Dionigi Areopagita : vita, opere e pensiero
Una nuova fase nella storia platonica e neoplatonica medievale si apre nel IX secolo con la diffusione delle opere dello Pseudo Dionigi. Nell' 827 D.C. l' imperatore bizantino Michele III dona a Ludovico il Pio un manoscritto greco che contiene quella che lui chiamerà "teologia greca", sono le opere attribuite a Dionigi l'Areopagita, così chiamato perché i medievali ridetene vano che fosse quel Dionigi fatto poi santo che secondo gli Apostoli era stato convertito da San Paolo in persona durante la sua predicazione sull'areopago ad Atene. L'autore di queste opere è un Dionigi che non ha niente a che vedere con il Dionigi convertito da San Paolo. Si tratta di un autore cristiano di formazione neoplatonica vissuto probabilmente in Siria tra il V è il VI secolo.
Il codice delle opere attribuite a Dionigi conteneva quattro trattati: la gerarchia celeste, la gerarchia ecclesiastica, i nomi divini, la teologia mistica scritti in greco che insieme a un gruppo di dieci lettere dello stesso autore iniziano a circolare pochi anni dopo che l'imperatore bizantino ha fatto questo dono a Ludovico il Pio. Il re ricevuto questo codice chiede ad un abate Induino di tradurre queste opere dal greco al latino. Dall'832 queste opere iniziano a circolare. In realtà la traduzione di Induino era estremamente difficile e imprecisa, di lettura molto ostica. È per questo motivo che il successivo re di Francia Carlo il Calvo chiederà a un monaco di origine irlandese di fare una nuova traduzione e grazie alla produzione di Scoto Eriugena queste opere avranno una larga circolazione dal IX secolo in avanti. Successivamente ci saranno nuove traduzioni dal greco ( XIII secolo). Godranno di una circolazione molto larga e eserciteranno l'influenza molto profonda sul pensiero filosofico teologico medievale e anche rinascimentale. All'interno di queste opere si trovano una serie di idee che confermano alcuni spunti che erano già presenti grazie al l'influenza indiretta del pensiero di Platone.
La tradizione platonica consegna alla cultura medievale l'idea di un mondo strutturato gerarchicamente; questa convinzione è profondamente radicata è rafforzata grazie all'influenza delle opere dello Pseudo Dionigi in cui l'intera realtà è concepita come una struttura gerarchica che procede dell'unità al molteplice di dal semplice al complesso. Lo Pseudo Dionigi utilizza qui idee direttamente neoplatoniche (non tanto le idee di Plotino ma quelle di Procio il quale era esponente del neoplatonismo secondo il quale per fare posto alle molteplici divinità della religione pagana aveva moltiplicato gli intermediari tra l'Uno e il molteplice). Dionigi riprende l'idea di una pluralità di intermediari tra l' Uno e il mondo materiale ma ne dà un'interpretazione cristiana e quindi immagina che esista una molteplicità di gerarchie di esseri spirituali; una gerarchia molto precisa di sostanze immateriali: gli angeli. Tutta la concezione degli angeli che si sviluppa nella cultura latina dal IX - X secolo in avanti ha una molteplicità di fonti alcune sono direttamente testamentarie come ad esempio il Nuovo Testamento; ma il modo in cui viene realmente concepita la natura, l'esistenza di queste sostanze spirituali che giocano un ruolo fondamentale nella concezione cristiana medievale del mondo dipende profondamente dalla gerarchia celeste o angelica dello Pseudo Dionigi.
Dal punto di vista filosofico sono due gli aspetti più rilevanti dell'influenza di queste opere:
1) presenza all'interno delle opere dello Pseudo Dionigi di quel particolare modo di concepire le idee come esemplari divini delle cose. Si diffuse nella cultura patristica una rilettura della teoria delle idee che le toglie dall'Iperuranio di Platone e le colloca nella mente di Dio. Il logos rappresenta il luogo in cui vengono collocate le idee concepite come modelli divini della creazione. Questo modo di intendere le idee viene diffuso dalle opere dello Pseudo Dionigi.
2) si trova un'analisi raffinata del concetto base della metafisica: la nozione di essere e della sua applicabilità a Dio. La tesi centrale della Metafisica di Aristotele è che l'essere si dice in molti modi in quanto vi sono diversi tipi di enti che secondo Aristotele si dispongono secondo una gerarchia. Per Aristotele vi sono esseri immutabili, immateriali, eterni ( sostanze separate, i motori immobili che sono oggetto di una parte della metafisica che Aristotele chiama teologia). Ci sono poi altri tipi di sostanze per Aristotele: sostanze immutabili che non hanno esistenza indipendente e sono gli enti matematici. Infine vi sono vari tipi di sostanze soggette a mutamento e anche un'estensione si dispongono secondo una recisa gerarchia (ci sono sostanze più perfette che conoscono un solo tipo di cambiamento: lo spostamento locale e sostanze mutevoli che rappresentano il livello più elementare). Gli accidenti sono le proprietà delle cose che non hanno un'esistenza separata dalle cose stesse. All'interno di questo modo di dividere i vari tipi di enti, le sostanze separate cioè gli enti più perfetti che esistono nella realtà immateriali ed eterni sono appunto sostanze cioè di essi si può predicare l'essere. Dio o i vari dei sono e quindi di questi si può predicare l'essere.
