La crisi del diritto naturale
L'opera di Hegel, dagli scritti del periodo jenese fino ai Lineamenti di filosofia del diritto del 1821, segna la crisi irreversibile del giusnaturalismo.
Lo stato non può per Hegel fondarsi su un contratto, in quanto non può essere dedotto dalla somma delle volontà individuali, non è un'unità formale e meccanica, ma sostanziale e organica, non è volontà comune, ma volontà universale, totalità etica irriducibile alle singole parti individuali.
Dopo Hegel non si può più opporre al diritto positivo un diritto naturale inteso come struttura metastorica dell'individuo privato.
Nei due maggiori teorici dello stato moderno del Novecento, M. Weber e H. Kelsen, ogni legittimazione dello stato di carattere religioso-metafisico o giusnaturalistico viene dissolta nella completa identificazione tra diritto e stato.
In Economia e società (1920) Weber individua la legittimità del potere nello stato moderno nella sua legalità, nell'essere esercitato in conformità a regole statuite razionalmente.
La Dottrina pura del diritto (1933) di Kelsen rappresenta lo stato come la personificazione dell'ordinamento giuridico.
Il nodo che tiene aperta la differenza tra questi due sistemi teorici e ne problemizza anche l'interna coerenza, è ancora il rapporto tra diritto e potere: la teoria weberiana del potere legale analizza il diritto in funzione del potere, Kelsen considera il potere in funzione del sistema normativo.
Bibliografia:
Dizionario di filosofia Abbagnano
Le garzantine filosofia