Voltaire: vita, opere e pensiero
Nacque a Parigi nel 1694 e morì nel 1778. Educato dai seguisti e cresciuto in un ambiente familiare rigorosamente giansenista, François-Marie Arouet (più noto con lo pseudonimo di Volatire) mentre presto in contatto con gli ambienti libertini di Parigi, frequentando pensatori e intellettuali controcorrente. La pubblicazione di uno scritto satirico troppo audace gli costa un anno di prigione alla Bastiglia. Uscito dal carcere, ottiene un enorme successo mettendo in scena una serie di lavori teatrali in cui critica senza pietà il potere e il clero.
Negli anni 1726-29 è in Inghilterra, dove acquista familiarità con la filosofia di Locke e la scienza di Newton, che gli permettono di inquadrare le proprie aspirazioni politiche in un preciso quadro teorico, quello dell'empirismo e della nuova visione della natura.
"Le lettere filosofiche (o Lettere inglesi, 1734, condannate e bruciate pubblicamente dal boia di Parigi) e gli "Elementi della filosofia si Newton" (1737) sono il prodotto di tale esperienza. Nelle sue numerose opere egli di propone come instancabile propagandista della riforma illuminista, fino a divenirne l'espressione vivente. <pensatore polemico e brillante, dotato di uno stile di vita inimitabile e di una straordinaria ironia-riscontrabili anche in racconti filosofici quali "Zadie", 1747, o "Micromega", 1750-Voltare riesce sempre a muoversi sul filo del rasoio, cioè il precario limite tra il grande successo di pubblico e il rischio della persecuzione da parte dei potenti
(cosa che spiega i suoi numerosi soggiorni all'estero).
Nel 1750 accoglie l'invito a recarsi a Berlino presso Federico II di Prussia. Dopo la rottura con Federico, si stabilisce a Fernet, a un passo dalla più sicura Svizzera, dove continua la sua incessante attività culturale, non priva di contrasti (celebre sarà la polemica con Rousseau).
In questi ultimi anni opere come il "Poema sul discorso di Lisbona" (1756) e il "Candido" (1759) mostrano che, malgrado l'apparenza distaccata del suo stile scintillante e talvolta caustico, egli non è affatto estraneo agli aspetti più tragici della vita e al tema della miseria e del dolore dell'uomo. Fino agli ultimi giorni, vissuti a Parigi dopo un trionfale ritorno in patria, Voltaire continua la lotta per la libertà civile e lo stato di diritto criticando il dispotismo e la persecuzione religiosa (di questo periodo ricordiamo il "Trattato sulla tolleranza", 1763).
La filosofia inglese
Lo sfondo filosofico del pensiero di Voltaire è la tradizione empirista britannica, da lui tradotta in Francia; da essa trae alimento teorico la sua critica corrosiva, che non risparmia le istituzioni sociali, culturali e religiose del tempo, così come i sistemi filosofici elaborati nel Seicento soprattutto da Cartesio-il cui pensiero è molto influente in Francia- e Leibniz. La filosofia inglese guida Voltaire anche in campo politico: il modello del mondo da lui adottato è quello di Newton, mentre la sua difesa dei diritti dell'individuo e della tolleranza è ispirata al liberalismo di Locke.
Ragione ed esperienza
Voltaire si appella alla ragione; ma la sua ragione non è quella del razionalismo, che si muove con principi a priori e idee innate; essa è piuttosto quella di Newton, che adduce prove di quanto afferma appellandosi all'esperienza: non si deve iniziare inventando dei principi con i quali tentare poi di spiegare tutto. E' la ragione che mostra come le religioni si contraddicano tra loro e credano in cose impossibili; ma è la stessa ragione che mostra l'inconsistenza dei sistemi metafisici tanto cari ai filosofi. La ragione, infine, è lo strumento principe da adottare in vista della liberazione dalla superstizione, dal pregiudizio e dall'ingiustizia. Essa è la guida alla tolleranza nei riguardi delle idee e delle aspirazioni altrui: il grande veicolo del progresso dell'umanità.