Nella tradizione del pensiero neoplatonico, invece, l'Uno è aldilà della stessa distinzione essere- non essere, non si può neppure dire che è. Contro una teologia di ispirazione aristotelica che identifica Dio con l'essere, c'è un'altra tradizione del pensiero in cui non si può identificare Dio e essere e non si può predicare l'essere di Dio.
Dionigi l'Areopagita e contemporaneamente Severino Boezio trasformano questo aspetto particolare della teoria dell'essere di ispirazione neoplatonica per renderla compatibile con il monoteismo cristiano.
Secondo Dionigi Dio si identifica con l'essere puro che fornisce la sostanza di ogni ente. È un principio che trascende infinitamente ogni essere e tuttavia si può asserire che coincide con l'essere puro ed è la fonte causale di ogni essere finito.
Dionigi sostiene che essere è il nome più generale di Dio, in un certo senso anche essere è inadeguato a Dio perché Dio è aldilà di ogni possibile predicazione, tutto ciò che è deriva l'essere da Dio ed esiste in quanto partecipa del suo essere. Dio per Dionigi può essere identificato con l'essere puro e ogni ente che esiste nella realtà esiste in quanto partecipa al l'essere divino. L'uomo non potendo nella sua finitezza conoscere Dio in se può conoscerlo proprio nelle sue creature cioè nelle sue partecipazioni. Collegato a questo tema del rapporto Dio-essere vi è un altro tema centrale nel pensiero di Dionigi che condizionerà a lungo la filosofia-teologia, la mistica cristiana: è il tema della teologia negativa.
Le sue opere offrono una trattazione dei problemi dei nomi divini. Il problema dei nomi divini ha un'origine scritturale, nasce dal testo sacro dove vengono attribuiti a Dio dei nomi e presentati alcuni attributi divini; si dice allora che Dio è buono, giusto, luce ecc... Il problema è che valore dare a questo tipo di definizioni di Dio. Riflettendo su questo problema Dionigi introduce una distinzione che sarà poi dominante nel pensiero successivo non solo medievale: distinzione tra teologia affermativa, negativa e superlativa.
1)La teologia affermativa è una teologia che pretende di affermare qualche cosa di Dio. Costruisce delle frasi in cui Dio è il soggetto e poi ci sono dei predicati ad esempio Dio è buono. Secondo Dionigi una teologia affermativa ha un fondamento ma avendo una formazione filosofica neoplatonica, si rende conto che una teologia di questo tipo comporta dei notevoli rischi come ridurre la realtà divina alle categorie e ai predicati umani. Ciò che è assolutamente semplice e ciò che è infinito non tollera nessuna negatività, nessuna diversità che vi si opponga, ma il problema è che come dirà Hegel "ogni affermazione è negazione". Se ogni affermazione è anche al tempo stesso una negazione, una teologia affermativa che pretende di affermare qualche cosa di Dio rischia di limitarlo e quindi bisogna utilizzare con estrema prudenza il metodo della teologia affermativa sapendo che qualsiasi affermazione che riguardi la realtà divina è un'affermazione impropria, imprecisa che va presa al massimo in senso metaforico.
2) La teologia negativa nega la possibilità di predicare qualche cosa di Dio. Sostiene che da un certo punto di vista è meglio negare i predicati a Dio invece di affermarli. Per non correre il rischio di interpretare alla lettera invece che metaforicamente ciò che noi diciamo di Dio è opportuno negare ciò che noi pensiamo di poter dire di Dio. Infine si sfocia nella teologia superlativa o iperbolica.
3) La teologia superlativa o iperbolica è una teologia che in ogni caso permette di affermare che Dio è aldilà di qualsiasi predicato, quindi non si può dire né che Dio è essere o che non è essere ecc... In questo modo si attribuiscono dei predicati che sono formalmente positivi ma sono concettualmente negativi. È proprio in questa prospettiva che secondo Dionigi si può reinterpretare l'auto definizione di Dio dell'Esodo, dicendo di se' stesso "sono colui che sono". Dio avrebbe manifestato apertamente l'impossibilità di dare a Dio stesso un nome. Per Dionigi significa: sono colui che è senza nome". Di qui l'idea che è un'arte colazione in chiave cristiana di un motivo che risale alla tradizione neoplatonica dell'ineffabilità di Dio, se si dice qualcosa di Dio, si può paradossalmente predicare di lui coppie concettuali (esempio essere- non essere) perché di lui che essendo aldilà di ogni predicazione, le predicazioni opposte coincidono e questo è il tema della coincidentia oppositorum. Quest'idea porta Dionigi a teorizzare apertamente un particolare modo che l'uomo deve seguire, compiere un cammino intellettuale morale che lo porti a distaccarsi dalla molteplicità delle cose e dalla molteplicità delle sue stesse immagini e idee.
Se Dio viene concepito in questo modo, il cammino della mente verso Dio non può non essere un percorso strettamente razionale, ma è necessaria quella che egli chiama una forma di intuizione sovraintellettuale che supera la nostra razionalità che consenta alla mente umana di immergersi in quella che egli chiama tenebra divina. La ragione umana in qualche modo riesce a cogliere Dio solo nel momento in cui supera se' stessa, nega se' stessa, trascende se' stessa e intuisce Dio come lui dice in una piena ignoranza cioè negando la sua stessa conoscenza, le sue nozioni.
E' da qui che proviene da una parte il tema della ditta ignoranza, ignoranza che non si tratta di non sapere le cose ma che è un superare ogni tipo di conoscenza che noi abbiamo nel tentativo di ricongiungersi a un Dio che trascende le nostre capacità concettuali.