Rousseau: il camminatore
“Una natura ha bisogno di ali, un'altra di catene”.
Questa frase ci traghetta verso la seconda parte del camminare di Rousseau. Nella prima ci siamo soffermati soprattutto sulla natura e il rapporto che essa ha con la cultura. Adesso entriamo nello specifico. Per quanto riguarda l’attività del camminare vera e propria, dal suo libro “Le fantasticherie del passeggiatore solitario” possiamo notare come appunto Rousseau abbia fatto divenire questo movimento un’attività importante della sua vita. In questo libro sono descritte dettagliatamente dieci passeggiate che l’autore ha compiuto, passeggiate in cui si immergeva in profonde riflessioni e che ci raccontano anche la natura che lo circondava. Infatti queste “fantasticherie” ci dice Jean Starobinski, nascono dagli appunti sparsi che Rousseau stilava nel corso di lunghe passeggiate solitarie, meditando sulla natura, sulla società e sul rapporto tra sé e gli altri.
Le “fantasticherie” sono il libro il cui movimento, continuamente ripreso, il cui sforzo, mai definitivo, cercano di assicurare il passaggio dall’infelicità alla più alta felicità. Infatti Rousseau giungerà a dire che tutti i percorsi muovono dall’oscurità alla luce.
All’inizio dell’ottava passeggiata Rousseau ci dice che bisogna convertire il dolore in voluttà e questa espressione definisce con precisione la natura e la finalità di ciò che Rousseau chiama “fantasticheria”. Facendo particolare attenzione su questo libro, l’autore ci dice che in ogni passeggiata si può notare il tormento dell’anima –forte- che avvertiva Rousseau ma, alla fine, intervengono l’argomentazione e le prove attraverso le quali Jean Jacques respinge le accuse e afferma la sua innocenza e la sua bontà d’animo nonché la sua felicità e, nel corso della prima passeggiata dichiara apertamente (e a sé stesso poiché questo libro a lui è indirizzato) che nessuna gli impedirà mai di gioire della sua innocenza e di finire i suoi giorni in pace.
Nella seconda passeggiata dice che il suo turno (cioè la morte) lo raggiungerà presto o tardi e continuando su questa linea, nella terza passeggiata dirà che sarà felice di uscire più virtuoso di come era entrato, cioè di essere progredito su quel che si era prefissato di progredire. Addirittura nella quinta passeggiata arriva a dubitare che nel mondo vi sia un altro uomo che abbia compiuto meno male di lui e nell’ottava passeggiata afferma che, appunto per questo, gode di sé stesso.
La nona passeggiata si chiude con l’immagine del rapporto che lui aveva con il “vecchio invalido” e la decima è tutta illuminata dalla evocazione con l’incontro con madame de Warens.
Sempre a proposito del camminare esiste una differente traduzione rispetto al testo precedente, stiamo parlando de “Le passeggiate del sognatore solitario” e possiamo notare che è tratto dalla stessa opera di Rousseau. Infatti, i due testi non differiscono moltissimo nella traduzione ma in questa ottica ci premeva sottolineare quanto segue per dimostrare –con ancor più impeto- quanto questo autore abbia amato la natura e il camminare. Infatti, chi ha curato questo testo, ci ha detto che è uno dei testi scaturiti nel pieno del secolo dell’illuminismo ed è la scoperta che, una volta lasciata la propria casa, è molto difficile ritornarvi e l’alternativa è tra la deriva nomade e la costruzione di una nuova (e spesso utopica) dimora. Questa è un’opera in cui la natura è onnipresente ed è il primo testo in cui la parola “romantico” rimanda ad un paesaggio o meglio, rimanda a un modo di vedere le cose del mondo come un tutto che è connesso con tutto. Inoltre è il testo in cui l’autore si auto esilia dal mondo per ritirarsi in una profondissima riflessione di tipo generale sulla natura e sull’uomo.
Il traduttore di questo libro –Beppe Sebaste- afferma nella sua introduzione che tutto, nella concezione di Rousseau, porta a un’identificazione tra il camminare e il sognare (e un certo modo di scrivere) nella comune sintesi di vagare, divagare, vagabondare con la mente e con il corpo (coi piedi). Ed è anche per questo che “Rousseau” merita una posizione speciale in questa ricostruzione storico-filosofica del camminare. Infatti dedicheremo a lui un’altra puntata e forse anche due.
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Pensieri in cammino Il taccuino "Pensieri in cammino" è un oggetto da portare sempre con sé per riprendere la buona abitudine di scrivere a mano semplici appunti o i propri pensieri. Ad impreziosire ogni pagina, tanti aforismi sulle camminate dei più importanti filosofi accompagnati da affascinanti illustrazioni che riprendono il tema del taccuino. Poco importa se fate una passeggiata in città o in un parco naturale, un'escursione lunga e impegnativa in montagna o un camino di più giorni, l'importante è non perdere mai la voglia di camminare e guardare il mondo non solo con gli occhi ma anche con la mente e il cuore. Ricordatevi che come disse il filosofo Kierkegaard: "Io, camminando ogni giorno, raggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata. Ma stando fermi si arriva sempre più vicini a sentirsi malati. Perciò basta continuare a camminare, e andrà tutto bene". Speriamo che tu possa trovare del tempo da dedicare a te stesso, per camminare, riflettere e custodire per sempre un pensiero o un'emozione. |