L'animismo giainista
Due sistemi filosofico-religiosi, che cominciarono ad affermarsi in India nel vivace clima culturale del VI secolo a.C. (contemporaneamente, si noti, allo sviluppo degli interessi speculativi anche in Grecia e in Cina), rifiutavano la rivelazione vedica e la divisione in caste della società: il giainismo ed il buddismo.
Accanto a questi ed altri importanti elementi innovatori il giainismo conservava però, più di altre filosofie dell'India antica, alcuni caratteri molto arcaici : secondo la tradizione il mitico fondatore del movimento, Mahavira detto Jina (« vittorioso », da cui giainisti i suoi seguaci), non avrebbe che riordinato gli insegnamenti trasmessigli da ventitrè predecessori.
Il giainismo ebbe una rapida fortuna e, contendendo al buddismo il favore dei re, estese in pochi secoli la sua influenza su tutta l'India. Nel III secolo a.C. ebbe luogo un concilio, dopo il quale i giainisti si divisero in due gruppi: i « vestiti d'aria » (forse da collegare coi gimnosofisti ricordati dalla tradizione greca) i quali sostenevano che le opere canoniche erano andate perdute, ed i « vestiti di bianco » che invece riconoscevano undici gruppi di opere canoniche (anga). Le differenze fra i due gruppi furono in realtà piuttosto di disciplina che di dogmatica, ma già allora non doveva essere possibile stabilire con certezza quali opere risalissero a Mahavira e quali derivassero da una elaborazione posteriore.
Di fatto il canone giainista venne messo per iscritto solo fra la fine del V e l'inizio del VI secolo d.C., ed è notevole che esso ci sia stato tramandato in pracrito, una lingua dialettale, e non nella lingua dei Veda, il sanscrito.
I giainisti dividono la realtà in due gruppi opposti: la sostanza pensante (jiva) e la sostanza inanimata, priva di pensiero (ajiva). Con il jiva, la cui intelligenza si manifesta come conoscenza particolare, visione generale e beatitudine, si identificano le anime. Esse, prima di raggiungere la liberazione e diventare pura conoscenza e pura luce, sono legate al samsara per effetto del karman, l'atto. Il prevalere nelle anime legate al samsara di uno dei sei colori simbolici fondamentali condiziona la loro qualità e la loro sede.
L'ajiva, inanimata e priva di pensiero, è rappresentata secondo i giainisti da cinque sostanze: i) pudgala, la materia in senso corrente, oggetto di percezione del tatto, del gusto, dell'olfatto e del colore, che può presentarsi in forma atomica o di aggregato; a) dharma, sostanza indivisibile e senza forma, il principio del moto; 3) adharma, sostanza imponderabile, principio della quiete; 4) akasa, lo spazio, divisibile in un numero infinito di punti; 5) kala, il tempo, in virtù del quale le sostanze si modificano e mutano.
Assai esteso è anche il dominio della sostanza jiva, come si può vedere dalla classificazione che i giainisti fanno delle anime legate al ciclo samsarico, a seconda della quantità dei loro sensi : i) anime con un solo senso (il tatto), come tutto il regno vegetale ed i quattro elementi: terra, acqua, fuoco e aria; 2.) anime con due sensi (tatto e gusto), come i vermi ; 3) anime con tre sensi (tatto, gusto e olfatto), come le formiche; 4) anime con quattro sensi (tatto, gusto, olfatto e vista), come le api; 5) anime con cinque sensi (tatto, gusto, olfatto, vista e udito), come i mammiferi. Un sesto senso, l'intelletto (manas), è posseduto soltanto dall'uomo e dagli esseri divini. La condizione dell'uomo è particolarmente fortunata perché ormai prossima alla liberazione: solo l'uomo infatti è capace di praticare lo yoga che, assieme al tapas (pentimento), è necessario per spezzare i legami col samsara.
Ci siamo soffermati su queste divisioni non per il loro interesse classificatorio, ma per la prospettiva metafisica animistica che diede loro origine, e per le conseguenze morali che ne derivarono per i giainisti. Sulla classificazione delle anime si fonda il principio che ogni individuo è artefice della propria grandezza spirituale — anche gli esseri divini, prima di ottenere la salvazione finale, debbono nascere come uomini -; dal riconoscimento della parentela che lega tutti gli esseri viventi deriva la dottrina dell' ahimsa, la non violenza e l'amore universale, principio morale ripreso nell'India moderna da Gandhi.
Assai interessante è infine l'epistemologia elaborata nei secoli dai filosofi giainisti, stimolati alla logica soprattutto dai trattati buddisti. Secondo i giainisti, se si vuole comprendere a fondo la struttura complessa della realtà ultima, la si deve osservare da diversi punti di vista (i quattro fondamentali sono quelli di sostanza, luogo, tempo e forma). Bisogna stare ben attenti a non sopravvalutare una caratteristica particolare e farne la natura ultima della realtà. Ogni oggetto, ad esempio, può essere considerato permanente se osservato dal punto di vista della sostanza, mentre dal punto di vista della forma può essere mutevole.
Queste considerazioni sfociano nella teoria dialettica dell'asti-nasti-vada, secondo cui riguardo al medesimo oggetto si possono avere due proposizioni contraddittorie: osservando cioè una cosa da diversi punti di vista si può dire al contempo che essa è e non è, mentre da un solo punto di vista essa è o non è.