Locke: vita, opere e pensiero
Nacque a Bristol nel 1632 e morì a Oates nel 1704. Nato in una famiglia puritana e cresciuto nel clima della prima rivoluzione inglese (1642-46), John Locke studia filosofia e diritto al Christ Church di Oxford. Qui rimane come docente, insegnando greco, retorica e filosofia morale. Si dà agli studi di medicina (senza conseguire il titolo di dottore) e poi di fisica e di fisiologia: collabora anche con Robert Boyle (1627-91), uno dei precursori della chimica moderna. In qualità di medico conosce lord Ashley, conte di Shaftesbury, esponente di spicco del nascente partito Whig. Lo segue a Londra e gli salva la vita con un'ardita operazione chirurgica: ne diviene amico e segretario, facendo così pratica di affari di Stato e di questioni economiche e politiche. Prendendo posizione contro l'assolutismo monarchico, Locke pubblica nel 1667 il "Saggio sulla tolleranza". Nella lunga serie di soggiorni sul continente europeo entra in contatto con il pensiero di Cartesio, di Gassendi e dei libertini. Shaftesbury, accusato di alto tradimento, fugge in Olanda, seguito da Locke , che qui pubblica l"Epistola de tolerantia". Tornato in patria a seguito della rivoluzione del 1688-cui sembra aver preso parte attivamente-dà alle stampe i due "Trattati sul governo" (1690) e il suo capolavoro filosofico, il "Saggio sull'intelletto umano" (1690), seguito dai "Pensieri sull'educazione" (1693) e la "Ragionevolezza del cristianesimo" (1695). Malandato di salute, lavora intorno a divertentissimi argomenti e negli ultimi anni si dedica allo studio delle Sacre Scritture.
Critica del dogmatismo
La formazione intellettuale di Locke deve molto alla tradizione empiristica inglese di Bacone e al pensiero francese dell'epoca (soprattutto Gassendi), ma un ruolo centrale assume nella sua filosofia lo studio della scienza della natura. Locke, che conosce e pratica la medicina, entra presto in contatto con i più prestigiosi ambienti della Royal Society (la prestigiosa accademia scientifica inglese), e in particolare con lo scienziato irlandese Robert Boyle, sostenitore tra l'altro della teoria corpuscolare della materia; l'ispirazione antidogmatica e sperimentale che anima ambienti intellettuali è alla base della filosofia di Locke e in particolare del suo "Saggio sull'intelletto umano".La critica della sostanza e delle idee innate rappresenta in particolare il fulcro dell'empirismo di Locke, che propone una filosofia più vicina al modello della scienza proposto da Newton e in (parte) Bacone, secondo i quali la scienza è una attività eminentemente sperimentale. Cartesio e gli altri razionalisti, secondo Locke, avrebbero tradito lo spirito scientifico, trasformando il metodo della ricerca delle cause materiali e quantitative in una metafisica meccanicistica, applicata in modo forzoso e aprioristico alla realtà: essi avrebbero così sovrapposto in modo indiscriminato e dogmatico lo schema meccanicistico (utile in certi contesti delimitati) alla totalità dell'esperienza.
Empirismo e liberalismo
L'empirismo di Locke si associa al liberalismo politico, ovvero a una filosofia che lascia ampio spazio all'iniziativa individuale, progettando un modello di società in cui nessuno è il portavoce della verità e le opinioni del singolo non possono essere prevaricate da volontà superiori (del sovrano o di una maggioranza illiberale).
Critica delle idee innate
"Nulla è nell'intelletto che prima non sia stato nei sensi": questa massima di Locke esprime l'idea secondo cui la mente è in origine una tabula rasa, un foglio bianco, e ogni nostra conoscenza deriva soltanto dagli effetti che i sensi esercitano su di essa. Per Locke la conoscenza deriva dalla capacità dell'intelletto di combinare le idee che sono presenti nella nostra mente; le idee più elementari, dette idee semplici, non possono però essere create dall'intelletto, ma debbono provenire dai sensi. Contrariamente a quanto affermato da Cartesio (ma non solo: in Inghilterra l'innatismo era rappresentato dalla scuola dei Platonici di Cambridge), per Locke non vi sono idee innate: ogni conoscenza nasce dall'esperienza e ogni tentativo di andare oltre a ciò che i sensi ci rivelano non potrà che metter capo a un sapere vuoto e illusorio. Gli argomenti contro l'esistenza delle idee innate prendo le mosse dal fatto che esse non sono presenti in tutti gli esseri umani (per esempio mancano nei fanciulli, negli ignoranti e negli idioti).
