Eutanasia
L'eutanasia - letteralmente buona morte (dal greco εὐθανασία, composta da εὔ-, bene e θάνατος, morte) - è il procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica.
Definizioni
Casi controversi
Uno dei casi che senza dubbio fece più scalpore in Italia fu quello di un ingegnere di Monza, Ezio Forzatti, che il 21 giugno 1998 si introdusse nel reparto di terapia intensiva dove la moglie Elena Moroni, di 46 anni, si trovava ricoverata in coma irreversibile a seguito di un edema cerebrale. Egli aveva con sé una pistola scarica, che usò per minacciare il personale di servizio e tenerlo a distanza mentre staccava il respiratore che teneva in vita la moglie e, una volta accertatane la morte, si lasciò arrestare dagli agenti di polizia nel frattempo sopraggiunti.
Processato, Forzatti fu condannato nel giugno 2000 dalla corte d'Assise di Monza a sei anni e sei mesi di reclusione. La richiesta del pubblico ministero era di 9 anni di reclusione, ma la corte riconobbe a Forzatti l'attenuante della seminfermità mentale. Al termine del successivo processo d'appello (aprile 2002), tenutosi a Milano, Forzatti fu ritenuto completamente in grado di intendere e di volere, e assolto perché il fatto non sussisteva. Tra le motivazioni della sentenza, decisiva fu quella secondo la quale i giudici considerarono la donna clinicamente morta al momento del distacco del respiratore. La sentenza d'assoluzione fu salutata positivamente da molti e, di converso, suscitò prevedibili polemiche da parte degli oppositori dell'eutanasia.
Molto dibattuto in Italia, per le implicazioni etiche e politiche che ha avuto, anche in relazione al dibattito sull'eutanasia e sul testamento biologico, è stato il caso di Eluana Englaro, una giovane donna di Lecco che, dopo un grave incidente stradale avvenuto nel 1992, è rimasta in stato vegetativo persistente fino alla sua morte nel febbraio del 2009. A seguito della richiesta del padre della donna di sospendere ogni terapia, e dopo una lunga vicenda giudiziaria, un decreto della Corte di Appello di Milano, confermato in Cassazione, ha stabilito l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione e idratazione e ha impartito delle disposizioni accessorie circa il protocollo da seguire nell'attuazione dell'interruzione del trattamento. Tra queste, oltre la sospensione dell'erogazione di presidi medici collaterali, anche la somministrazione di sedativi e antiepilettici.
Prima e dopo la morte della donna, avvenuta nella clinica di Udine nella quale era ricoverata per dare attuazione alla sentenza il 9 febbraio 2009, la vicenda ha colpito fortemente l'opinione pubblica, spaccata in due, anche con roventi polemiche e strascichi politici. La polemica ha riguardato, oltre alle questioni etiche, scientifiche, giuridiche e politiche, anche le modalità che hanno condotto alla morte della Englaro per le quali si è parlato di eutanasia in relazione al prescritto utilizzo di sedativi.
Giovanni Nuvoli, ammalato di sclerosi laterale amiotrofica e ormai completamente paralizzato, chiese più volte ai medici che gli staccassero il respiratore artificiale che lo manteneva in vita. Il medico anestesista Tommaso Ciacca, che il 10 luglio 2007 stava per eseguire le sue volontà, fu bloccato dall'intervento dei carabinieri di Alghero e della procura di Sassari. A seguito di ciò, il 16 luglio 2007 Giovanni Nuvoli iniziò uno sciopero della sete e della fame che lo portò alla morte il 23 luglio 2007.
