L'eta' dell'Illuminismo
L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Questa celebre affermazione di Kant descrive l'essenza dell'illuminismo, che invita ogni uomo a fare pubblico uso della ragione in tutti i campi. Usare la ragione significa agire finalmente come un soggetto autonomo; farlo in tutti i campi vuol dire non considerare che esistano ambiti in cui la razionalità deve cedere il passo alla tradizione.
L'illuminismo è la filosofia del Settecento europeo (per tale ragione esso è definito il secolo dei lumi) e si caratterizza per il progetto di illuminare e rischiarare le menti degli uomini, al fine di liberarli dalle tenebre dell'ignoranza e della superstizione.
L'illuminismo ha radici nel pensiero empirista inglese e nella rivoluzione scientifica: la critica del principio di autorità, il rimando all'esperienza, la difesa dell'individuo, la libertà nel confronto delle idee danno origine a un insieme di valori che, applicati all'intera organizzazione sociale, producono esiti rivoluzionari. Gli illuministi estendono all'organizzazione degli Stati e della società quell'atteggiamento critico che è il nucleo dell'impresa scientifica e che viene sottolineato dal filone più radicale dell'empirismo. La fiducia nelle capacità della ragione di risolvere ogni problema dà vita a un ideale di progresso e di riforma che non coinvolge soltanto il sapere, ma tutta la società.
Gli illuministi ritengono che l'ignoranza e la superstizione siano diffuse tra il popolo anche perché chi detiene il potere teme la presa di coscienza dei sudditi. Un ruolo di fondamentale importanza acquista così l'educazione, strumento di liberazione delle coscienze dalle opinioni indotte dalla vecchia cultura (in particolare quella religiosa).
L'attenzione per la dimensione educativa e l'idea che la diffusione della cultura possa esercitare un ruolo fondamentale nel progresso dell'umanità spiegano il grande rilievo assunto in questo periodo dalle enciclopedie e dai dizionari, veicoli di diffusione di un sapere destinato a un pubblico di vaste dimensioni.
L'illuminismo francese
Nel Settecento la politica francese è caratterizzata da un profondo conflitto fra conservatori e riformatori. Se in Gran Bretagna la nuova cultura si accompagna alla graduale modifica dell'ordine sociale-con la sconfitta dell'assolutismo e i primi passi verso una monarchia parlamentare moderna, che lascia ampio spazio ai ceti emergenti, in primo luogo borghesi- in Francia il conflitto sociale è più duro e non trova sbocchi democratici. Per affermarsi, l'illuminismo deve quindi combattere una vera e propria battaglia, che dal piano culturale si trasferisce a quello politico.
L'illuminismo francese, si sviluppa a partire dagli ultimi anni di regno del Re Sole, Luigi XIV, anche come reazione a quello Stato assolutista che, cessata la sua funzione di stimolo e rinnovamento della società, diviene ora un ostacolo alle aspirazioni delle nuove classi sociali emergenti.
Ecco dunque sorgere una ricca produzione letteraria e filosofica orientata verso la critica della società, della religione, delle consuetudini.
Esponente di spicco di questa corrente critica è Pierre Bayle, che nel suo "Dizionario storico e critico" afferma a chiare lettere l'idea che il progresso scientifico è incompatibile con la tradizione religiosa. La ragione e la fede debbono battere strade diverse, e in campo scientifico a ogni uomo deve essere la sciita la massima libertà di pensiero. Il messaggio fondamentale di Bayle è la tolleranza nei confronti delle idee di tutti: i "Pensieri sulla cometa" sono una critica corrosiva sella superstizione popolare, mentre nel "Trattato della tolleranza universale" si critica la pretesa che ogni Chiesa avanza-di costringere tutti gli uomini a seguire la propria verità.
Più apertamente politiche risultano invece le proposte della seconda generazione di illuministi, comprendente autori quali Montesquieu, Voltaire, Rousseau, i quali propongono in prima persona le loro ricette per la realizzazione di una società più giusta e rispettosa della libertà dei cittadini. A essi si aggiunge lo stuolo di collaboratori dell'Enciclopedia: un insieme di pensatori molto diversi tra loro sul piano filosofico e religiosa-si va dai sostenitori del deismo agli atei più radicali-ma accomunati dal progetto di edificazione di una cultura che sia anche strumento di emancipazione e miglioramento della società.
