Kant e il camminare (parte 3)
“L’esperienza del viaggio, anche attraverso il racconto, suscitando sorpresa, meraviglia, spaesamento, rompe vecchie abitudini e pigrizie mentali, e può promuovere la ricerca e disporre l’animo all’attività filosofica”. Questa frase di Kant l’abbiamo già letta nell'articolo precedente che era la seconda parte di Kant.
Oramai -per chi sta seguendo questo rapporto di Kant con la natura e nella fattispecie con il viaggio- è chiaro che il filosofo è un appassionato di viaggio pur non avendone mai intrapreso uno. La frase virgolettata ce lo fa capire chiaramente e addirittura -oltre ai benefici elencati- ci dice anche che facilita l’attività filosofica. E sinceramente sono d’accordissimo con lui. Io amo viaggiare e devo dire che negli anni mi ha aiutato moltissimo per la mia attività filosofica.
Tuttavia, in questa terza parte di Kant, mi prendo il lusso -per la prima volta- di andare leggermente fuori tema ovvero di non occuparmi principalmente di viaggiare e camminare ma vorrei esporre un qualcosa che ci dipinge con ancora maggiore efficienza la grandezza e lo spessore di Immanuel Kant. Logicamente parleremo sempre di camminare e di nomadismo e quindi rimanete concentrate. Come dicevamo nell'articolo precedente: Kant può essere definito un uomo di mondo pur non avendo mai viaggiato. Dopo aver tracciato alcune caratteristiche fisiche e anche personali di Kant nelle settimane scorse, parleremo in particolare di come Kant dia una lettura personale al primo libro della Bibbia (Genesi) a proposito dell’ingresso dell’umanità nella civiltà. Si occuperà quindi anche di questo fattore prettamente antropologico che a me non piace sottovalutare.
Secondo Kant si passa dall’età della pace all’età del lavoro e della discordia. Quindi gli elementi che caratterizzano l’uomo civile sono: il conflitto tra gli uomini e la dominazione della natura attraverso il lavoro. Fondamentalmente qui dice Kant -ripercorrendo appunto il racconto biblico- che la prima grande divisione degli uomini, abbandonato il primo stadio della caccia e della raccolta, è stata tra due modi di vita: la pastorizia e l’agricoltura. Si caratterizzano perché la pastorizia è tendenzialmente un modo di vita nomade in cui si deve andare alla ricerca del pascolo per il bestiame rispetto all’agricoltura. Inoltre è anche più comodo questo modo di vita in quanto gli animali vengono allevati in questa modalità non stabile. Invece –continua Kant- la vera e propria stabilizzazione si ha con l’agricoltura perché qui la popolazione deve coltivare un territorio che poi darà frutti dopo un tempo lungo e quindi c’è bisogno di un insediamento stabile e un faticoso lavoro che non sempre sarà vantaggioso e necessario al sostentamento personale e/o familiare. Quindi: l’agricoltura, sempre a detta di Kant, segna un fondamentale passaggio perché ancora l’uomo ha una terra e ciò apre la strada per porre una questione di proprietà (di questa terra) e soprattutto anche di difesa militare (perché appunto il pastore non ha bisogno di darsi un’organizzazione militare in quanto è errante) mentre invece il contadino ha bisogno di difendere la propria terra da altri che gliela potrebbero sottrarre. L’agricoltore ha quindi bisogno di: dimora fissa, proprietà del territorio e forza necessaria a difenderlo. Con l’agricoltura si fa strada la necessità della forza organizzata. Quindi c’è il conflitto tra l’agricoltore e il pastore perché quest’ultimo vuole libertà di movimento per i suoi greggi e vuole andare nei campi che invece l’agricoltore coltiva e vuole mantenere intatti per poi raccoglierne i frutti. Lo scatto fondamentale del passaggio alla civilizzazione è proprio il passaggio alla coltivazione che richiede una stabilità e un’organizzazione di difesa. A questo punto gli uomini dovettero tenersi uniti e formare villaggi (nella Bibbia chiamate città) per proteggere le loro proprietà dai pastori nomadi.
E così con l’agricoltura inizia anche lo scambio (il baratto) e poi anche la manifattura per produrre strumenti di lavoro, ecc. Nasce anche un qualche inizio di costituzione civile e di giustizia pubblica ci dice Kant. Il seguito lo vedremo nel prossimo articolo dato che comunque abbiamo visto come dal camminare (seppur finalizzato al pascolo) si passi alla stabilità (finalizzata all’agricoltura e quindi pur sempre al lavoro).
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Filosofia e sport: stili di vita che ci aiutano a cambiare in meglio
L’inattività fisica è in costante aumento, soprattutto tra i più giovani. La sedentarietà sta dilagando e l’uso e abuso di strumenti digitali, tablet, social, smartphone, tv, pc, e videogames, rende tutti meno dinamici. Quando si parla di benessere, di stile di vita sano non si può non prendere in considerazione l’elemento basilare: lo sport. Potremmo chiederci: che cosa c’entra lo sport con la filosofia? Benessere fisico e mentale vanno di pari passo nel cammino della salute? Già nell’antica Grecia filosofia e sport erano strettamente uniti per esprimere il vigore della mente e del corpo, per il “perfezionamento di se stessi”. Lo sport, infatti, si praticava nel Ginnasio (palestra-scuola), in cui si sviluppavano di pari passo il corpo e la mente. Pertanto già gli antichi filosofi greci come ad esempio Socrate praticavano sport, per il corpo ma anche per la mente. Platone era un lottatore e cultore di uno sport democratico, accessibile a tutti, donne comprese. Il pensatore Aristotele, invece, escludeva le donne dallo sport. Filosofia e sport: due discipline spesso controverse, spesso incomprensibili, altre volte invece unite e inseparabili. Sport e filosofia. Corpo e pensiero. Fatica nel praticare e pesantezza nel pensare. Lo sport è un’opportunità che ci viene data per trasformare non solo il nostro corpo ma anche il nostro pensiero. Ricordiamoci sempre il motto: “Mens sana in corpore sano” utile a farci capire come l’esperienza e la pratica sportiva possano fare solo bene alla nostra mente. Solo avendo una mente sana possiamo rendere al meglio nell’attività sportiva, nel lavoro, nella vita quotidiana e nelle relazioni sociali. |
Pensieri in cammino
Il taccuino "Pensieri in cammino" è un oggetto da portare sempre con sé per riprendere la buona abitudine di scrivere a mano semplici appunti o i propri pensieri. Ad impreziosire ogni pagina, tanti aforismi sulle camminate dei più importanti filosofi accompagnati da affascinanti illustrazioni che riprendono il tema del taccuino. Poco importa se fate una passeggiata in città o in un parco naturale, un'escursione lunga e impegnativa in montagna o un camino di più giorni, l'importante è non perdere mai la voglia di camminare e guardare il mondo non solo con gli occhi ma anche con la mente e il cuore. Ricordatevi che come disse il filosofo Kierkegaard: "Io, camminando ogni giorno, raggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata. Ma stando fermi si arriva sempre più vicini a sentirsi malati. Perciò basta continuare a camminare, e andrà tutto bene". Speriamo che tu possa trovare del tempo da dedicare a te stesso, per camminare, riflettere e custodire per sempre un pensiero o un'emozione. |