Il dibattito sull'eutanasia si è riproposto, alla fine del 2006, quando il citato Piergiorgio Welby ha chiesto che gli venisse staccato il respiratore che lo teneva in vita. Welby è morto il 20 dicembre 2006 per insufficienza respiratoria sopravvenuta a seguito del distacco del respiratore a opera del medico anestesista Mario Riccio, di Cremona. Questi, in una conferenza stampa tenutasi il giorno dopo, ha confermato le circostanze della morte di Welby e si è autodenunciato. La Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma ha avviato un'indagine sul medico. Nel frattempo, il 1º febbraio 2007 l'Ordine dei medici di Cremona ha stabilito che la condotta tenuta da Riccio è stata corretta e non è meritevole di alcuna sanzione sebbene, anche in questa occasione, la notizia non abbia mancato di suscitare polemiche. Il 23 luglio 2007 il GUP di Roma, Zaira Secchi, ha definitivamente prosciolto il medico ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato. Secondo alcune posizioni, espresse soprattutto nella Chiesa cattolica, in questo caso, si sarebbe impropriamente tirato in ballo l'argomento "eutanasia", in quanto la questione riguardava solamente se fosse fondata la richiesta di Welby di sospendere qualsiasi terapia che lo tenesse in vita, incluso il distacco dal respiratore artificiale, cosa che lui, immobilizzato per via della distrofia muscolare, non poteva fare. Come per il caso Englaro, il ricorso era motivato dalla lettera del citato articolo 32 Cost.
Negli Stati Uniti fece scalpore il caso di Terri Schiavo, in stato vegetativo persistente (PVS) dal 1990, al cui marito Michael la corte suprema dello Stato della Florida diede nel 2005 il permesso di sospendere l'alimentazione forzata. Anche in quel caso si discusse sulla correttezza dell'uso del termine eutanasia. La sospensione della terapia in casi di coma irreversibile o PVS è prassi normale negli Stati Uniti: il caso nacque perché i genitori di Terri si erano sempre opposti alla richiesta del genero, imputandola solo al suo desiderio di liberarsi della moglie. Terri divenne, suo malgrado, oggetto di battaglia ideologico-politica tra i sostenitori e gli oppositori dell'eutanasia.
L'esame autoptico praticato sulla donna dopo la sua morte appurò che il cervello di Terri Schiavo pesava circa la metà di quello di una donna in salute della stessa età, che gran parte delle cellule era irrimediabilmente distrutta o danneggiata, e che essa era totalmente incapace di percepire alcun senso, tanto meno sentire o vedere.
Definizioni
- l'eutanasia è attiva diretta quando il decesso è provocato tramite la somministrazione di farmaci che inducono la morte (per esempio sostanze tossiche).
- l'eutanasia è attiva indiretta quando l'impiego di mezzi per alleviare la sofferenza (per esempio: l'uso di morfina) causa, come effetto secondario, la diminuzione di tempi di vita.
- l'eutanasia è passiva quando provocata dall'interruzione o l'omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell’individuo.
- l'eutanasia è detta volontaria quando segue la richiesta esplicita del soggetto, espressa essendo in grado di intendere e di volere oppure mediante il cosiddetto testamento biologico. L’eutanasia è detta non-volontaria nei casi in cui non sia il soggetto stesso ad esprimere tale volontà ma un soggetto terzo designato (come nei casi di eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale).
- il suicidio assistito è invece l'aiuto medico e amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio ma senza intervenire nella somministrazione delle sostanze.Facendo riferimento in particolare al panorama legislativo italiano si distingue l’eutanasia da altre pratiche e problematiche concernenti la fine della vita:
- Facendo riferimento in particolare al panorama legislativo italiano si distingue l’eutanasia da altre pratiche e problematiche concernenti la fine della vita:
- la terapia del dolore attraverso la somministrazione di farmaci analgesici, che possono condurre il malato ad una morte prematura, non è considerata una forma di eutanasia in quanto l’intenzione del medico è alleviare le sofferenze del paziente e non procurarne la morte.
- non si configura come eutanasia il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Il medico, nei casi in cui la morte è imminente e inevitabile, è legittimato (in Italia sia dalla legislazione che dal proprio codice deontologico) ad interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi.