Tipiche idee innate difese dai razionalisti sono quelle logiche espresse dai principi come quelli di identità (A=A) e non contraddizione (non è possibile che A e non A siano entrambe vere) e quelle matematiche (che spiegano la natura a priori aritmetica e geometria); a ciò si aggiunge una serie di giudizi etici, considerati da molti universali (per esempio la massima che chiede di non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi).
Contro la tradizione
Per Locke, tali massime ci appaiono necessarie e indipendenti dall'esperienza solo perché le abbiamo assimilate nella nostra primissima infanzia, senza renderci conto della loro origine. Esse tuttavia non esprimono altro che il peso della tradizione: sono l'eredità di ciò che i nostri antenati consideravano ovvio, ma non hanno di per sé nessuna garanzia di verità. L'empirismo di Locke ha una funzione anti autoritaria, considerando le idee innate come il prodotto di una accettazione acritica della tradizione. Il rimando all'esperienza suona quindi come un richiamo alla necessità di verificare autonomamente e criticamente anche le conoscenze apparentemente più salde.
L'origine delle idee
Nel modello della conoscenza di Locke, punto di partenza è la mente intesa come un foglio bianco. Su di essa opera l'esperienza, che è di due tipi: esterna, attraverso le sensazioni che ci mettono in contatto con il mondo di fuori, e interna attraverso la riflessione che ci permette di accedere ai nostri stati interiori.
Sensazione e riflessione danno vita alle idee semplici, chiare, distinte e indefinibili (non si definisce l'idea di rosso, la si può solo sperimentare), le quali a loro volta possono essere combinate in vario modo, producendo così idee complesse e idee astratte. Va notato che, mentre le idee semplici si impongono a noi senza che possiamo influenzarle, le idee complesse sono invece (almeno in parte) il prodotto della libera azione della mente.
Per quanto riguarda il rapporto tra le idee e le cose, Locke afferma che non è necessario che vi sia una relazione di somiglianza: riprendendo un tema già caro a Galileo, egli distingue a questo proposito tra qualità primarie e secondarie, dove le prime descrivono i caratteri oggettivi della realtà (figura, estensione, solidità, movimento), mentre le seconde (colori, suoni, odori) si riscontrerebbero soltanto nel soggetto di esperienza.
Tra le idee complesse che la mente è in grado di produrre, un ruolo centrale ha avuto in filosofia quella di sostanza, ovvero del presunto sostrato che sarebbe al di là dell'esperienza come sua causa occulta. Per Locke, le idee di sostanza sono solo collezioni di idee semplici; l'idea di oro è formata da certe caratteristiche, di colore, peso, duttilità, malleabilità, ecc. Se togliamo tali componenti non resta nulla.
Questo tema è sviluppato, nel III libro del "Saggio", attraverso una serie di importanti riflessioni sul linguaggio. Parlare di sostanze come di qualcosa di indipendente dalle idee che le compongono è infatti il tipico errore che deriva dall'uso disinvolto del linguaggio, caratteristico dei metafisici, che utilizzano le parole a sproposito, creando falsi problemi. Il significato di una parola è infatti per Locke determinato dall'idea corrispondente (per esempio il significato di cane è l'idea di cane).
Le essenze delle cose sono quindi nominali e non reali. A differenza delle essenze reali, che parlano di qualcosa al di là dell'esperienza, le essenze nominali sono costitute dalle idee astratte, idee associate alle caratteristiche più generali e comuni ai fini pratici della vita e della scienza. A esse però può non corrispondere nulla nella realtà, poiché ogni cosa esistente è sempre individuale.
Legata alla critica della sostanza è anche la teoria lockiana dell'identità personale: Locke non condivide la tesi di Cartesio secondo cui la materia non sarebbe capace di pensare; per quanto ne sappiamo, Dio avrebbe potuto donare anche ai corpi (e non solo agli spiriti) la facoltà del pensiero. Tuttavia non è importante, per stabilire la natura della persona, sapere quale sia la sostanza che pensa. Ciò che conta è piuttosto la continuità della serie di ricordi che costituisce il nostro io. Una persona non è quindi né anima, né un corpo, ma un essere in cui passato e presente sono connessi attraverso la memoria. Per quanto riguarda la natura della conoscenza, essa si misura attraverso l'accordo o il disaccordo delle idee ed è di due tipi: intuitiva (chiara e immediata, senza necessità di dimostrazione) e dimostrativa (ottenuta per prova, attraverso una serie di passaggi intermedi). In ogni caso non possiamo andare al di là delle idee che possediamo.
