Berkeley: vita opere e pensiero
Berkeley nacque a Thomastown nel 1685 e morì a Oxford nel 1753. Educato al Trinity College di Dublino, l'irlandese George Berkeley, dopo un periodo di insegnamento, entra a far parte del clero anglicano e compie vari viaggi in Inghilterra, Francia e Italia. Nominato decano della cattedrale di Derry, concepisce l'ambizioso progetto di diffondere il Vangelo e la cultura occidentale tra gli abitanti delle Americhe. Nel 1728 parte alla volta del continente americano, con l'idea di fondare un collegio universitario presso le isole Bermuda. Tuttavia, malgrado sia stata approvata dal parlamento, l'iniziativa non otterrà mai i finanziamenti promessi e nel 1731 Berkeley si rassegna a tornare in Inghilterra. Nominato vescovo di Clone, in Irlanda, qui rimane fino al 1752; in seguito si trasferisce a Oxford, dove morirà.
Tra le principali opere: il "Saggio di una nuova teoria della visione" (1709), il "Trattato sui principi della conoscenza umana" (1710), i "Dialoghi tra Halas e Philonus" (1713). Di notevole interesse anche i trattati "De motu e L'Analista (che contiene una penetrante critica del calcolo infinitesimale di Newton).
Apologia del cristianesimo
Lo scopo della riflessione di Berkeley non è sostenere un dato insieme di teorie filosofiche, ma difendere la fede cristiana dall'attacco a lei portato in modo insidioso e subdolo da materialismo e deismo, dottrine che egli ritiene implicite nella visione scientifica del mondo. La negazione dell'intervento divino nel mondo e la subordinazione della religione rivelata alla ragione sono per Berkeley il prodotto di fattori quali l'immagine newtoniana del cosmo, la fisica quantitativa, l'esclusione della dimostrazione umana dall'esame dei fenomeni della natura. A tali minacce egli risponde con il suo sottilissimo acume critico, utilizzando tutto il materiale filosofico che ha a disposizione, tra cui la teoria delle idee di Locke.
La critica delle idee astratte
Nel "Trattato" di Berkeley si tratta soltanto della mente e delle idee che in essa si trovano, ma manca ogni riferimento a una supposta causa materiale esterna alle idee stesse. Egli inizia con una critica al concetto di idea astratta. Locke ha mostrato che noi conosciamo direttamente solo le nostre idee semplici, ma poi ha suggerito che combinando le idee semplici si potrebbero ottenere idee astratte. Combinando le idee di triangolo equilatero, isoscele e scaleno otterremmo l'idea di triangolo in generale. Ma, nota Berkeley, nessuno ha mai concepito nella sua mente un'idea di triangolo che non fosse o equilatero, o isoscele, o scaleno. Tutte le nostre idee sono rappresentazioni particolari e un'idea generale non è altro che un nome per quella particolare classe di idee che essa si assume il compito di rappresentare.
Esse est percipi
Ciò consente di affermare che nella nostra mente vi sono solo e soltanto idee particolari, senza alcun rimando ad altro di diverso da esse. Ma allora non ha alcun senso presupporre l'esistenza di una realtà (materiale) che sia esterna alle idee e ne sia la causa. L'oggetto della percezione non può essere distinto dall'insieme delle percezioni che ce lo offrono: l'oggetto è un insieme di percezioni. Il tavolo che ci sta di fronte non è che un agglomerato delle percezioni che abbiamo di esso: la nostra conoscenza del tavolo si esaurisce completamente nei termini delle sensazioni visive, tattili, uditive che a esso associamo. Non esiste un residuo, una materia indipendente, che sia qualcosa d'altro rispetto tali percezioni. Oggetti in sé non ne conosciamo mai e la credenza nella loro esistenza è assurda e contraddittoria; l'unico luogo in cui le idee possono esistere, infatti, è la mente: per le idee vale il principio esse est percipi, essere è essere percepito.
Non esistono qualità primarie
Affermando ciò Berkeley nega la distinzione, già presente in Galileo ed esplicita in Locke, tra qualità primarie e secondarie di un oggetto, tra le qualità che l'oggetto avrebbe in sé (forma, estensione, moto) e quelle che l'oggetto avrebbe in quanto percepito (colore, sapore ecc..). Berkeley contesta che esistano qualità primarie. Tutte le proprietà sono secondarie: forma, estensione e moto non sono percepibili indipendentemente dalle qualità sensibili.
Dio e il mondo
L'adesione all'immaterialismo, o idealismo soggettivo, consente a Berkeley di rivalutare il ruolo attivo di un Dio personale nel cosmo. Le nostre idee, infatti, hanno una natura puramente passiva: esse non possono che derivare da uno spirito. Non è però possibile che siano create dagli stessi soggetti finiti, in quanto non dipendono dalla loro volontà, alla quale anzi spesso si impongono. Si deve quindi concludere che esse provengano da Dio. L'immaterialismo non riduce perciò la vita a un sogno, né rende il mondo dell'esperienza meno oggettivo:nelle fantasie produciamo liberamente le nostre idee, ma, per quanto riguarda le percezioni, esse sono prodotte da Dio. E' Dio il garante dell'oggettività del mondo (ovvero della connessione delle idee).
Paradossi dell'immaterialismo
Per Berkeley, dunque, esistono solo due tipi di entità a questo mondo: le menti e le percezioni di cui queste menti dispongono. Tutto è spirituale nella sua essenza e il materialismo è solo un grossolano inganno. Gli oggetti che non sono percepiti non hanno alcun diritto all'esistenza: un albero mai contemplato da nessuna mente non esiste.
Ciò implicherebbe che, se è vero l'immaterialismo, allora l'albero che ci sta di fronte svanirebbe quando gli giriamo le spalle. Russell si chiederà allora ironicamente come mai, se lasciamo il nostro gatto a lungo da solo in un posto dove nessuno può vederlo, quando torniamo ha fame. Come ha potuto venirgli fame se non esisteva in quanto non percepito? La risposta di Berkeley è che Dio vede ogni cosa: è la mente divina il fondamento della stabilità del mondo. Ciò evita alla filosofia di Berkeley di divenire una forma di solipsismo-dottrina secondo cui esisto solo io con i miei stati mentali.
La religione rivelata
Gli esiti apologetici della filosofia di Berkeley si esplicitano nelle sue ultime opere, l'"Alcione" e la "Siris" dove viene difeso il teismo (la credenza nel Dio personale della Bibbia) e criticato il deismo dei liberi pensatori, che riducono la divinità a un'idea astratta.
Per Berkeley solo la fede e la religione rivelata possono avere efficacia nel guidare l'azione morale dell'umanità. In questo contesto egli riformula le proprie teorie filosofiche sulla natura, passando dall'iniziale empirismo e nominalismo a una sorta di neoplatonismo.
La fortuna nel tempo
Malgrado sia stato bersaglio immediato delle critiche più svariate, Berkeley conserva un ruolo di rilievo nella storia della filosofia. Le sue argomentazioni sono solidissime e terribilmente difficili da smantellare, anche se le conclusioni cui perviene risultano a molti inaccettabili. Egli fornisce sottili analisi sui nostri concetti di realtà, materia, percezione ecc.., che impegneranno a lungo i filosofi successivi, e questo senza considerare che, in quanto padre dell'idealismo, con la sua tesi della dipendenza dell'oggetto dal soggetto, egli inaugura o dà nuova linfa a una corrente di pensiero che con le dovute differenze accomunerà personalità quali: Fiche, Schopenhauer e Gentile.