- in Italia è garantita la cosiddetta libertà di cura e terapia attraverso gli articoli 13 e 32 della costituzione. In particolare l’art. 32, 2º comma, recita: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“. In base a tale principio nessuna persona capace di intendere e di volere può essere costretta ad un trattamento sanitario anche se indispensabile alla sopravvivenza. Anche da un punto di vista etico la rinuncia ad un intervento necessario alla sopravvivenza si configura come suicidio e non come eutanasia.
- infine non si può definire eutanasia la cessazione delle cure dopo la diagnosi di morte, in particolare dopo la diagnosi di morte cerebrale.
La definizione di eutanasia in passato « ...se qualcuno non solo è incurabile ma anche oppresso da continue sofferenze, i sacerdoti e i magistrati, poiché non è più in grado di rendersi utile e la sua esistenza, gravosa per gli altri, è per lui solo fonte di dolore (e quindi non fa che sopravviere alla propria morte), lo esortano a non prolungare quel male pestilenziale...In questo modo li convincono a porre fine alla propria vita digiunando o facendosi addormentare, così da non accorgersi nemmeno di morire. Ma non obbligano comunque nessuno ad uccidersi contro la propria volontà, né gli rivolgono meno cure... Chi invece si toglie la vita senza aver ricevuto prima il permesso dei magistrati e dei sacerdoti è considerato indegno.»
In passato sotto la definizione di "eutanasia" ricadevano anche azioni od omissioni ritenute, anche oggi, giuridicamente ed eticamente ammissibili, come la rinuncia all'accanimento terapeutico e il ricorso alle cure palliative.
In particolare, l'eutanasia passiva (od omissiva) comprendeva − in passato − differenti tipologie di azioni:- L'astensione o l'interruzione di un intervento medico perché non voluto dal morente (oggi chiamata "Rifiuto delle cure").
- L'astensione o l'interruzione di un intervento medico perché ritenuto futile o configurante accanimento terapeutico (oggi chiamata "Desistenza terapeutica" o "Rinuncia all'accanimento terapeutico").
- L'astensione o l'interruzione arbitraria di un intervento medico per facilitare il morire di una persona (oggi è solo quest'azione a venire chiamata "eutanasia passiva").
- Nascita del termine "eutanasia" Il filosofo inglese Francis Bacon introdusse il termine "eutanasia" nelle lingue moderne occidentali nel saggio Progresso della conoscenza (Of the Proficience and Advancement of Learning, 1605). In questo testo, Bacon invitava i medici a non abbandonare i malati inguaribili, e ad aiutarli a soffrire il meno possibile. Non vi era però, nell'idea di Bacon, il concetto esplicito di dare la morte. Allo stesso termine "eutanasia" Bacon attribuiva solo il significato etimologico di "buona morte" (morte non dolorosa); lo scopo del medico doveva essere quello di far sì che la morte (comunque sopraggiunta in modo "naturale") fosse non dolorosa.
Il termine iniziò ad avere corso comune a partire dalla fine del XIX secolo, a indicare un intervento medico tendente a porre fine alle sofferenze di una persona malata. In tale periodo emerse esplicitamente il concetto di "uccisione per pietà" (talora - anche se non sempre - identificabile con la fattispecie dell'omicidio del consenziente) come pratica non riprovevole in linea di principio. - L'eutanasia nell'antichità
La questione della correttezza morale della somministrazione della morte è un tema controverso fin dagli albori della medicina. Nel Giuramento di Ippocrate (circa 420 a.C.) si legge: Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo. D'altra parte, nel mondo classico, in determinate condizioni, il suicidio (e l'assistenza allo stesso) era spesso considerato con rispetto. Simili indicazioni etiche e deontologiche si possono rintracciare nel primo corpus legislativo della storia, il Codice di Hammurabi. Nell'Antico Testamento viene citato il caso di un suicidio assistito: quello del Saul (II Samuele 1,6-10): un soldato uccide Saul su sua richiesta; ma David in seguito condanna quel soldato a morte per omicidio. Le correnti di pensiero nell'ambito della filosofia morale più diffuse in epoca classica pre-cristiana, cioè l'epicureismo e lo stoicismo, consideravano il suicidio in linea di massima come un atto eticamente accettabile e degno di rispetto, in determinati contesti, senza trattare l'eutanasia medica come tipologia specifica. Un esempio di suicidio citato tra quelli ritenuti ammirevoli era quello di Seneca. - Il programma eugenetico nel nazismo
