Il concetto di guerra secondo i filosofi
A quasi un mese dall'inizio dell'aggressione dell'Ucraina da parte della Russia rivolgo il mio pensiero a chi è innocente e indifeso: i bambini e le loro famiglie.
Tutti sappiamo che la guerra è ovunque ed è parte della storia. Ma cosa è la guerra? Esiste un' analisi filosofica? Può esistere una guerra giusta? Queste sono alcune domande fondamentali che solo la filosofia può tentare di rispondere.
Molti sono stati i filosofi che hanno trattato il tema della guerra, correlandolo spesso a quello della pace.
Nell'antichità il filosofo Eraclito (535 a.C. – 475 a.C), considerò la guerra elemento necessario per la pace poiché egli era convinto che l'armonia, l'ordine e la stabilità del mondo si basino sull'equilibrio degli opposti senza i quali neppure esisterebbero gli esseri. È pura illusione pensare ad una condizione umana vissuta in un'eterna pace, questa c'è perché vi è anche la guerra che crea anche un ordine sociale dove gli schiavi sono gli sconfitti dagli uomini forti. Dalla guerra quindi si genera una società gerarchicamente ordinata e giusta poiché «bisogna sapere che, essendo la guerra comune, anche la giustizia è contesa, e tutto nasce secondo contesa e necessità».
Il pensatore Anassimandro (610a.C.ca–546a.C.ca) affermò che l’ingiustizia nasce proprio dall’opposizione degli esseri finiti, dal loro volersi distaccare dall'apeiron, dall'infinito, "innocente" e "pacifico", con il risultato di essere condannati dal tempo a una lotta, un'incessante guerra che oppone un contrario all'altro per vincere e dominare sull’ altro.
Successivamente Platone (428 a.C./427 a.C. – 348 a.C./347 a.C) affermò che i sostenitori del bellicismo sono convinti che «Quella che la maggior parte degli uomini chiamano pace non è nient'altro che un nome, ma nella realtà delle cose, per forza di natura, c'è sempre una guerra, se pur non dichiarata di tutti gli stati contro tutti... È giusto perciò che lo stato di buona costituzione sia amministrato e organizzato in modo da vincere in guerra tutti gli altri, e tutto il costume, la vita pubblica e privata devono essere in funzione della guerra.» A questa concezione, sostiene Platone, si oppone quella di coloro che affermano che la città democratica debba vivere pacificamente tenendosi lontana da ogni sorta di conflitto che si riduce a un fatto privato e che, in quanto tale, non deve coinvolgere la politica.
Del periodo medievale ricordiamo la posizione assunta dal filosofo Sant'Agostino secondo il quale la guerra può essere giustificabile qualora essa rientri nei decreti della Provvidenza divina. « Fare la guerra è una felicità per i malvagi, ma per i buoni una necessità... è ingiusta la guerra fatta contro popoli inoffensivi, per desiderio di nuocere, per sete di potere, per ingrandire un impero, per ottenere ricchezze e acquistare gloria. In tutti questi casi la guerra va considerata un brigantaggio in grande stile».
Nel Rinascimento, per mezzo dell'uso delle armi da fuoco e dell'istituzione degli eserciti permanenti, la guerra assunse grande importanza a livello politico e sociale .
Di fronte alla devastante ferocia della guerra si levò alta la condanna di Erasmo da Rotterdam (1466/1469 – 1536), che considerò l'uomo in guerra peggiore delle bestie: «Sono solito domandarmi, spesso meravigliato, cosa mai spinga, non dico i cristiani, ma gli uomini tutti, a tale punto di follia da adoperarsi, con tanto zelo, con tante spese, con tanti sforzi, alla reciproca rovina generale della guerra. Che altro infatti facciamo nella vita se non la guerra o prepararci alla guerra? Neppure tutte le bestie combattono tanto, ma solo le belve, le bestie cattive. E neppure queste combattono fra loro, ma solo se sono di specie diverse. Combattono con mezzi naturali. Non come noi con macchine escogitate da un'arte diabolica.
Invece, secondo Machiavelli fu da considerarsi come uno strumento di governo e affermò che :
«Un principe non deve avere altro obiettivo, altro pensiero e altro fondamentale dovere se non quello di prepararsi alla guerra e a tutto ciò che essa comporta. Questa infatti è la sola prerogativa che ci si aspetta da chi comanda. E' talmente importante che mantiene al potere non solo quelli che principi sono nati, ma molto spesso fa sì che semplici cittadini possano diventarlo; al contrario, i principi che si sono dedicati più ai piaceri della vita che all'arte militare hanno perso il loro potere. Ciò che soprattutto lo fa perdere è il non conoscere quest'arte, mentre ciò che lo fa conquistare è l'esserne esperto.»
Per Thomas Hobbes la guerra coincise con lo stato di natura dove si scatena il “bellum omnium contra omnes”ossia la guerra di tutti contro tutti e dove ogni uomo è come un lupo contro gli altri uomini (“homo homini lupus”).
Infine Kant condivise l'idea che esista un primigenio stato di natura dove l'egoismo umano e l'istinto di sopravvivenza si manifestano con la guerra. In questa primitiva condizione la guerra è giustificata data l'assenza di ogni diritto costituito. Per uscire da questa condizione occorrerà procedere verso la costituzione di uno Stato mondiale organizzato come una federazione globale dove ciascun popolo possa vivere liberamente e dove ogni conflitto sarà superato con la fine degli egoismi nazionali. Saranno infine le stesse terribili conseguenze della guerra a condurre gli uomini verso la pace perpetua. Fino ad allora bisognerà evitare ogni tipo di guerra che miri alla distruzione totale dell'altro poiché «nessuno Stato in guerra con un altro deve permettersi comportamenti ostili che, nella pace futura, renderebbero impossibile la fiducia reciproca» e bisogna abbandonare l'idea che vi possa essere una guerra punitiva o "giusta" come se questa fosse stata pronunciata tale da un giudice giusto e imparziale.
Concludo invitandovi a ricordare che : “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire”. (Albert Einstein)
MEDITATE gente, MEDITATE !!
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