Diffusione dell'illuminismo
In Italia il pensiero illuminista si diffonde soprattutto in due realtà culturali: Napoli e Milano. A Napoli (anche per l'influenza di Giambattista Vico), l'illuminismo si caratterizza per l'importanza attribuita alla storia, all'organizzazione sociale e ai temi giuridico-economici. Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri sono autori di importanti studi di economia politica (scienza che studia i rapporti tra organizzazione economica e istituzioni politiche).
A Milano, dove è forte l'influenza francese, l'interesse degli illuministi è prevalentemente politico. Essi sostengono la necessità di applicare i lumi della ragione ai problemi della società, attraverso una serie di riforme da promuovere dall'alto, a opera di governanti illuminati. Principali figure del movimento lombardo sono i fratelli Pietro e Alessandro Verri, animatori dell'Accademia dei pugni (luogo di dibattito e azione politica) e della rivista "Il Caffè" (orango ufficiale del movimento), e soprattutto Cesare Beccaria, autore nel 1764 dell'opera "Dei delitti e delle pene". In questo saggio-accolto con entusiasmo in tutta Europa, in particolare da Voltaire, Diderot e d'Alembert-Beccaria propone una realizzazione in materia di leggi e di punizioni e avanza una serie di importanti obiezioni alla pena di morte.
Per Beccaria, le leggi si giustificano soltanto in relazione al loro contributo alla felicità collettiva; le pene per chi le infrange debbono perciò essere proporzionali al danno inflitto alla società. Inoltre esse si reggono su un contratto sociale tra Stato e cittadini che non può certo prevedere la rinuncia di uno dei contraenti alla propria vita: lo Stato non ha dunque il diritto di uccidere comminando la pena di morte, tanto più che la reclusione è comunque in grado di difendere la collettività, senza togliere la vita a nessuno. Nello stesso spirito, Beccaria condanna la tortura, del tutto inutile come mezzo di prova: un malvagio robusto potrà sopportarla, mentre un innocente più debole confesserà colpe inesistenti.
Nella sua visione razionalistica Beccaria abbandona l'idea religiosa secondo cui ciò che giustifica la pena è l'afflizione: la punizione inflitta al condannato per fargli espiare la colpa. Al contrario, le punizioni devono funzionare come meccanismi oggettivi di prevenzione del crimine, scoraggiare determinate azioni, ma non rappresentare la vendetta della società su uno dei suoi membri.
L'illuminismo tedesco è assai più moderato di quello francese, per motivi sia politici (mi Germania non esiste un forte Stato assolutista contro cui battersi, né una crisi radicale della nobiltà da cui trarre alimento) sia culturali (gli illuministi tedeschi sono in larga parte degli accademici, professori stipendiati dallo Stato e non agitatori politici, come i colleghi francesi). troviamo così studiosi come Wolff, impegnato a fondere il pensiero di Leibniz, la tradizione metafisica classica e scolastica, o Alexander Baumgarten, fondatore dell'estetica tedesca-egli introduce per primo tale espressione nel linguaggio filosofico. Il principale esponente dell'illuminismo tedesco è Lessing, che critica tanto la tradizione, troppo legata al dogmatismo religioso, quanto l'ala estremista dell'illuminismo francese, con i suoi esiti sensisti e materialisti. Fiducia nel progresso morale dell'uomo si ritrova in Herder, il quale tuttavia ritiene che il motore di tale progresso non sia la ragione, ma la religione, intesa in senso generale come manifestazione della spiritualità intrinseca dei popoli.
Ruolo di grande rilievo nell'illuminismo britannico ha lo scozzese Adam Smith, autore della "Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni" uno dei testi chiave del liberalismo moderno. Smith riprende le tesi dei moralisti britannici del primo Settecento, individuando nella nozione di simpatia-intesa come un sentimento originario che permette di porsi nei panni del nostro prossimo-la radice delle valutazioni morali. Sul piano economico egli è strenuo difensore dell'iniziativa privata, libera dai vincoli del controllo statale: lo Stato deve lasciare al libero gioco degli interessi dei cittadini-governato dai rapporti tra domanda e offerta-l'organizzazione economica della società.