- Il programma eugenetico nazista Aktion T4 fu anche chiamato «programma eutanasia», espressione che venne utilizzata allora da molti di coloro che erano coinvolti in quest'operazione, ma non può essere considerata a tutti gli effetti eutanasia: non prevedeva infatti il consenso dei pazienti, ma la soppressione contro la loro volontà. Il programma non era poi motivato da preoccupazione per il benessere dell'ammalato, come il desiderio di liberarlo dalla sofferenza, l'Aktion T4 veniva invece portato avanti principalmente a scopo eugenetico, per migliorare l'«igiene razziale» secondo l'ottica dell'ideologia nazista allora imperante. Mirava inoltre a diminuire le spese sanitarie ed assistenziali statali, considerando che le priorità economiche erano rivolte ad altre voci come il riarmo militare. Il programma fu definito dai contemporanei come una «eutanasia sociale». A fronte di una grande opposizione interna il programma fu ufficialmente abbandonato nell'estate del 1941.
L'idea di ricorrere all'eugenetica si ripropose già all'inizio dell'anno successivo, con l'insuccesso dell'Operazione Barbarossa, questa volta in un contesto militare. Le notevoli difficoltà che la Wehrmacht incontrava durante la campagna sul fronte orientale indusse i comandi a prevedere dei «gruppi di eutanasia» il cui compito era «aiutare i soldati feriti». Anche su questo programma i vertici nazisti cercarono di stendere il velo della segretezza. Nelle ultime fasi del Terzo Reich testimonianze dirette riportano addirittura, che nella propaganda fosse prevista una sorta di eutanasia di stato, chiamata dai burocrati del regime «morte indolore mediante gas», da preferirsi nettamente al cadere in mano sovietica.
Casi controversi
Uno dei casi che senza dubbio fece più scalpore in Italia fu quello di un ingegnere di Monza, Ezio Forzatti, che il 21 giugno 1998 si introdusse nel reparto di terapia intensiva dove la moglie Elena Moroni, di 46 anni, si trovava ricoverata in coma irreversibile a seguito di un edema cerebrale. Egli aveva con sé una pistola scarica, che usò per minacciare il personale di servizio e tenerlo a distanza mentre staccava il respiratore che teneva in vita la moglie e, una volta accertatane la morte, si lasciò arrestare dagli agenti di polizia nel frattempo sopraggiunti.
Processato, Forzatti fu condannato nel giugno 2000 dalla corte d'Assise di Monza a sei anni e sei mesi di reclusione. La richiesta del pubblico ministero era di 9 anni di reclusione, ma la corte riconobbe a Forzatti l'attenuante della seminfermità mentale. Al termine del successivo processo d'appello (aprile 2002), tenutosi a Milano, Forzatti fu ritenuto completamente in grado di intendere e di volere, e assolto perché il fatto non sussisteva. Tra le motivazioni della sentenza, decisiva fu quella secondo la quale i giudici considerarono la donna clinicamente morta al momento del distacco del respiratore. La sentenza d'assoluzione fu salutata positivamente da molti e, di converso, suscitò prevedibili polemiche da parte degli oppositori dell'eutanasia.
Molto dibattuto in Italia, per le implicazioni etiche e politiche che ha avuto, anche in relazione al dibattito sull'eutanasia e sul testamento biologico, è stato il caso di Eluana Englaro, una giovane donna di Lecco che, dopo un grave incidente stradale avvenuto nel 1992, è rimasta in stato vegetativo persistente fino alla sua morte nel febbraio del 2009. A seguito della richiesta del padre della donna di sospendere ogni terapia, e dopo una lunga vicenda giudiziaria, un decreto della Corte di Appello di Milano, confermato in Cassazione, ha stabilito l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione e idratazione e ha impartito delle disposizioni accessorie circa il protocollo da seguire nell'attuazione dell'interruzione del trattamento. Tra queste, oltre la sospensione dell'erogazione di presidi medici collaterali, anche la somministrazione di sedativi e antiepilettici.