Per Locke, tuttavia ciò non significa che esistano solo le idee e non il mondo di cui esse trattano (come sosterrà Berkeley); possiamo infatti conoscere l'esistenza reale delle cose in tre modi: in modo intuitivo, per quanto riguarda Dio (la cui esistenza può essere provata riflettendo sul fatto che il mondo deve possedere una causa prima); attraverso la sensazione, per ciò che concerne le cose esterne a noi. Non è vero infatti che la sensazione prodotta da cose reali sia indistinguibile rispetto a ciò che avviene nel caso del sogno o del ricordo; inoltre noi risultiamo completamente passivi rispetto a essa, il che ci induce ad ammettere una causa esterna a ciò che sentiamo.
Etica e politica
Secondo Locke la fede deve essere subordinata all'analisi razionale, sia perché spetta alla ragione stabilire l'attendibilità di chi riferisce la rivelazione, sia perché nessuna affermazione in contrasto con l'evidenza certa è ammissibile. Far tacere la ragione di fronte alla fede è come cavarsi gli occhi per vedere meglio: si tratta di mero fanatismo (entusiasmo). Su queste basi Locke difende con rigore e passione la libertà di coscienza del singolo, che deve poter professare liberamente la propria fede.
L'"Epistola sulla tolleranza" (1689) considera le varie Chiese come associazioni volontarie, prive di potere temporale: ciò implica una separazione più netta tra Stato e Chiesa. Secondo Locke, però, la tolleranza non va estesa alla Chiesa cattolica, che impedisce la libertà di religione, e agli atei, la cui (pretesa) assenza di norme morali mette a repentaglio la convivenza civile.
In sede teologica, Locke sostiene un deismo moderato, attribuendo a Dio solo quei caratteri che sono in accordo con la ragione naturale, prescindendo da qualsiasi rivelazione religiosa; accetta così solo quelle parti delle religioni rivelate che sono in accordo con la ragione. Egli auspica che il cristianesimo possa liberarsi da ogni fanatismo, intolleranza o superstizione, per concentrarsi sul proprio nucleo essenziale, che è il riconoscimento di Cristo quale messia e della sua dottrina come ragionevole e benefica per il genere umano.
Locke è il capostipite del pensiero liberale moderno, di cui sviluppa due nodi centrali: la critica dell'assolutismo e la teoria dello Stato. Per Locke non è affatto vero che nello stato di natura vige la mera legge del più forte e la guerra di tutti contro tutti, come sostiene Hobbes; al contrario, esistono diritti inalienabili che nessuno può prevaricare.
In polemica con l'assolutismo, Locke sostiene che il patto sociale con cui sei organizza lo Stato viene istituito allo scopo di difendere una serie di diritti individuali fondamentali, e che quindi nessun sovrano può negare ai cittadini l'uso di questi diritti, fondati sulla ragione e pertanto inalienabili. L'esercizio del potere deve difenderli e non potrà mai negarli. Tra i diritti naturali, oltre a vita e libertà, Locke contempla anche il diritto alla proprietà, in quanto fondato sul lavoro personale e sul legittimo possesso dei suoi frutti.
Lo stato di natura consente l'esistenza di una vita sociale; ciò che manca è però un arbitro capace di dirimere eventuali dispute fra i singoli. La nascita dello Stato fornisce tale giudice; l'unico diritto a cui il cittadino deve rinunciare è dunque quello di farsi giustizia da sé. Uno Stato è quindi legittimo se rispetta i diritti naturali dei cittadini, si fonda sul consenso della maggioranza del popolo e favorisce la prosperità della società.
Per ciò che concerne i rapporti tra i poteri dello Stato, da un lato il potere legislativo deve avere la prevalenza su quello esecutivo, dall'altro esso stesso è soggetto ai limiti invalicabili, in quanto non può violare i diritti individuali. Se ciò avviene, ai cittadini è comunque garantito il diritto di resistenza e rivoluzione: Locke giustifica così la rivoluzione inglese del 1688.