La critica dei costumi
L'anima empirista di Voltaire si manifesta anche nella straordinaria lucidità e nell'intransigente ironia con cui esamina le dottrine tradizionali dei campi più svariati, mostrando come esse non si basino su prove o argomentazioni razionali, ma solo sulla passiva accettazione delle opinioni correnti e dei pregiudizi del passato. Sul piano teologico ciò comporta una spietata critica di tutte le religioni rivelate, cristianesimo compreso. Voltaire tuttavia non giunge agli esiti materialisti e atei di alcuni illuministi, come d'Holbach o Lamette; egli aderisce invece al punto di vista del deismo, accettando l'idea di un Dio garante dell'ordine della natura (molto lontano dal personaggio descritto dalle varie confessioni religiose) e difendendo l'esistenza di una morale razionale, che l'uso attento della ragione può mettere a disposizione di ogni uomo: esiste una sola morale, come vi è una sola geometria.
La storia
Strumento particolarmente efficace per la critica della società si rivela la storia, disciplina alla quale Voltaire si accosta in modo innovativo rispetto ai suoi contemporanei. Invece di concentrarsi sulle vite dei re e sulle grandi battaglie, egli dedica infatti la sua attenzione alle arti, ai costumi e al carattere dei popoli. Voltaire mostra dunque una concezione laica della storia, intesa non come la realizzazione del disegno della provvidenza, ma quale luogo in cui l'uomo realizza la propria umanità.
Analisi della Bibbia
La Bibbia diviene così il libro che offre preziose informazioni sugli usi e costumi degli antichi; la sua cronologia viene però negata e posta in ridicolo- con grave scandalo dei benpensanti-mettendone in luce molte incongruenze ( di irresistibile umorismo sono per esempio le osservazioni sulla lunghezza della vita dei patriarchi). Per Voltaire la presenza dell'uomo sulla terra risale ai tempi molto più antichi di quelli biblici. Egli ha anche una visione meno provinciale degli avvenimenti: la storia non può che essere storia universale. Per tale ragione egli non tratta solo delle popolazioni più vicine a noi europei, ma prende in considerazione i Caldei, i Persiani e soprattutto i Cinesi -mitizzati come esempio di popolo in cui la morale razionale (attraverso le massime di Confucio) diviene religione condivisa da tutti.
La visione dell'uomo
Per quanto riguarda la visione dell'uomo, Voltaire critica sia Hobbes che Leibniz: Hobbes ha una concezione troppo pessimista dell'uomo, inteso intimamente brutale e bisognoso di essere trattenuto nei suoi impulsi violenti da un sovrano dispotico; Leibniz pecca invece di eccesso di ottimismo: la tesi secondo cui il nostro sarebbe il migliore dei mondi possibili è così ridicolizzata nel Candido, testo scritto dopo il terribile terremoto che devastò Lisbona nel 1755, causando immani tragedie.
La critica dell'antropocentrismo
Attaccando l'ottimismo leibniziano, Voltaire non solo polemizza con una certa tradizione religiosa, ma mette in discussione un caposaldo dell'immagine tradizionale dell'uomo, l'antropocentrismo: è ridicolo illudersi che tutti gli avvenimenti del cosmo ruotino intorno ai destini di una creatura tanto misera e limitata qual è l'uomo. Ugualmente egli si fa beffe della convinzione del popolo ebraico prima e dei cristiani poi secondo cui l'intera vicenda storica del mondo non è altro che lo sfondo delle proprie vicissitudini storiche.
Il progresso
Voltaire, con cautela, condivide la fiducia nel progresso propria degli altri illuministi: se è vero che la storia è fatta di grandi realizzazioni ma anche di errori e fallimenti e che l'uomo non riuscirà mai a sfuggire ai limiti della propria natura, è però auspicabile sperare che a poco a poco la ragione e la sua tecnica possano creare le condizioni per migliorare le sue condizioni di vita.