Prima e dopo la morte della donna, avvenuta nella clinica di Udine nella quale era ricoverata per dare attuazione alla sentenza il 9 febbraio 2009, la vicenda ha colpito fortemente l'opinione pubblica, spaccata in due, anche con roventi polemiche e strascichi politici. La polemica ha riguardato, oltre alle questioni etiche, scientifiche, giuridiche e politiche, anche le modalità che hanno condotto alla morte della Englaro per le quali si è parlato di eutanasia in relazione al prescritto utilizzo di sedativi.
Giovanni Nuvoli, ammalato di sclerosi laterale amiotrofica e ormai completamente paralizzato, chiese più volte ai medici che gli staccassero il respiratore artificiale che lo manteneva in vita. Il medico anestesista Tommaso Ciacca, che il 10 luglio 2007 stava per eseguire le sue volontà, fu bloccato dall'intervento dei carabinieri di Alghero e della procura di Sassari. A seguito di ciò, il 16 luglio 2007 Giovanni Nuvoli iniziò uno sciopero della sete e della fame che lo portò alla morte il 23 luglio 2007.
Il dibattito sull'eutanasia si è riproposto, alla fine del 2006, quando il citato Piergiorgio Welby ha chiesto che gli venisse staccato il respiratore che lo teneva in vita. Welby è morto il 20 dicembre 2006 per insufficienza respiratoria sopravvenuta a seguito del distacco del respiratore a opera del medico anestesista Mario Riccio, di Cremona. Questi, in una conferenza stampa tenutasi il giorno dopo, ha confermato le circostanze della morte di Welby e si è autodenunciato. La Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma ha avviato un'indagine sul medico. Nel frattempo, il 1º febbraio 2007 l'Ordine dei medici di Cremona ha stabilito che la condotta tenuta da Riccio è stata corretta e non è meritevole di alcuna sanzione sebbene, anche in questa occasione, la notizia non abbia mancato di suscitare polemiche. Il 23 luglio 2007 il GUP di Roma, Zaira Secchi, ha definitivamente prosciolto il medico ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato. Secondo alcune posizioni, espresse soprattutto nella Chiesa cattolica, in questo caso, si sarebbe impropriamente tirato in ballo l'argomento "eutanasia", in quanto la questione riguardava solamente se fosse fondata la richiesta di Welby di sospendere qualsiasi terapia che lo tenesse in vita, incluso il distacco dal respiratore artificiale, cosa che lui, immobilizzato per via della distrofia muscolare, non poteva fare. Come per il caso Englaro, il ricorso era motivato dalla lettera del citato articolo 32 Cost.
Negli Stati Uniti fece scalpore il caso di Terri Schiavo, in stato vegetativo persistente (PVS) dal 1990, al cui marito Michael la corte suprema dello Stato della Florida diede nel 2005 il permesso di sospendere l'alimentazione forzata. Anche in quel caso si discusse sulla correttezza dell'uso del termine eutanasia. La sospensione della terapia in casi di coma irreversibile o PVS è prassi normale negli Stati Uniti: il caso nacque perché i genitori di Terri si erano sempre opposti alla richiesta del genero, imputandola solo al suo desiderio di liberarsi della moglie. Terri divenne, suo malgrado, oggetto di battaglia ideologico-politica tra i sostenitori e gli oppositori dell'eutanasia.
L'esame autoptico praticato sulla donna dopo la sua morte appurò che il cervello di Terri Schiavo pesava circa la metà di quello di una donna in salute della stessa età, che gran parte delle cellule era irrimediabilmente distrutta o danneggiata, e che essa era totalmente incapace di percepire alcun senso, tanto meno sentire o vedere.