L'antica speculazione vedica : Brahmana e Upanisad
Preceduta dalla fiorente civiltà prearia, le cui tracce sono venute alla luce negli scavi di Mohenjo Daro e di Harappa, l'invasione indoeuropea (1500 ca. a.C.) aveva dato inizio in India ad una società la cui caratteristica più evidente era la rigida divisione in caste che si conserverà quasi immutata fino ai nostri giorni, con una serie di prescrizioni rituali e consuetudinarie proprie a ciascuna delle caste.
La speculazione religiosa ed i primi elementi della filosofia di questa società appaiono già nella « letteratura vedica », un insieme di opere tutt'altro che organiche ed omogenee, composte in un lungo lasso di tempo, dal II millennio fino al VII-VI secolo a.C.: le Sanihita, raccolte di inni e preghiere a varie divinità antropomorfiche, di cui sono particolarmente importanti gli inni del Rg-Veda; i Brahmana e le Upanisad, che contengono prescrizioni rituali e speculazioni sul testo delle Sambita; ed i Sutra, dove sono esposte tutte le principali regole religiose, giuridiche e morali della società brahamanica.
Vedremo come l'accettazione o meno della rivelazione vedica dividerà le scuole filosofiche indiane in ortodosse (samkhya -yoga, nyaya-vaisesika, mimamsa, vedanta) e non ortodosse (buddismo, giainismo, scuole materialistiche, scuole scivaite, ecc.); qui basti accennare a quegli elementi — che saranno caratteristici di tutto il pensiero indiano — che troviamo già presenti in questi testi, particolarmente nei Brahmana e nelle Upanisad.
Come abbiamo or ora ricordato i Brahmana e le Upanisad, in prosa e in versi, a volte in forma dialogica, pieni di intuizioni poetiche oscure ed ambigue che fanno di questa letteratura una delle più suggestive dell'India, discutono problemi di ritualistica e di religione. Il rito è innestato in una visione cosmogonica e cosmologica nella quale la mitografia delle Samhita trova ordine sotto un dio supremo, Prajapati, da cui il mondo nasce per emanazione. Cercando di definire la struttura delle cose si giunge pure ad una prima formulazione del dualismo psico-fisico attraverso la distinzione nell'uomo fra nama, il nome, sua essenza interiore, e rupa, la forma visibile della persona umana.
Ma il problema centrale di questa speculazione è quello della esistenza in noi di un principio essenziale per la nostra vita e quella dell'universo. Nelle Upanisad tale principio fu indentificato con l'atman, l'anima, che non è l'io apparente, ma il soggetto metempirico di ogni nostra azione e pensiero. L'atman non ha in sé differenza alcuna: sebbene presente in ciascuno di noi, esso è unico, immune dalla concatenazione spazio-temporale, al di là delle passioni, definibile soltanto negativamente. L'atman è identificato con il brahman, la forza misteriosa della preghiera, che nella speculazione dei Brahmana era assunto a sostanza originaria.
Come si può spiegare allora che l'atman, essenza del tutto ed eternità, possa degradarsi e limitarsi negli individui soggetti al divenire del mondo empirico? La ragione iniziale di questo processo ci rimane ignota; il suo meccanismo però già nelle Upanisad viene individuato nell'ignoranza e nell'azione, il karman, che porta con sé come conseguenza la concatenazione di pensieri e di eventi ed impedisce la conoscenza dell'antinomia fra atman e mondo empirico. Alla conoscenza di questa antinomia devono dunque tendere gli sforzi per liberarsi dal samsara, il giro delle esistenze in cui l'atman è trascinato, assumendo questo o quel corpo a seconda dei meriti e dei demeriti della vita precedente.