per definire con certezza una materia.
Un andamento simile hanno il De cive (1642), il De corpore (1655) e il De nomine (1658) di Th. Hobbes. All'ideale del sapere geometrico si richiama Spinoza nell'Ethica more geometrico demonstrata (1677), che però non si limita a trattare una questione specifica di natura morale, politica o gnoseologica come le opere citate in precedenza, ma contiene un intero sistema filosofico, che espone delle verità eterne come metodo rigorosamente razionale. Spinoza usa esplicitamente il termine "trattato" in altre due opere di argomento più circoscritto - il Tractatus theologico-politicus (1670) e il Tractatus politicus (1677)- che affrontano temi quali la definizione del diritto naturale, il rapporto fra il potere politico e la Scrittura, e la garanzia della libertà di filosofare.
Che il trattato in epoca moderna sia generalmente dedicato a temi di natura politica, giuridica e religiosa, è evidenziato dalla persistenza di questo termine in opere come il Trattato sull'immortalità dell'anima (1516) di P. Pomponazzi o I due trattati sul governo (1690) di J. Locke; tuttavia a partire dal Settecento il trattato come genere filosofico conosce un generalizzato declino, con poche ma significative eccezioni: tra queste il Trattato sui principi della conoscenza umana (1710) di G. Berkeley, il Trattato sulla natura umana (1739-40) di D. Hume, e il Trattato delle sensazioni (1754) di E. Condillac.
Nell'età dell'Illuminismo la filosofia utilizza raramente il trattato a vantaggio di altri generi meno scolastici nell'impostazione, quali il saggio, il discorso, la ricerca o l'enciclopedia. Tra i trattati più noti dell'età dei lumi si può comunque ricordare lo scritto Dei delitti e delle pene (1764) di C. Beccaria, che costituisce la prima trattazione moderna del diritto penale.
Nel Nocento, la forma tipica del trattato si mantiene in opere nate con un intento esplicitamente accademico, come dissertazioni di dottorato o di abilitazione, o che tendono alla disamina sistematica di una certa materia o di un certo problema (come nel caso, per esempio, di Essere e tempo di M. Heidegger, 1927).
Alla struttura del procedere geometrico, così importante per la filosofia seicentesca, si richiamano molti testi della filosofia analitica (F.L.G Frege, B. Russell. R. Carnap), a cominciare dal Tractatus logico-philosophicus (1921) di L. Wittgenstein: esso risponde però solo in parte ai canoni classici del trattato, essendo la sua forma in buona parte addirittura aforistica; il suo titolo allude però a una trattazione che si pretende esaustiva dell'origine dei problemi filosofici, di cui viene data un'esposizione che, come afferma la prefazione all'opera, vuole costituire una verità "intangibile e definitiva".
Bibliografia:
Dizionario filosofico Abbagnano
Filosofia, Universale Le garzantine